David
Sciunnach,
rabbino
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"... e salì un nuovo re, che non aveva
conosciuto Yosèf …" (Shemòt 1, 8). Più avanti nella Parashah quando
Moshè ed Aharòn vanno dal Faraone è scritto: "Il Faraone disse: chi è
l’Eterno perché io debba ascoltare... io non lo conosco…" (Shemòt 5,
2). Da questi due versi si comprende quanto sia sceso il livello
spirituale in Egitto. Il Faraone che aveva accolto Yakòv e Yosèf aveva
la consapevolezza della santità degli Tzaddikìm che abitavano presso di
lui dei loro meriti e della grandezza di Dio. Il Secondo Faraone non
aveva più la consapevolezza dei meriti dei giusti, ed il terzo aveva
perso anche la consapevolezza della Santità Divina.
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David
Assael,
ricercatore
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Diciamolo, non ci voleva molto a capire che
Martin Heidegger, nazista della prima ora, fosse anche antisemita.
L’una cosa implica l’altra. Non sono stupito, dunque, da quanto sembra
annunciarsi nei nuovi “libri neri” (omen nomen) ritrovati recentemente
e discussi oggi su “la Repubblica” da Donatella Di Cesare. E che la
frequentazione di molti allievi ebrei (Hannah Arendt, Karl Löwith, Leo
Strauss…) non avesse contribuito a fargli prendere distanza
dall’hitlerismo già lo sapevamo. Non sia mai che il grande Heidegger si
facesse persuadere da qualcuno. La cosa che a me più colpisce è che
questi allievi sono rimasti legati alla memoria del maestro (in alcuni
casi qualcosa in più di un semplice professore). Una volta sentii una
testimonianza del vecchio Emmanuel Levinas, altro allievo illustre, in
cui sosteneva di aver imparato da sole due persone nella vita, Monsieur
Chouchani e Heidegger, appunto. Tutti conosciamo la storia personale di
Levinas, come è possibile questo giudizio? Questo, credo sia importante
capire, soprattutto come compito introspettivo dell’ebraismo nei
confronti di se stesso.
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Renzo Gattegna: "Futuro, responsabilità e
risorse" |
"Se è vero che l’immobilità è una pura
illusione perché in verità chi non avanza sicuramente retrocede, che la
semplice conservazione senza prospettive di sviluppo maschera la
decadenza, che l’isolamento è la peggiore minaccia per la nostra
sopravvivenza, non possiamo e non dobbiamo perdere l’occasione storica
che le nostre generazioni stanno vivendo di poter uscire
coraggiosamente e definitivamente dal ruolo di vittime in un mondo come
l’attuale nel quale chi si sente vittima, e si presenta come tale,
prima o dopo lo diventa veramente". Lo ha dichiarato il presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna nella
relazione introduttiva al Consiglio UCEI dell'8 dicembre 2013.
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Voci a confronto
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Sconcerto e indignazione per le immagini che
arrivano dal Centro di accoglienza dei migranti di Lampedusa: giovani
denudati sottoposti e getti di disinfettante all’aperto (Corriere).
Repubblica dà voce al ragazzo che ha filmato l’episodio con il
telefonino “Come ebrei nei lager” dice Ahmed, siriano, che parla anche
di derisione da parte del personale e ora ha paura “Non mi danno più
cibo, temono guai”. Sotto accusa la cooperativa che gestisce il centro
(il Corriere intervista il responsabile Cono Galipò che si difende
dicendo di aver seguito tutte le procedure standard).
In previsione della manifestazione oggi dei cosiddetti Forconi a Roma,
Repubblica intervista il vicepresidente di CasaPound Simone Di Stefano,
che promette tra i mille e i duemila attivisti del movimento in piazza
da tutta Italia.
Gian Antonio Stella riflette sul Corriere sulla grande ignoranza della
storia che è emersa in questi giorni da alcuni episodi accaduti in
famosi quiz televisivi (in particolare la completa incapacità di
collocare temporalmente nel ‘900 l’ascesa al potere di Hitler e
Mussolini).
Inter e Roma disputeranno le prossime gare di campionato a curve chiuse
per cori discriminatori inneggiati durante le ultime partite (Corriere
dello Sport).
Un migliaio di pagine inedite del filosofo Martin Heiddeger sono in
procinto di venire alla luce il prossimo marzo. Pagine intrise di
antisemitismo. Repubblica ascolta in proposito la studiosa Donatella Di
Cesare, ordinario di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma.
Un’autobomba è esplosa in Libano a pochi chilometri da una postazione
di Hezbollah (Osservatore romano). Dopo l’uccisione di un soldato
israeliano da parte di un cecchino libanese, l’area si conferma solcata
da tensioni.
Su Avvenire si riporta di una manifestazione islamista nel lussuoso
quartiere di Brick
Lane a Londra per minacciare coloro che vendono o consumano alcolici.
Ancora sul quotidiano della Conferenza episcopale, un reportage sulla
protesta dei migranti in Israele dopo il passaggio della legge in
materia di immigrazione.
Senza fine gli orrori in Siria. Assad affama la sua gente, Al Qaeda
recluta i bambini (Corriere).
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vendita
record da sotheby's new york
'Il
rapimento di Edgardo Mortara'
in mano a un collezionista privato
È
stata una gara che ha sorpreso gli esperti e tenuto con il fiato
sospeso i più prestigiosi musei ebraici. E sugli esiti non è ancora
possibile pronunciarsi compiutamente. Il dipinto di Moritz Oppenheim
“Il rapimento di Edgardo Mortara”, dall’altro valore artistico, ma
soprattutto dall’altissimo valore simbolico per la storia e le
drammatiche vicende dell’ebraismo italiano, nonostante gli sforzi del
Museo ebraico di New York che ha tentato di assicurarsi l’opera,
mettendo a disposizione grazie a una cordata di benefattori raccoltasi
in tutta fretta, circa 400mila dollari (equivalenti al doppio della
base d’asta), è infine stato assegnato a un collezionista privato di
cui per ora non è dato conoscere l’identità.
L'asta tenutasi da Sotheby’s a New York per assicurarsi il dipinto
risalente al 1862 ha superato le previsioni di molti esperti.
“Dato il valore dell’artista e dell’opera non mi stupisce affatto che
sia andata in questo modo” commenta per il giornale dell'ebraismo
italiano Pagine Ebraiche Eva Atlan, fra i massimi conoscitori
dell'opera del grande pittore tedesco e responsabile del dipartimento
di Arte del Museo ebraico di Francoforte (Oppenheim era nato nel 1800
ad Hanau, a pochi chilometri dalla città sul Meno, e a Francoforte morì
nel 1882). In molti ora si augurano che il quadro possa trovare
definitiva collocazione in un prestigioso museo ebraico.
Il dipinto è stato considerato perduto per decenni: se ne conosceva
l’esistenza solo grazie a un lavoro preparatorio custodito proprio al
Museo di Francoforte. In esso si vede il piccolo Edgardo che viene
sottratto alla famiglia da emissari papali. Era il 1858 e le leggi
dello Stato pontificio, allora al potere a Bologna, cancellavano la
potestà dei genitori sul bambino in quanto segretamente battezzato
dalla domestica cattolica durante una malattia. L’episodio assunse le
proporzioni di uno scandalo internazionale, ma nemmeno l’intervento di
Napoleone III convinse Pio IX a restituire il bambino.
Nel 1962 a Liverpool, una signora in cerca del regalo di compleanno per
il marito, scelse in un antiquario un portasigarette d’oro, pagandolo
cento sterline. Quando arrivò a casa, il marito le annunciò che aveva
smesso di fumare, e così lei tornò indietro a cercare qualcos’altro.
Trovò il quadro di Oppenheim.
Secondo Jennifer Roth, vicepresidente di Sotheby’s e a capo del
dipartimento di Judaica, è ipotizzabile che il dipinto sia stato
portato in Inghilterra da ebrei tedeschi, già nel XIX secolo, passato
di generazione in generazione e poi venduto.
Qualche giorno fa, una discendente della famiglia Elèna Mortara,
docente di Letteratura anglo-americana all’Università di Roma Tor
Vergata, aveva lanciato attraverso Pagine Ebraiche un appello perché
l’opera potesse tornare in Italia.
Rossella Tercatin
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qui
torino
Patteggia
sei mesi il professore
che voleva colpire la sinagoga
Ha
patteggiato una pena di sei mesi Renato Pallavidini, l'insegnante del
liceo D'Azeglio di Torino,
ora in pensione, che nel dicembre 2011 aveva pubblicato su Facebook
alcuni post di minacce e insulti contro ebrei e persone di colore
minacciando, tra i vari obiettivi, di fare una strage in una sinagoga.
Era accusato di istigazione all'odio razziale.
In una nota congiunta emessa in occasione del verificarsi di tali
deliri il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo
Gattegna e il presidente della Comunità ebraica di Torino Beppe Segre
avevano dichiarato: “Esprimere con forza la condanna e il biasimo degli
ebrei torinesi e italiani è quasi pleonastico tanta è l’infamia,
l’aggressività e la violenza verbale vomitata nella rete da
Pallavidini. L’auspicio è che d’ora in poi tale individuo, oltre a
subire un regolare processo che ne accerti le responsabilità, sia
finalmente messo in condizione di non poter più nuocere ai giovani, né
all’interno di una qualsiasi aula italiana né sulla rete”.
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qui
roma
Festa
tra i sapori della tradizione
Grande
festa, nel quartiere ebraico della Capitale, per l’apertura di un nuovo
ristorante kasher che risponde alla crescente domanda di cibo
rispondente alla Legge e alla tradizione ebraica. Dopo l’apposizione
delle mezuzà sulla porta del locale (nell’immagine il rabbino capo di
Roma Riccardo Di Segni) al ristorante Bellacarne è stata la volta di
una serata dedicata alla stampa romana. In tavola, annaffiate da
un’ampia scelta di vini, alcune portate caratteristiche della
tradizione giudaico-romanesca: piatti di carne, concia, carciofi,
pizzarelle col miele. A fare gli onori di casa Sandro Di Castro,
presidente del Bene Berith, che è intervenuto per illustrare le molte
sfide che attendono il mercato del cibo kasher.
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Ticketless
- Per Elsa Pokorny |
Nella
scorsa estate, mentre infuriava il caso “Partigia”, mi ero ripromesso
di salire ad Amay, a cercare la baita dove il 17 dicembre di
settant’anni fa morì Elsa Pokorny, una anziana donna ebrea viennese.
Con l’aiuto di un amico valdostano, venuto a prendermi alla stazione di
Châtillon, non ho avuto difficoltà a ritrovare il luogo dove fu trovato
il corpo senza vita di Elsa. Era sfuggita alla retata dell’11 dicembre
1943, che portò ad Auschwitz Primo Levi, Luciana Nissim e Wanda
Maestro. Le vessazioni subite, la paura derivante dal fatto che aveva
perso il contatto con le figlie, scese a Pallanza, la costrinsero a
cedere e decise di togliersi la vita. Le sue ultime ore di vita sono
comunque poco chiare.
Alberto Cavaglion
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Periscopio
- I conflitti, i rischi |
I
giovani soldati di Tzahal rappresentano, com’è noto, uno dei principali
elementi distintivi del paesaggio di Israele: si incontrano dovunque,
quei ragazzi di vent’anni, nei bus e nei bar, sulle panchine e nei
parchi, allegri o annoiati, da soli, in coppia o in gruppo, con le loro
divise verdi, i loro zaini, i loro mitra a tracolla. Non c’è niente che
possa esprimere, come loro, la forza e la malinconia di Israele: la
forza di un Paese che può contare su tale inestimabile risorsa per la
propria sicurezza e il proprio futuro; la tristezza di una gioventù
costretta a impegnarsi in attività tanto lontane da quelle che
dovrebbero essere i normali impegni giovanili.
Ho letto perciò con grande interesse l’articolo di Aviram Levy, sul
numero di novembre di Pagine Ebraiche, intitolato “Tzahal,
riorganizzazione e tecnologia".
Francesco Lucrezi, storico
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