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9 gennaio 2014 - 8 Shevat 5774
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL


alef/tav
Elia Richetti,
presidente
dell'Assemblea
rabbinica
italiana
Non è particolarmente difficile immaginare la scena di ciò che poteva essere l’uscita dall’Egitto, la moltitudine di essere umani, di animali, di carri in marcia, il loro brusio, il pianto dei neonati… Possiamo anche immaginare lo sgomento di questa folla eterogenea nell’accorgersi di essere inseguita dalla veloce cavalleria egizia in assetto di guerra, armata di carri falcati (l’arma più micidiale dell’epoca), e capirne l’impaurita reazione. Moshè sa usare le parole giuste: “Non temete, state saldi e guardate la salvezza divina che Egli metterà in atto per voi oggi… Il Signore combatterà per voi; voi state quieti!”. Però anche Moshè è un essere umano, ed anche se la Torà non lo dice espressamente è evidente che anche lui è impaurito, tanto che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ deve dirgli: “Mà titz‘àq elày? Dabbèr el benè Israèl we-yissà‘u!”, “Perché gridi verso di Me? Parla ai figli d’Israele, che partano!”. In altri termini: non aspettare la salvezza dall’alto, comincia ad agire!
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
Il periodico MicroMega dedica una parte del numero 9/2013 a un dibattito su sionismo/ antisionismo "ispirato da punti di vista assai divergenti fra loro". Vediamo un po' queste divergenze. Gianni Vattimo scrive che "la mitologia sionista si è tramutata in colonialismo e razzismo nei confronti dei palestinesi. Ecco perché oggi bisogna mettere in discussione la stessa nascita dello Stato ebraico". Judith Butler sostiene che "c’è un errore originario che ha segnato la nascita di Israele: l’idea che sia possibile fondare un nuovo Stato in riparazione dei torti subiti riproducendo altri torti su un’altra popolazione". Moni Ovadia scrive che "Israele ha subìto una profonda metamorfosi: l’estinzione dei suoi ideali sionisti ha finito per produrre azioni inaccettabili come le punizioni collettive, la colonizzazione e le quotidiane vessazioni contro i palestinesi". Fin qui, mi pare, scarse divergenze di punti di vista. Avishai Margalit suggerisce che "mettere sotto accusa il sionismo per criticare l’attuale politica dello Stato di Israele è come puntare il dito contro il Risorgimento italiano per criticare il governo Berlusconi". Furio Colombo afferma che "dopo il ’45 gli ebrei erano ancora avversati e la nascita di Israele – voluta dall’Onu – doveva andare di pari passo alla creazione di una vicina nazione palestinese, osteggiata invece dai paesi arabi limitrofi. Queste e altre le verità storiche rifiutate da una sinistra incapace di affrontare la questione ebraica". A questo punto l'equilibrio è almeno in parte ristabilito: tre critici viscerali, un critico equilibrato, e un difensore sono il massimo dell'equità intellettuale che MicroMega è in grado di offrire.
 
 
Una rete per la solidarietà
Favorire la creazione di una rete di solidarietà, sviluppare l’assistenza secondo un modello professionale, fornire supporto a chi ne ha bisogno. Sono questi i capisaldi del progetto di servizio sociale territoriale elaborato dalla Commissione Servizi sociali dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, presieduta dal Consigliere UCEI e presidente dell’Associazione medica ebraica Giorgio Mortara..
 
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Voci a confronto
“Ebrei, ancora pariah?”. Così Avvenire intitola il dibattito circa “un futuro possibile per Israele”. Riprendendo le parole di Donatella Di Cesare, professoressa di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma e autrice di “Israele. Terra, ritorno, anarchia” (Bollati Boringhieri, il volume è presentato sul Mattino), il quotidiano della Conferenza episcopale intervista lo storico Alberto Cavaglion e Massimo Giuliani, docente di pensiero ebraico all’Università di Trento. Vari i temi trattati, dal rapporto tra Stato e religione alla questione israelo-palestinese. Cavaglion, che inquadra il sionismo nell’ambito del nazionalismo classico ottocentesco, confuta la tesi che il concetto di Stato nazionale sia in via di superamento. “Lo stesso nazionalismo arabo-palestinese ha le stesse caratteristiche, sia pure con una propria storia e i propri tempi di sviluppo. I sogni di Stato binazionale coltivati dal sionismo religioso di sinistra, per esempio da Buber, erano pure utopie. Quelli che si scontrano sono due nazionalismi classici, ognuno con i suoi diritti e i suoi torti. Nemmeno negli anni Trenta era realistico ipotizzare una convivenza entro uno stesso Stato binazionale”.
Il grande regista Alfred Hitchcock aveva ricevuto l’incarico di girare un documentario sulla Shoah, ma rimase scioccato dal materiale inviatogli dall’esercito alleato. Hitchcock fu talmente angosciato da interrompere il lavoro. Oggi il materiale verrà recuperato e restaurato per essere trasmesso alla televisione britannica nella primavera 2015 (tra gli altri Repubblica).
Ricorre in questi giorni il settantesimo anniversario della deportazione verso la Germania di oltre 400 persone dalla Stazione Tiburtina. Sul Messaggero lo storico Mario Avagliano la ricorda presentando il libro di memorie di uno dei sopravvissuti “La scala della morte” (Grazia Di Veroli, Marlin editore).Repubblica Roma anticipa alcuni nomi degli chef che parteciperanno all’iniziativa per sostenere il Treno della Memoria promossa da Eataly.
Vari giornali (tra gli altri il Corriere) riportano la notizia dell’incriminazione a Colonia di un ex SS per la strage di Oradour-Sur-Glane in Francia che costò la vita a 642 persone nel 1944.
Prosegue il dibattito a proposito delle misure da intraprendere contro il comico francese antisemita e negazionista Dieudonné. A intervenire sull’Unità è il presidente dell’Associazione Hans Jonas Tobia Zevi. “Ha fatto bene il governo francese a vietare gli spettacoli del comico-non-solo-comico, visto che nel 2009 si candido alle elezioni europee con una piccola formazione di estrema destra? – si chiede Zevi – Il problema ha vari livelli: 1) Dieudonné va perseguito penalmente per quello che afferma nei suoi spettacoli? 2) Gli spettacoli vanno consentiti o vietati? 3) Esistono contesti differenti, per cui la stessa frase pronunciata in due diversi luoghi va trattata diversamente?”. Il quotidiano francese Le Monde dedica un’intera pagina alla “Generazione Dieudonné”.
 
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Progetti di futuro
“Le due parole centrali della Torah - ha scritto rav Benedetto Carucci Viterbi sul Portale dell’ebraismo italiano, moked.it - sono darosh darash: ripetizione rafforzata di cercare; ma anche di studiare e di interpretare. Il cuore della Torah è dunque nello studio e nel tentativo di comprendere. E nessuno si può sottrarre a questo compito fondante: neanche Mosé il nostro maestro, colui che cerca al centro della Torah”. Per l’ebraismo, come spiega il rav, lo studio è uno dei pilastri della vita ebraica e nessuno può sottrarvisi. Progetti di futuro è il titolo del dossier sul numero di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione, dedicato alle prospettive che si aprono ai giovani dopo la scuola superiore.
 
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  davar
LE IDEE CONFUSE DI EUGENIO SCALFARI
La 'Legge mosaica' e le cantonate
I ripetuti riferimenti di Eugenio Scalfari alla “legge mosaica” nei suoi articoli di questi giorni mostrano evidenti errori e distorsioni che non possono essere lasciati senza risposta. Qui di seguito un'analisi delle sue parole (riportate in neretto).

La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso: "Onora il tuo Dio, non nominare il nome di Dio invano, non avrai altro Dio fuori di me". Poi, per analogia, ordina di onorare il padre e la madre.

Bisogna prima di tutto precisare che l’uso corrente del termine “legge” deriva dalla versione greca della parola Torà, tradotta come nomos, e di qui “legge”. Ma Torah significa “insegnamento” ed è un concetto ben più vasto della legge, anche se la Torah contiene la legge.
I dieci comandamenti (che nell'originale ebraico non sono “comandamenti” ma “parole”) sono un condensato della “legge” solo in un certo senso. Per gli ebrei tutta la Torah e sacra e condensarla nelle dieci parole è riduttivo e selettivo. La selezione l'ha fatta la tradizione cristiana in coerenza con le sue scelte, non quella ebraica.
Le dieci parole iniziano con la frase “Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi”. E' con queste parole e non con altre (inventate) che il “Dio mosaico” descrive anzitutto sé stesso, e non è un condensato della “legge” ma una proclamazione di libertà.
“Onora il tuo Dio” infatti non è scritto nelle dieci parole. E' invece ordinato di onorare i genitori. E non è certo un difetto, è un fondamento della civiltà; e fa parte della visione religiosa dell'ebraismo trasportare il divino nell'umano.
Nella legge mosaica non compare la parola “diritto”, ma solo i doveri, di fare e di non fare. E' una scelta sorprendente per chi è abituato a parlare solo dei diritti come fondamento della legge. Ma tutto questo non vuol dire affatto che la legge non contempli diritti. Il diritto è implicito nel dovere. Garantire i diritti con la forza dei divieti. Il diritto alla vita è implicito nel divieto di uccidere (perché l'uomo è immagine divina, Gen. 9:6), il diritto alla proprietà nel divieto di rubare, il diritto al riposo settimanale è implicito nella legge del Sabato, il diritto del lavoratore al compenso tempestivo è implicito nel divieto di trattenere la paga (Lev. 19:13) e avanti con tanti altri esempi. La storia dell'umanità alla ricerca dei diritti è profondamente debitrice alla “legge mosaica”, anche se se lo dimentica o esprime i diritti con un linguaggio differente.  Rav Sacks ha scritto che le dichiarazioni fondamentali che sanciscono i diritti degli uomini parlano “con accento ebraico”.

Infine si apre il capitolo dei divieti, dei peccati e delle colpe che quelle trasgressioni comportano: "Non rubare, non commettere atti impuri, non desiderare la donna d'altri (attenzione: il divieto è imposto al maschio non alla femmina perché la femmina è più vicina alla natura animale e perciò la legge mosaica riguarda gli uomini)".

Non si può giudicare la religione ebraica con il semplice confronto con il cristianesimo. Il fatto di essere religione non significa che le religioni siano uguali. L'esperienza religiosa ebraica si occupa anche di organizzare la società con la legge, così come ogni società si fonda sulla legge.
E' vero che il testo parla al maschile. Ma questo non vuol dire che le leggi riguardino solo gli uomini e che alle donne sia lecito uccidere, rubare, mancare di rispetto ai genitori (tra cui c'è anche la madre, di sesso femminile) e così via. Nell’adulterio la pena è esplicitamente per adultero e adultera (Lev. 20:20).
Il linguaggio biblico è “sessista”; ma la critica al linguaggio sessista è una novità recentissima. Persino nelle opere aggiornate degli antropologi culturali che dovrebbero essere i più egualitari si usa un linguaggio sessista; per esempio nella descrizione degli incesti, partendo da quanto è proibito ad un uomo e non a una donna.
Veramente ardua la conclusione che la femmina sia più vicina alla natura animale (ammesso che l'animalità sia un difetto). Sembra più un’invasione di cultura greca o comunque di cultura non ebraica, che un concetto biblico. La prima donna, Eva, viene creata dalla “costola” di Adamo, che invece era stato creato dalla terra. Difficile pensare che sia considerata vicina all'animale la matriarca Sara, alle cui istruzioni il marito Abramo è obbligato ad attenersi (Gen. 21:12), e vicine agli animali le levatrici che disobbediscono al Faraone o la misericordiosa figlia del Faraone che salva Mosè e così via per tanti esempi.

Il Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all'ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe della stirpe di David. Non contempla alcun Figlio il Dio mosaico; non esiste neppure il più vago accenno alla Trinità. Il Messia - che ancora non è arrivato per gli ebrei - non è il Figlio ma un Messaggero che verrà a preannunciare il regno dei giusti. Né esistono sacramenti né i sacerdoti che li amministrano. Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire chi premia l'uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge.

In questo brano esplode con tutta la sua forza l'antica dottrina oppositoria che è stata la bandiera dell'antigiudaismo cristiano per secoli. Il Dio vendicatore opposto a Gesù di Nazareth. Questa dottrina ha un nome preciso, marcionismo, dall'eretico Marcione che ne fece uno dei cardini del suo insegnamento. Marcione fu condannato dalla Chiesa, ma l'opposizione da lui drammatizzata tra due divinità fu recepita e trasmessa. Solo da pochi decenni la Chiesa se ne distacca ufficialmente, riconoscendola non solo come errore, ma anche come strumento illecito di predicazione di antagonismo e di odio.  Ma chi ha studiato o forse solo ascoltato certi concetti in una lontana età giovanile, e non ha avuto l'interesse a rimetterli in discussione, ripropone in forma volgare e trita le antiche idee.
Che sono sbagliate perché il Dio della Bibbia ebraica (per non parlare di quello della tradizione rabbinica) è giustizia e amore, come possono attestare numerose fonti che non c'è spazio qui per citare. E' il Dio misericordioso (Es. 34:6) che perdona i suoi servi (sì, servi suoi, ma solo di lui e per questo liberi, servi di nessun uomo!) proprio quando non hanno eseguito la sua legge. Nulla avrebbe senso nell'ebraismo senza il perdono. Il Signore della legge mosaica non ricorda i peccati di gioventù (Salmo 25:7) e di questo anche chi ha scritto evocando fantasmi antigiudaici dovrebbe essere grato.
Che poi Gesù di Nazareth sia solo amore e non giustizia, in una melensa rappresentazione di comodo buonismo imperante, è tutto da dimostrare.
Il marcionismo qui rispolverato in un’affrettata esposizione parateologica è in altri contesti ancora più pericoloso. E' stato ed è la chiave di interpretazione della politica israeliana, che è cattiva e vendicatrice per definizione, appunto perché viziata dalla macchia ancestrale della religione che la esprime. Quando il giudizio va oltre la politica partendo da un pregiudizio religioso introiettato anche da chi si dichiara laico, i risultati sono disastrosi. Proprio nel giornale diretto da Scalfari non sono mancati testi e titoli (“la vendetta di Israele”) ispirati a questi concetti.

Nei secoli che seguirono, fino all'editto di Costantino che riconobbe l'ufficialità del culto cristiano, il popolo che aveva seguito Gesù offrì martiri alla verità della fede, fondò comunità, predicò amore verso Dio e soprattutto verso Cristo che trasferì quell'amore alle creature umane affinché lo scambiassero con il loro prossimo. Nacquero così l'agape, la carità e l'esortazione evangelica "ama il tuo prossimo come te stesso".
Questo è il Dio che predicò Gesù e che troviamo nei Vangeli e negli Atti degli apostoli. Un Dio estremamente misericordioso che si manifestò con l'amore e il perdono.

Il popolo ebraico non ricorda in verità molti esempi di amore e perdono nei suoi confronti da parte delle comunità che in Gesù si riconoscevano.
L'esortazione evangelica "ama il tuo prossimo come te stesso" è anche evangelica ma viene dalla legge mosaica, Levitico 19:18.
In conclusione: gli errori citati non sono la simpatica confusione di una rispettabile tarda età, ma vengono da molto lontano, nella biografia dell’autore e in una lunga storia di opposizione e disinformazione teologica.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma 

libri
Terra dalla pace anarchica
"La sconfitta della parola è la vittoria della guerra. Non è la pace della non aggressione, che usa la guerra preventiva per assicurare a ciascuno la propria posizione, il proprio conto; piuttosto è la pace della non-indifferenza verso la differenza dell’altro che irrompe d’improvviso interrompendo il tempo". Lo scrive Donatella Di Cesare, docente di filosofia all'Università Sapienza di Roma, nel suo ultimo libro “Israele. Terra, ritorno, anarchia". Edito da Bollati Boringhieri, il volume è da oggi in distribuzione nelle librerie italiane. Sull'ultimo numero di Pagine Ebraiche i lettori possono trovare un'anticipazione.
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memoria
Roma si inchina al Veneziano
A pochi giorni dalla cerimonia in ricordo del 70esimo anniversario delle deportazioni del 4 gennaio Roma si inchina alla figura di Mario Limentani, detto “Il Veneziano”, uno degli ultimi sopravvissuti italiani alla Shoah ancora in vita. Lo fa attraverso un libro prezioso – La scala della morte. Mario Limentani da Venezia a Roma, via Mauthausen (Marlin editore) – in cui l'autrice Grazia Di Veroli ripercorre gli aspetti peculiari della vita di Zi Mario elaborando ricordi ascoltati in prima persona e interviste raccolte dagli archivi della Memoria. Il libro sarà presentato questa sera alle 20.30 al Museo ebraico di Roma con interventi degli storici Anna Foa, Mario Avagliano e Marcello Pezzetti. Saranno presenti sia l'autrice che il Testimone.
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pilpul
Setirot - Pensare la pace
Il prossimo 17 gennaio, in tutta Israele, nelle città grandi e piccole, a nord come a sud, è in programma una mobilitazione indetta da Peace Now e dal Forum delle ONG israeliane per la pace con lo scopo di sostenere i negoziati e chiedere al governo di rispondere positivamente alle proposte di John Kerry. Anche questo – piaccia o no – è un modo di augurare e di testimoniare che Am Israel Hai, di far sentire l'amore per il proprio popolo e per lo Stato di Israele.
Cocciuti, anche se in apparenza perdenti, ma tuttora convinti che “Due Stati per Due Popoli” sia la sola strada percorribile, dobbiamo continuare a dire che gli israeliani e i palestinesi sono diversi da chi oggi li governa, che gli israeliani e i palestinesi continuano, per il 60-65%, a essere in ambedue i campi favorevoli ai due Stati
.

Stefano Jesurum, giornalista
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Time out - Violenza delle parole
Vi è un pericoloso equivoco nell'idea che la democrazia consista nella libertà di parola in termini assoluti. Per carità, la bontà delle idee non va decisa per legge, ma non si può pensare che il diritto all'offesa e l'incitamento alla violenza possano costituire una prerogativa della democrazia liberale. Una società dove in nome della libertà nessun comportamento è regolato, più che alla democrazia dei nostri sogni assomiglia allo stato di natura descritto da Hobbes. Un luogo dove il più forte urla di più e ci si augura che sia solo la cultura l'unico antidoto a fermare la violenza. Purtroppo non è così. E per questo sbaglia chi ritiene che Dieudonnè non debba essere punito per le sue affermazioni.

Daniel Funaro
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