
Paolo Sciunnach,
insegnante
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Quale è il punto di vista della Torah in
merito al principio di maggioranza e alla considerazione della
minoranza? Che spazio ha questo sistema nella Halakhah?
In epoca antica, il popolo ebraico era governato dal re. Figura
ebraicamente ritenuta discutibile già ai tempi di Shemuel. Regno di
Israele non significava però monarchia assoluta. Il re veniva scelto
dal popolo anche se investito dal Profeta. Il potere del re d’Israele
era vincolato alla Torah stessa che ne limitava i poteri. Il re era
comunque sottoposto al controllo del potere giudiziario dei
Maestri.
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Anna
Foa,
storica
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Una vita.
Muoiono mille a mille.
Non si alzano.
Mai,
mai più.
Sono versi di una poetessa diciassettenne di Czernowitz morta nella
Shoah, incisi nel bronzo nel Memoriale ebraico della città tedesca di
Eisenach. Cugina di Paul Celan, era un'altra delle tante voci spente
sul nascere che avrebbero potuto, se lasciate in vita, elevarsi alte
nel panorama culturale del Novecento. E' una figura poco conosciuta
questa della giovanissima Selma Meerbaum-Eisinger, che Francesca
Paolino, la germanista che ne sta studiando l'opera, racconta in un
libretto delle edizioni del Faro, Una vita. Selma morì in un campo di
lavoro di Michailovka nel dicembre 1942 e di lei ci restano, oltre ai
suoi versi e alle sue fotografie, il racconto che della sua morte fa un
artista suo compagno di prigionia, Arnold Daghani, oltre a un disegno
in cui questi raffigura il corpo morto della poetessa calato dalla
cuccetta su cui era morta, conservato a Yad Vashem.
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MILANO – Alle ore 18.30 al Centro culturale
svizzero (Via Palestro 2), appuntamento con la presentazione del libro
“Nel caso non ci rivedessimo. Una famiglia tra deportazione e salvezza
1938-1945” (Edizioni Archinto). Parteciperanno insieme all’autore
Giorgio Sacerdoti, giurista e consigliere dell’Unione delle Comunità
Ebraiche italiane, Ulrico Hoepli, editore e Sandro Gerbi, giornalista.
MILANO – Appuntamento al Cinema Anteo (via Milazzo 9) alle ore 20.30
per la proiezione del film “Il viaggio più lungo”, con la regia di
Ruggero Gabbai (autori gli storici Marcello Pezzetti e Liliana
Picciotto, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).
TORINO – Domani alle 17.00, al Museo Diffuso della Resistenza di
Torino, in Corso Valdocco 4/A, inizierà il seminario “Le politiche
della memoria nel secondo dopoguerra: il caso Delbo”. Con Robert Gordon
- autore del volume Scolpitelo nei cuori: l’Olocausto nella cultura
italiana (1944-2010) - ed Elisabetta Ruffini - curatrice della mostra
“Charlotte Delbo. La storia e la memoria” che aprirà il 27 nella stessa
sede. - ne discutono Anna Bravo, Alberto Cavaglion, Diego Guzzi.
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Progetti Otto per Mille
Presentazione domande |
Scadrà il 28 febbraio il termine per la
presentazione dei progetti da realizzare con il contributo Otto per
Mille. Gli Enti o associazioni interessati dovranno compilare
l'apposita scheda dimostrando di aver presentato il modello EAS
all'Agenzia delle Entrate. La Commissione Bilancio e Otto per Mille
valuterà l'ammissibilità dei progetti e proporrà l'assegnazione del
contributo previa approvazione del Consiglio dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane.
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“Bergoglio vuole aprire
gli Archivi su Pio XII” |
Più vicina l’apertura degli Archivi vaticani
su Pio XII e il periodo della Shoah. È quanto afferma in un’intervista
al Sunday Times il rabbino conservative molto vicino a Bergoglio
Abraham Skorka dopo il suo ultimo incontro con il pontefice, spiegando
come quest’ultimo voglia arrivare alla verità prima della
canonizzazione. “La volontà di aprire gli archivi è sempre esistita” ha
ribadito il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi (la
Stampa). Il Corriere della Sera) interpella monsignor Sergio Pagano,
prefetto dell’Archivio Segreto vaticano: “È un’operazione complessa, ci
lavoriamo da sei anni. Anche se, considerate le forze a disposizione,
non potrei fare ora una stima, dire se ci vorrà ancora un anno, un anno
e mezzo… Dopodiché deciderà il Papa”.
“Un’analisi impietosa dell’assunto che sta a base di una iniziativa
lodevole e nata con le migliori intenzioni: l’assunto secondo il quale
il ricordo pubblico, mentre i sopravvissuti se ne vanno e svanisce
fatalmente l’esperienza di una memoria diretta dello sterminio, possa
fare da antidoto alla ricaduta nella barbarie”. Così sulla sua rubrica
Particelle elementari del Corriere della Sera Pierluigi Battista
definisce “Contro il Giorno della Memoria”, l’opera di Elena Loewenthal
(Add editore) in questi giorni in libreria. Sul Fatto quotidiano
intanto Furio Colombo ricorda “Quando, proponendo alla Camera la legge
che istituisce il Giorno della Memoria, ho dovuto affrontare la forte
spinta di varie parti politiche, ovvero ricordare insieme gli orrori
della Storia (Shoah ma anche gulag ma anche foibe) non mi sono illuso
di fare accettare l’immensa e tragica unicità dell’evento ma ho
proposto un dato di esperienza e di realtà. In quell’aula e in ciascuno
dei posti in cui noi deputati sedevamo, le leggi “per la difesa della
razza italiana” erano state votate all’unanimità. Ho chiesto ai miei
colleghi di riconoscere che la Shoah è un delitto italiano. È solo un
simbolo, il Giorno della Memoria. Ma è il voto è stato unanime”.
Sul Giorno-Carlino-Nazione si ricorda il grande concerto “I violini
della speranza” organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane insieme all’Università Ebraica di Gerusalemme e l’Associazione
BrainCircleltalia all’Auditorium Parco della Musica di Roma per il 27
gennaio.
A Roma incontro in ricordo dell’ex primo ministro e generale israeliano
Ariel Sharon nei locali del centro comunitario di via Balbo. Il
Corriere Roma ritiene necessario segnalare che “la serata si è svolta
senza incidenti”.
Sulla Stampa Maurizio Molinari racconta “la partita a scacchi sulla
Siria” a due giorni dall’inizio della conferenza di pace.
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27
gennaio - la missione ucei-miur a cracovia
Tutelare
la Memoria viva
Siglato un nuovo impegno
Una
circolare per consolidare il lavoro di Memoria svolto congiuntamente
dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e
dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Firmatari il ministro
Maria Chiara Carrozza e il presidente UCEI Renzo Gattegna, impegnati in
queste ore nel Viaggio della Memoria a Cracovia e Auschwitz Birkenau
assieme al presidente del Senato Pietro Grasso, ai Testimoni della
Shoah Sami Modiano e Andra e Tatiana Bucci, all'ambasciatore d'Italia
in Polonia Riccardo Guariglia, all'assessore UCEI alle scuole Raffaele
Turiel, al rav Alberto Funaro e a Marika Venezia, moglie dell'ex
sonderkommando Shlomo, e con il coinvolgimento di oltre un centinaio di
studenti italiani.
“Questa circolare, che segue il protocollo d'intesa siglato lo scorso
anno, dà il senso di un impegno molto concreto che sta dando i suoi
frutti” ha affermato il presidente dell'Unione nella sinagoga Temple di
Cracovia al termine della visita al ghetto nazista e al quartiere
ebraico di Kazimierz. Soddisfazione condivisa dal ministro Carrozza,
che ha sottolineato “l'importanza di stare tutti assieme, Testimoni e
autorità, insegnanti e studenti”, e dal presidente Grasso, la cui
partecipazione al Viaggio arriva a compimento di un percorso di Memoria
apertosi lo scorso 16 ottobre con le manifestazioni in ricordo della
deportazione degli ebrei romani.
Da tutti i partecipanti un ringraziamento per i Testimoni per la loro
straordinaria dedizione affinché dal dramma della Shoah possa essere
appresa una lezione per un futuro di pace e convivenza civile tra tutti
i popoli. In queste ore sono proprio i Testimoni a guidare per mano la
comitiva nell'orrore del lager e dell'inferno concentrazionario. I
ricordi, le emozioni, il dolore si accavallano mentre il gruppo –
guidato dallo storico Marcello Pezzetti e dai ricercatori della
Fondazione Museo della Shoah di Roma – si muove tra la Bahnrampe, il
Krematorium II, la Zentralsauna, il campo femminile, il Kinderblock.
Davanti ai resti del crematorio rav Funaro recita il kaddish e suona lo
shofar in ricordo di quanti persero la vita in nome dell'odio e della
più bieca violenza. Alla “rampa della morte” Sami ricorda il trauma
dell'arrivo dopo oltre un mese di viaggio da Rodi, mentre le sorelle
Bucci – scambiate dai nazisti per gemelle – raccontano la loro
miracolosa salvezza. Un momento di riflessione è inoltre dedicato allo
sterminio dei popoli rom e sinti. Nel pomeriggio, dopo la visita ad
Auschwitz 1 e al Museo, è prevista una cerimonia istituzionale in
ricordo di tutte le vittime del campo nel cortile tra i Block 10 e 11.
Adam Smulevich
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musica
Claudio
Abbado (1933-2014)
Schivo,
attento al valore e al suono di ogni parola, più volentieri ascoltava,
raramente accettava un’intervista, e anche in quel caso erano lunghi
silenzi. Claudio Abbado tendeva a ritrarsi, perché “ascoltando
s’impara, e così dovrebbe essere anche nella vita: se tutti gli uomini
conoscessero meglio la musica, le cose funzionerebbero assai meglio”.
Fu molto condizionato dal clima tremendo del periodo fascista, dal
suono delle fucilazioni di partigiani che sentiva nelle vie vicine, e
ricordava con particolare emozione un’irruzione a casa sua della
Gestapo, che avvenne per sua colpa.
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ariel
sharon
Il
Leone che sapeva ascoltare
“Non aveva bisogno di chiedere lumi ad
altre persone per assumere le sue decisioni. Ma nel corso della
maturazione delle sue decisioni, amava consultarsi, era un avido
consumatore di informazione, attentissimo ai dettagli, gentile e
rispettoso con i suoi interlocutori”.
Sul giornale
dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche di febbraio, presto in
distribuzione, Sergio Della Pergola, l'ultimo consigliere strategico
del grande leader israeliano Ariel Sharon, massimo esperto di
demografia ebraica e docente di punta all’Università ebraica di
Gerusalemme, traccia un ritratto inedito dello statista recentemente
scomparso, ripercorrendo la sua carriera militare e politica.
Un'occasione straordinaria di comprendere la realtà e la complessità di
Israele al di là dei luoghi comuni. Ne anticipiamo i contenuti qui di
seguito. Per ricordare Ariel Sharon si è svolta fra l'altro a Roma una
serata nel centro comunitario di via Balbo, con molti interventi e la
partecipazione dell’ambasciatore d’Israele Naor Gilon e del
corrispondente della Stampa Maurizio Molinari.
Alla fine del nostro ultimo incontro sui problemi della demografia
ebraica in Israele, alle tre e mezza del pomeriggio del 18 dicembre
2005, Ariel Sharon, seduto di fronte a me al tavolo delle riunioni del
governo di Israele, mi chiese: “Posso tenermi i fogli del tuo
powerpoint?” Al che gli risposi: “Ma certo, Signor Primo Ministro, è
tutto suo!”. La domanda rivoltami era stupefacente: l’uomo più potente
di Israele, abituato a dare ordini centinaia di migliaia di soldati e a
determinare i destini di milioni di civili, mi chiedeva con un ampio
sorriso, quasi timido, se poteva tenersi i miei grafici e le mie
tabelle per poterli studiare più attentamente in vista di una prossima
ripresa della nostra conversazione. Che però non ci sarebbe stata:
quella stessa sera Sharon subiva il suo primo ictus dal quale si
sarebbe ripreso solo per subirne due settimane dopo un secondo, questa
volta fatale e irreversibile. Poi, dopo otto anni, Ariel Sharon se n’è
andato, il più grande soldato e l’ultimo dei grandi leader che hanno
creato e guidato lo Stato ebraico, o – nelle parole dello Sceicco
Nasrallah, capo di Hezbollah – l’ultimo re d’Israele. Nella storia di
Israele, Sharon si è assicurato un posto certo come geniale e
carismatico comandante militare – gravemente ferito a Latrun nella
guerra d’indipendenza nel 1948, fondatore e stratega del commando dei
paracadutisti nel 1950, autore del lancio al passo di Mitle nella la
campagna del Sinai nel 1956, vincitore della decisiva battaglia di
mezzi corazzati a Um Catef nella guerra dei Sei Giorni del 1967, autore
contro gli ordini dei suoi superiori dello sfondamento del fronte
egiziano sul Canale di Suez nella guerra del Kippur nel 1973. Il suo
prestigio fu gravemente compromesso nella prima guerra libanese del
1982 per le eccessive perdite militari subite nella melma
maronita-sciita-sunnita-drusa. Ma la caduta venne soprattutto per la
strage di Sabra e Shatila, un tragico momento di annebbiamento del
livello di giudizio generalmente lucido di Sharon che non impedì alle
sanguinarie orde cristiane di compiere il massacro di centinaia di
palestinesi. L’errore ingenuo e grave fu quello di avere fiducia
nell’alleato maronita. Furono le Falangi cristiane a massacrare, e
ancora oggi aspettiamo un’autorevole voce di presa di responsabilità e
di condanna definitiva di quell’atto abominevole – dal pulpito di Roma
o da altra apostolica sede. Invece la strage – esemplare atto di
libello di sangue – fu accollata agli israeliani e costò a Sharon
l’allontanamento dal posto di ministro della Difesa. Anche come
politico Sharon ha lasciato un segno indelebile: fondatore del Likud e
anni dopo di Kadima, grande architetto e costruttore di insediamenti
nei territori palestinesi, ma anche protagonista dello sgombero della
zona di Yamit nel 1982 e di Gush Katif nel 2005. Gli ingrati zeloti,
oggi critici di Sharon, dovrebbero ricordarsi che senza di lui loro non
sarebbero mai esistiti. Sharon fu anche protagonista della costruzione
della prima casa per centinaia di migliaia di nuovi immigrati
dall’Unione Sovietica. Divenuto primo ministro disse: “Da qui si vedono
cose che da lì non si vedono”, e iniziò una drammatica stagione
politica. Da un lato, una durissima repressione del terrorismo
palestinese; dall’altro, l’inizio di un’inevitabile separazione fra
israeliani e palestinesi con la costruzione della barriera di difesa
che segnalava alle due parti l’esistenza di uno spazio territoriale e
politico inevitabilmente da suddividere. L’obiettivo dichiarato era di
assicurare a Israele uno stato permanentemente ebraico e democratico,
non uno stato binazionale o uno stato di apartheid. Sharon, come Ben
Gurion e come Begin, aveva ben presenti e spesso richiamava le
necessità e il destino del popolo ebraico, in Israele e nella Diaspora.
Avevo ascoltato per la prima volta Sharon alla cena conclusiva della
conferenza di Herzliya il 4 dicembre 2002, seduto a pochi metri da lui.
Assieme a una durissima requisitoria contro l’Autorità palestinese,
Sharon pronunciò queste due storiche frasi: “Negoziati saranno aperti
per determinare lo status finale dello Stato palestinese e per fissare
i suoi confini permanenti. Israele è disposto a fare concessioni
dolorose per una vera pace”. Quella sera pensai di avere bevuto troppo
e di non aver ben capito, ma era l’annuncio di una scelta consapevole.
Il 25 ottobre 2004 Sharon ribadì drammaticamente alla Knesset: “Noi non
vogliamo governare in modo permanente su milioni di palestinesi che
raddoppiano il loro numero ogni generazione”. Era la presa di coscienza
di un problema demografico oltre che civile che nell’agosto del 2005
avrebbe portato alla hitnatkút, lo sgombero delle truppe e degli
insediamenti da Gaza e dalla parte settentrionale della Samaria. Un
ulteriore ritiro da altre parti della Cisgiordania sarebbe sicuramente
seguito se non fosse intervenuta nel 2006 la vittoria di Hamas e del
terrorismo negazionista alle elezioni di un’Autorità palestinese
rinnovata fino al 2011 (e poi scaduta). E poi il grave ictus. La
centralità della demografia nel pensiero di Sharon derivava certo dalle
sue letture ma probabilmente anche dall’influenza di Ehud Olmert.
Olmert, alle origini collocato a destra del Likud, era stato sindaco di
Gerusalemme dal 1993 al 2003. Per lui avevo preparato le proiezioni
demografiche per il piano di sviluppo fino al 2020 che indicavano la
forte erosione fino alla quasi scomparsa della maggioranza ebraica in
città. Nel rapporto finale scrissi che se si voleva mantenere la
capitale come città ebraica, era necessaria la separazione dei
quartieri arabi da quelli ebraici. Olmert mi disse che non era
d’accordo ma che la mia voce era importante, e intanto era diventato il
consigliere più vicino di Sharon. Forse fu lui a convincerlo che i
tempi della demografia giocavano nettamente a sfavore della parte
ebraica. Nel luglio del 2005, i ricercatori del Jewish People Policy
Institute di cui allora facevo parte furono invitati alla seduta di
governo in cui si parlò fra l’altro della demografia degli ebrei nel
mondo e in Israele. Il più diligente attorno al tavolo era Sharon che
prendeva appunti e alla fine sintetizzò bene la discussione. Convenimmo
di rivederci per discutere più a fondo dei problemi. Ci trovammo nel
suo ufficio con i suoi principali consiglieri, e sia all’inizio sia
alla fine della seduta lui espresse la sua preoccupazione per la
situazione del popolo ebraico, anche se non prese parte attiva al
colloquio. Con Sharon e i suoi più alti funzionari ci rivedemmo ancora
in dicembre per discutere più concretamente del rapporto
maggioranza/minoranza in Israele e soprattutto dei livelli della
natalità nel paese. Presentai un’analisi delle tendenze e delle
politiche possibili a favore delle famiglie intese a sostenere quelle
ebraiche senza discriminare quelle arabe. Col suo senso dell’umorismo
un po’ cinico Sharon si rivolse al segretario generale del governo e
gli chiese “Tu quanti figli hai?” E alla risposta “Due” gli replicò
“Vai subito a casa e fai qualcosa”. Discutemmo soprattutto della
necessità di provvedere sovvenzioni agli asili nido per permettere alle
giovani coppie di lavorare e di poter raggiungere e mantenere il numero
di figli desiderato che in Israele è in media 3-4. L’idea, che in
seguito ebbi modo di discutere anche con gli uomini di Olmert divenuto
primo ministro, sarebbe stata finalmente applicata dal governo
Netanyahu dopo i movimenti di protesta dell’estate del 2011. Alla fine
dell’ultima riunione con Sharon fui molto impressionato dalla franca e
amichevole stretta di mano, dal gran sorriso dell’uomo che non era più
seduto, e in piedi di fronte a me mi sembrava sorprendentemente basso e
largo, ben più che non nelle immagini televisive. Sharon per prendere
le grandi decisioni non aveva bisogno di chiedere lumi ad altre
persone. Ma nel corso della maturazione delle sue decisioni, amava
consultarsi, era un avido consumatore di informazione, attentissimo ai
dettagli, gentile e rispettoso con i suoi interlocutori. Con lui è
passato l’ultimo grande timoniere della politica in Israele – a meno
che, chissà, l’attuale Premier non si decida ad assumere questo ruolo.
Sergio Della Pergola,
Università ebraica di Gerusalemme
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Oltremare
- Il giallo |
Nella
Casa degli Artisti sotto casa mia è in corso una bella mostra, che
nessun israeliano avrebbe veramente bisogno di vedere. Ai muri
bianchissimi sono appesi quadri enormi quasi completamente
monocromatici che vanno dal giallino all'ocra, con qualche pennellata
di marroncino e una virata al rosa qua e là. Sono orizzonti appena
definiti da linee in lontananza. Titolo: chamsin. Cioè sharav o
scirocco.
Come già accennato in precedenti Oltremare, il chamsin è una condizione
atmosferica a dir poco sgradevole fatta di sabbia in sospensione
nell'aria, caldo soffocante e vento caldo.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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In
cornice - La Pazienza |
La
Galleria Palatina di Firenze sembra fatta apposta per causare la
sindrome di Stendhal: i capolavori uno accanto l'altro, uno appena
sopra all'altro, in sale non troppo ampie ricoperte di broccato rosso,
rischiano di tramortire i più sensibili e fanno venire la pelle d'oca a
tutti. Per valorizzare ogni singola opera della Galleria, non resta che
porla fuori dal normale contesto espositivo e illustrarla con cura.
Questo è stato fatto con successo per "Allegoria della Pazienza" di
Vasari, non una delle tele migliori della Galleria (stavolta mi sono
bastati due Ribera, un Rubens, un meno noto Salviati - per sentirmi già
sazio). Ma scavando meglio, si scopre che quel quadro ha lanciato
un'iconografia nuova della pazienza.
Daniele Liberanome, critico d'arte
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Tea
for two - Noi |
A
volte scrivere tea for two mi imbarazza. Stavo placidamente lavando i
capelli, momento cult della sessione domenicale, quando, imbracciando
il phon, sono diventata vitrea: dovevo scrivere la rubrica del lunedì.
Cavolo. Questa impasse si appropria di me in due momenti ben precisi;
quando succede una tragedia mondiale o quando c'è un clima teso nella
vita dell'ebraismo italiano. Inizio quindi a domandarmi: "Ma davvero,
che senso ha che mi metta a scrivere di trini e merletti mentre tutti
lanciano improperi a tutti?".
Rachel Silvera, studentessa/stagista
Leggi
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