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6 luglio 2014 - 8 Tamuz 5774
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
Nessuna preghiera va perduta. Perché il rapporto tra Dio ed Israele non è casuale, come quello con Bilam, ma intenzionale e fondato sull'affetto.
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
“In silenzio, aperti a chi ci vorrà fare visita, per riflettere, in silenzio, ma insieme, sul valore della vita”. Con lo slogan "aperti per lutto", giovedì sera a Firenze nei giardini della sinagoga le porte sono rimaste aperte, come il giovedì della settimana precedente, pur con un programma diverso dal solito. È stato importante che quel luogo  non fosse “chiuso per lutto”, che nessuno fosse tentato dal fascino del rinchiudersi, o del ripiegarsi su se stesso. Alle volte il silenzio può essere inteso come una pratica di rigenerazione. Non è una soluzione, ma ha un grande valore. La comunicazione è efficace quando marca la distanza rispetto al previsto. L’intelligenza politica non è soggiacere all’abitudine, è capacità di replica, senza subire il ricatto del fatto compiuto.
 
Ucei-Fondazione Cantoni Borse di studio per Israele
Anche per l’anno accademico 2014-2015 l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Fondazione Raffaele Cantoni tornano a offrire borse di studio per ragazzi italiani che intendono sostenere un progetto di formazione nello Stato di Israele.
 
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Fecondazione eterologa, una prospettiva ebraica
L’autopsia ha dato il suo risultato: Mohammed, il giovane palestinese ucciso negli scorsi giorni da ignoti, è stato bruciato vivo. Mentre le forze di sicurezza indagano sul movente dell’omicidio e nessuna ipotesi sembra esclusa, non si placano le tensioni non solo sul fronte interno ma anche con la Striscia di Gaza. Ieri infatti due missili lanciati dalla Striscia hanno puntato la città di Beersheba, 200mila abitanti: sono stati intercettati dal sistema difensivo Iron Dome (una cronaca, tra gli altri, di Davide Frattini sul Corriere della sera). Sulla Stampa Maurizio Molinari traccia l’identikit dei gruppi di lotta palestinese: “Agiscono a piccoli gruppi, non rispondono ai partiti, odiano Israele, disprezzano Abu Mazen e includono donne: sono gli shabab di Gerusalemme Est protagonisti della rivolta di Shuafat che contagia altri centri arabi, su entrambi i lati del confine del 1967”.
L’inquietante figura di Abu Bakr Al Baghdadi, l’autoproclamatosi califfo dell’Islam responsabile di migliaia di morti nelle ultime settimane, si manifesta una prima volta davanti alle telecamere. Dal pulpito della moschea di Mosul il terrorista rivendica la scia di sangue e sembra manifestare aspirazioni sempre più estese. “Il luogo, le circostanze, il momento. Tutto – scrive Alberto Stabile su Repubblica – spinge a considerare che l’inedita uscita pubblica del capo dello ‘Stato islamico’, sigla tristemente famosa per le crudeltà praticate nel mattatoio siriano, oggi orbata della definizione ‘dell’Iraq e del Levante’ (Isis), a significare che non ci si riferisce più a questa quella regione araba, ma alla comunità intera dei musulmani, sia stata accuratamente studiata per lanciare una serie di messaggi”. Il principale dei quali sembra essere: “Non vi fate illusioni. Siamo qui per restare”.
Una prospettiva ebraica sul tema della fecondazione eterologa. Ad offrirla è il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni con un intervento che appare sul domenicale del Sole 24 Ore. “Nella storia di tante culture – scrive il rav – non vi sono stati grandi dubbi su come definire chi è la madre; ma oggi abbiamo una madre genetica e una gestante, tra un po’ forse non ci sarà la gestante, sostituita da chissà cosa. E allora come si fa a costruire di corsa un nuovo sistema di valori che sia il più possibile condiviso, dovendo decidere in poco tempo ciò che prima veniva stratificato sull’esperienza di millenni? La risposta dei mondi religiosi, come quello ebraico, è di non staccare il legame con il passato ma di trovare il modo di un’evoluzione coerente. Questo dà ad ogni decisione autorevolezza, condivisione, sicurezza e, per chi ci crede, sacralità”.
 
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  davar
iSRAELE
"Gli assassini saranno puniti"

“Andremo in fondo a questa tragedia e i responsabili saranno puniti dalla giustizia”. È la promessa del presidente della Repubblica israeliana Shimon Peres, intervenuto in occasione degli arresti dei presunti responsabili dell’uccisione di Mohammed Abu Khadir, il giovane palestinese brutalmente ucciso negli scorsi giorni (l’autopsia ha rivelato che con tutta probabilità è stato bruciato vivo). A prendere forma con sempre maggiore evidenza, come anticipato dal quotidiano Yedioth Ahronot e come ormai sostenuto da tutti i principali media nazionali, è la pista dell’assassinio come atto di vendetta all’omicidio di Eyal, Gilad e Naftali, i tre studenti di yeshivah rapiti e uccisi nel Gush Etzion. “Non lasceremo nulla di intentato per arrivare alla verità su questo orrendo delitto. Israele è uno Stato di diritto e la legge deve essere rispettata da tutti. Non ci saranno coperture o omissioni, l’indagine della polizia accetterà la verità e i killer saranno puniti”, le parole del Capo dello Stato durante un incontro con la stampa estera svoltosi in mattinata a Sderot, la località maggiormente bersagliata (da anni e in particolar modo nelle ultime ore) dal lancio di missili dalla vicina Striscia di Gaza. La matrice degli arresti (al momento ne sono stati annunciati sei) ha profondamente turbato l’opinione pubblica israeliana, già scossa dal video che riprende il pestaggio di un cugino di Mohammed, Tariq Abu Khdeir, fermato e picchiato da alcuni soldati alla vigilia dei funerali. Ad intervenire anche la diplomazia americana che, in virtù del passaporto statunitense detenuto da Tariq, ha richiesto pronti ed efficaci accertamenti.
La tensione continua a correre sia sul fronte interno, con violenti scontri concentrati in particolare nell’area di Gerusalemme Est, sia con le continue minacce da Gaza. L’ultimo attacco, diretto verso la città di Beersheba (circa 200mila abitanti), è stato sventato grazie al sistema anti-missilistico di Iron Dome. Le forze di sicurezza israeliane hanno intanto catturato un palestinese sospettato di complicità nell’assassinio di Eyal, Gilad e Naftali.
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BRASILE 2014
Rabbini nel pallone
Si può guardare ai Mondiali in tanti modi: prendendo in considerazione la dimensione tecnico-agonistica, appassionandosi alla scenografia e al circus mediatico che fa da contorno alle partite, vedendo nel torneo un significativo momento di incontro tra popoli e culture diverse. E ci si può avvicinare all’evento, atteso in queste settimane dalle ultime fasi di gioco, con la prospettiva di un religioso. Così ha fatto rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth e tra le personalità più influenti del pensiero (ebraico e non solo) contemporaneo. In una brillante intervista alla BBC il rav ha infatti spiegato il suo rapporto con la manifestazione e, più in generale, con il mondo del pallone.
“Il calcio è molto più di un semplice gioco. Il calcio, per molti versi, è come la religione. Ha il suo imprescindibile aspetto di ritualità perché – afferma Sacks – essere tifosi significa fondare la nostra identità su un qualcosa più grande di noi. Ma è anche un intenso momento di fede, perché si tratta di sostenere la tua squadra anche quando le convinzioni più profonde che puoi aver maturato sono messe a dura prova dalle circostanze contingenti. E quando arriva il goal della vittoria, finalmente, ci si stringe in un abbraccio collettivo per raggiungere quello stato di trascendenza che un grande filosofo come Hobbes ha definito ‘la gloria improvvisa’. Una terminologia perfetta per spiegare questa sensazione”. "La verità – prosegue il rav – è che sono sempre stato riluttante a parlare di calcio. Per capire le ragioni dobbiamo tornare indietro di 20 anni: George Carey era appena stato nominato arcivescovo di Canterbury e io Gran Rabbino d’Inghilterra, quando è emerso che avevamo una grande passione in comune. Tifavamo entrambi Arsenal. Così un personaggio molto noto ci ha chiesto di salutarci ‘ecumenicamente’ nel suo box allo stadio di Highbury prima di assistere, fianco a fianco, al successivo incontro con il Manchester United. Entrambi abbiamo accettato con entusiasmo. E la grande notte è arrivata”.
“Prima dell’inizio della partita – ricorda il rav – siamo stati accompagnati sul terreno di gioco per presentare un’iniziativa di solidarietà. Lo speaker ha spiegato chi fossimo e un brusio si è diffuso in tutto lo stadio. In qualunque modo la si pensasse dal punto di vista teologico, quella sera l’Arsenal sembrava poter contare su supporter di un certo peso. Non potevamo perdere". E invece quella sera l’Arsenal avrebbe subito il passivo casalingo più pesante della sua storia. Una batosta clamorosa: 6 a 2 per i Red Devils. Il giorno successivo un tabloid avrebbe condito la cronaca sportiva con questa postilla: “Il fatto che l’arcivescovo di Canterbury e il rabbino capo non riescano insieme a far vincere l’Arsenal, ma che anzi questo sprofondi in modo così evidente sotto i colpi degli avversari, dimostrerebbe la non esistenza di Dio”. Memorabile il commento del rav: “Al contrario, dimostra che Dio esiste. È solo che tifa Manchester”.
Una forte passione per la disciplina, ma allo stesso tempo un’accesa rivalità tra le rispettive squadre del cuore, accomuna rav Sacks e il suo successore rav Ephraim Mirvis. A poche settimane dal suo insediamento, infatti, quest’ultimo ha voluto diffondere attraverso Twitter una foto sul prato del White Hart Lane, il fortino di mille battaglie del Tottenham (tra l’altro, come noto, la squadra più “ebraica” d’Inghilterra). Era la vigilia di uno snodo fondamentale della stagione, proprio contro l’Arsenal, e uno speranzoso Mirvis scriveva: "Good luck to @SpursOfficial in their match”. Morale della favola: Tottenham 0, Arsenal 1. Un fatto che anche la stampa anglosassone, il Guardian in primis, non ha mancato di sottolineare con britannico humour.
Allargando la prospettiva ai mondiali brasiliani, la nazionale inglese ha tra l’altro nuovamente fallito, e in modo piuttosto plateale, l’appuntamento con la coppa più ambita. Sconfitta persino dalla traballante Italia di Prandelli all’esordio e con un ultimo posto nel girone che non ha mancato di suscitare indignazione per il pubblico vilipendio dello Union Jack. A questo punto, commenterebbe forse Sacks, è evidente che le simpatie degli alti quartieri siano rivolte altrove. Per sapere in che direzione basterà attendere il 13 luglio, data della finalissima del Maracanà. “Sai che risate se vincesse l’Argentina di Bergoglio”, è la battuta che circola in questi giorni tra gli ebrei d’Oltremanica.


Adam Smulevich, Pagine Ebraiche luglio 2014

(Nell'immagine in alto l'ex rabbino capo d'Inghilterra e del Commonwealth rav Jonathan Sacks, grande tifoso dell'Arsenal. Nell'immagine in basso il suo successore rav Ephraim Mirvis, supporter del Tottenham)
BRASILE 2014
Neymar ko, la satira di Israele
Che Brasile sarà senza Neymar? Sono in tanti a chiederselo da Rio De Janeiro a San Paolo, da Manaus a Brasilia, in un paese che vive di calcio e che si trova ad affrontare le ultime due partite del Mondiale senza il suo principale protagonista dopo l'infortunio occorso nei quarti di finale contro la Colombia. Ore di autentica preoccupazione per la torcida verdeoro così riassunte, con una efficace vignetta (le mani sulla coppa che coprono le lacrime del calciatore), dal quotidiano Israel HaYom.
pilpul
Capire e reagire
Al termine di una settimana luttuosa e, nel medesimo tempo convulsa, dal momento in cui l’angosciante vicenda dei tre ragazzi rapiti si è risolta nel peggiore dei modi possibili, e dopo che un corollario di violenze si è accompagnanto agli esiti della tragedia, l’invito a comprendere per meglio agire (o reagire), non è in sé un esercizio di circostanza bensì un atto indispensabile. Capire non vuole dire giustificare (cosa, poi? Forse degli omicidi a sangue freddo?) ma definire che cosa certi gesti significhino nel contesto temporale e nei luoghi in cui si verificano. Al di là dell’emozione e del cordoglio, frammisti anche ad esasperazione e sconcerto, c’è poi la necessità, consegnata in prima battuta alle autorità politiche e alle istituzioni ma, in immediato riflesso a tutta la comunità israeliana e anche a quella diasporica, di articolare una risposta che riesca a sancire durevolmente l’impraticabilità – o quanto meno i costi politici insostenibili – che una prassi mortifera quale quella dei rapimenti e degli assassini di civili dovrebbe da subito comportare per i loro responsabili. Cosa, quest’ultima, che invece non è mai stata, avendo potuto operare non tanto in un vuoto di risposta da parte dei congiunti e dei connazionali delle vittime, ma nella sostanziale diffidenza della comunità internazionale verso il diritto di un Paese all’autodifesa.

Claudio Vercelli
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Nugae - Intromissioni
La vita procede placida tra un acquazzone e l'altro, sempre cercando se stessi e trovando solo vestiti in saldo, sempre immergendosi in libri dalla copertina appariscente e dimenticandosi di scendere alla fermata del tram, sempre con l'ambizione di riuscire a fare tutto e non riuscendo nemmeno in quella di tenere a bada i capelli. Nel frattempo la realtà, che a volte da una vietta del centro a volte da più lontano (ma poi non molto) omaggia di tormenti gli individui dall'esistenza magari anche un po' meno fatua di questa, decide d'intromettersi. Ma la cosa interessante è che lo fa senza per forza strillare e in momenti non per forza scontati.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
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Identità: Salomon Pereira
Nel 1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa significa essere ebreo?” - scaricabile dai siti www.proedieditore.it e www.hansjonas.it - ha messo in luce per la prima volta in Italia quella discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le loro risposte. Oggi la risposta di Salomon Rodrigues Pereira (1887-1969), che è stato rabbino capo sefardita di Amsterdam.
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"Non sono un militante"
Ringrazio l’amico Sergio Della Pergola per avere involontariamente creato l’opportunità che ora mi permette di scrivere sul notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24: è un onore parlare ai lettori della stampa ebraica. E sono costernato per ciò che un omonimo di Sergio Della Pergola ha scritto di me in un articolo intitolato “La crociata dei falsari” e pubblicato qualche giorno fa. L’occhiello del commento era “Pilpul”: in realtà, più che spaccare il capello in quattro quel Sergio che non conosco ha usato il napalm.
Ho impiegato un po’ per chiedere ospitalità a Guido Vitale, perché ero deluso. Di solito non rispondo agli insulti e alle minacce: sono infortuni del mestiere che vanno accettati. Ma Sergio per me era speciale: 39 anni fa celebrai a casa sua il mio primo Shabbat. Il tono del suo intervento non rende onore alla cultura, l’intelligenza e l’equilibrio dell’uomo che conosco e seguo da molto tempo.


Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore
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