David
Sciunnach,
rabbino | “...
il dono di corruzione rende ciechi gli occhi dei Saggi e distorce le
giuste Leggi ...”(Devarìm 16, 19). Il Grande Admòr Rabbì Yehudà
Lieb Alter di Gur, conosciuto come Sefàt ‘Emèt dice a proposito di
questo verso: Da questo divieto della Torà è possibile imparare in
senso inverso un insegnamento positivo. Cioè che a chi si allontana da
qualsiasi corruzione ed inciampo, ed insegue la verità, allora i suoi
occhi si apriranno e si illumineranno cosi che potrà percepire la
verità.
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David
Assael,
ricercatore
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Molti
si lamentano dell’assenza di condanna di quanto sta succedendo nel
mondo musulmano da parte del cosiddetto Islam moderato. Ma, se si va a
vedere bene, si scopre che, già nel 2008, l’Imam Yahya Pallavicini
della Coreis Italia, si esprimeva in questo modo riguardo il
fondamentalismo: “I falsi sapienti sono i fondamentalisti, per dirla
giornalisticamente, “talebani”, che vorrebbero, sulla base di
cosiddette scuole coraniche, seppellire le donne sotto un burka, tenere
i figli nell’ignoranza e legittimare la violenza verbale e militare nei
confronti dell’Occidente, degli ebrei e dei cristiani.
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Che futuro dopo la tregua
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Con
la firma di una tregua a tempo indeterminato muta lo scenario di crisi
tra lo Stato di Israele e i terroristi di Hamas. Mentre ci si interroga
su cosa accadrà nei prossimi giorni, i giornali registrano gli umori
dei due governi e le reazioni delle piazze. A Gaza migliaia di persone
sono scese nelle strade sparando in aria con pistole e kalashnikov per
salutare la “vittoria sul nemico sionista”. E mentre anche il portavoce
di Hamas parla impropriamente di “vittoria della resistenza
palestinese”, esponenti vicini al premier israeliano Benjamin Netanyahu
affermano: “È un nuovo testo di tregua egiziano, lo accettiamo come
fatto con quelli in passato”. D’altra parte, scrive Maurizio Molinari
sulla Stampa, razzi e colpi di mortaio di Hamas sono continuati a
piovere sulle comunità del Negev durante l’intera giornata di ieri
“causando la morte di un civile e almeno altri quattro feriti”.
L’accordo siglato ieri porta alla ribalta il ruolo del generale Al
Sisi, capace di tessere una tela diplomatica che ha dato all’Egitto una
posizione nuovamente preminente. “Il ‘Leone d’Egitto’ – sottolinea
Fabio Scuto su Repubblica – strappa il suo primo successo diplomatico
internazionale e sembra riportare il Cairo nel ruolo guida che ha
sempre avuto nel mondo arabo, a dispetto dei nuovi paesi ‘emergenti’
nell’area”. Nella cronologia che accompagna il pezzo si ripercorrono
alcuni dei momenti più drammatici di queste settimane. Con una grave
omissione: quando si parla dei bombardamenti israeliani alle scuole Onu
ci si dimentica infatti di menzionare che le stesse scuole erano
utilizzate come deposito di armamenti da parte di Hamas e che Tsahal ha
fatto di tutto per evitare perdite tra i civili. A questo modo
l’informazione risulta non solo lacunosa ma anche fuorviante.
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#IsraeleDifendeLaPace Domande e risposte |
Domande chiare e risposte chiare e
autorevoli, punto per punto, ai complessi problemi della crisi
mediorientale. Aggiornamenti costanti ora per ora. L'impegno di fare
chiarezza sui diversi nodi del conflitto in corso tra lo Stato di
Israele e i terroristi di Hamas.
Sul portale dell'ebraismo italiano www.moked.it il lancio di una nuova
area informativa dedicata dalla redazione a notizie, schede,
dichiarazioni sugli ultimi sviluppi relativi all'operazione delle
forze di sicurezza israeliane nella Striscia di Gaza. Tutti i cittadini
che ritengono di poter aggiungere un contributo positivo per arricchire
il notiziario possono mettersi in contatto scrivendo a desk@ucei.it.
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INFORMAZIONE - PAGINE EBRAICHE DI SETTEMBRE
L'altra guerra da non dimenticare
"Tuttavia
c’è un’altra guerra, sotterranea e silenziosa, ma non per questo meno
pericolosa, che non conosce tregue. Quella dell’informazione avvelenata
e inquinata dal pregiudizio e dall’odio. Raccontare le ragioni di
Israele, le speranze di pace di tutti gli ebrei più volte tradite anche
dal servilismo e dall’ambiguità dei media occidentali è più che mai
un’emergenza”. Così si apre il numero di settembre di Pagine Ebraiche,
mandato in stampa qualche ora dopo la tregua a tempo indeterminato di
ieri. La missione della redazione è quella di dare ampia e puntuale
copertura al drammatico conflitto che ha infiammato gli ultimi due mesi
di un’estate difficile per l’intero panorama mondiale. Si inizia con
gli editoriali di Sergio Della Pergola e di Asher Salah.
Della Pergola fornisce un utile identikit sugli attori islamici degli
ultimi conflitti, mentre Salah crea un ponte tra i due grandi
protagonisti Bibi Nethanyahu e Barack Obama, rispondendo a una delle
domande che ha caratterizzato la missione Margine Difensivo: Stati
Uniti e Israele sono davvero ai ferri corti? La relazione complicata
tra i due paesi viene anche commentata da Anna Momigliano che ripercorre le azioni israeliane degli ultimi anni. Claudio Vercelli
recensisce poi il volume di Antonio Donno, “Una relazione speciale”
(ed. Le Lettere), con un approfondimento storico. Mentre gli equilibri
mondiali scricchiolano, Israele rischia di entrare in crisi. La
redazione ricostruisce i terribili danni provocati dalla caduta del
missili di Hamas (rav Alberto Moshe Somekh
illustra la radice e gli usi di yerèt, il verbo che in ebraico indica
l’azione della contraerea che dirotta i missili), in una estate nella
quale la hit musicale è stata la sirena del codice rosso. Danni che
incidono ovviamente sull’economia del paese (trattata con un lucido
intervento di Aviram Levy) che
ha registrato un vertiginoso calo nel settore turistico. La politica
israeliana però non si ferma: presente quindi un breve resoconto dei
primi passi del nuovo presidente della Repubblica, Reuven Rivlin. Una
politica che coinvolge nuovi media: i social network continuano ad
essere parte integrante per fare informazione. Dal twitter di Tzahal
alla condotta ambigua dei giornali e delle televisioni estere, Pagine
Ebraiche delinea il difficile tracciato dell’informazione in tempi di
guerra. Un conflitto che isola sempre di più gli ebrei d’Europa sui
quali aleggia l’ombra dell’esodo e fa levare le voci di illustri ebrei
italiani, con le opinioni di David Bidussa, Anna Segre, Antonella Castelnuovo, Ilana Raccah e del consigliere dell’Unione delle Comunità Italiane Marco Ascoli Marchetti.
Il dramma medio-orientale ha perfino ispirato l’ultima serie tv cult
della BBC che apre le pagine di cultura: The Honourable Woman, in onda
da luglio. L’altra Israele, nonostante tutto, continua strenuamente a
resistere: è quella dell’arte con Miki Bencnaan poliedrica scenografa e
scrittrice attesissima ospite al Festivaletteratura di Mantova il 7
settembre ma anche quella dello sport con una toccante storia made in
Sderot. Inoltre, l’impegno assistenziale della Giunta UCEI
è più vivo che mai; è iniziata infatti una raccolta fondi a sostegno
delle associazioni israeliane MishpachaAchat, Libi e YadLaBanim. Un
sostegno concreto e “un impegno a reagire contro le forze del
terrorismo che, minacciando Israele, mettono a repentaglio gli
equilibri del Mediterraneo e la libertà dell’Europa”.
Rachel Silvera
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#ISRAELEDIFENDELAPACE
Obama e Bibi, i destini paralleli
Durante
l’operazione Margine protettivo il governo israeliano è stato
ripetutamente accusato nei media locali di aver deteriorato le
relazioni con gli Stati Uniti portandole ai minimi storici, mentre a
livello internazionale la reazione israeliana agli attacchi di Hamas è
stata spesso condannata per la sua mancanza di proporzionalità. Non è
mia intenzione di entrare qui nel merito del rapporto personale tra i
leader di due nazioni alleate, né dare un giudizio di valore sul modo
in cui Israele ha condotto la guerra, quanto piuttosto segnalare le
sorprendenti somiglianze tra la gestione del conflitto con Hamas da
parte di Israele e la politica estera statunitense dell’attuale
amministrazione democratica. Tutto lascia pensare infatti che
Nethanyahu, contrariamente all’immagine di intransigenza diffusa tanto
in Israele che all’estero, abbia dimostrato di essere nel corso
dell’ultimo conflitto uno dei più tenaci fautori della cosiddetta
‘dottrina Obama’, quale è stata applicata dallo State Department
nell’affrontare la crisi in Libia, in Ucraina, in Siria e in Irak. Si
puo’ tentare di sintetizzare tale dottrina in base a tre principi
guida. Il primo riguarda la netta preferenza accordata ad attacchi
mirati dell’aviazione rispetto a ogni forma di azione che veda il
coinvolgimento dell’esercito di terra. Così è stato in Libia, con
l’approvazione da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU di quanto è
stato eufemisticamene chiamato “no-fly zone”, così è attualmente nelle
missioni aeree contro postazioni degli insorti dell’ISIL in Irak e così
sarebbe stato in Siria con la ventilata minaccia di attaccare alcune
basi militari con missili lanciati da portaerei nel Mediterraneo, se il
governo di Bashar El Assad in Siria non fosse venuto a più miti
consigli, almeno in apparenza. Il secondo è volto al mantenimento degli
equilibri di forza esistenti a scapito di ogni tentativo di rovesciare
governi ostili e di forzare soluzioni non negoziate. Per gli Stati
Uniti sembra che sia preferibile la persistenza di una situazione
conflittuale, ad alta o bassa intensità, tra l’Ucraina di Porošenko e
la Russia di Putin, tra sciiti e sunniti in Medio Oriente, che la
prevalenza di un bando sull’altro. Infine il terzo principio è
improntato alla ricerca di una coalizione quanto più ampia possibile a
livello internazionale per sostenere il raggiungimento degli obbiettivi
strategici espressi in termini di difesa nazionale e non di giustizia
assoluta. Come ha dichiarato Obama in un discorso all’accademia di West
Point nello scorso maggio “gli Stati Uniti faranno ricorso alla forza
militare, se necesario anche unilateralmente, se i nostri interessi
fondamentali lo richiedono: quando i nostri cittadini sono minacciati,
quando i nostri interessi vitali sono in gioco, quando la sicurezza di
un nostro alleato è in pericolo”. I corollari di tale dottrina sono
azioni militari contenute e di breve durata, una diplomazia inclusiva e
attenta a non sottovalutare gli interessi geopolitici di tutti gli
attori coinvolti nelle aree di conflitto, compresi quelli degli
avversari, un discorso politico che pone l’accento sulla difesa dei
propri civili piuttosto che sulla sconfitta del nemico.
Asher Salah Leggi
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#israeledifendelapace - analisi del conflitto
"Tregua, verso nuove strategie"
Oggi
è giorno di bilanci in Israele. A distanza di 50 giorni dall'inizio
dell'operazione Margine Difensivo a Gaza, il governo di Gerusalemme, e
il paese intero, valutano gli effetti del conflitto con Hamas e gli
scenari che si prospettano nell'immediato futuro. Per comprendere
l'intricata situazione israeliana e mediorientale, il Portale
dell'Ebraismo Italiano, moked.it, ha voluto affidarsi alle autorevoli
analisi di Vittorio Dan Segre, Sergio Della Pergola e Sergio Minerbi. “Finalmente dopo 50 giorni di guerra contro Hamas a Gaza, siamo arrivati ieri, martedì sera, al cessate il fuoco – afferma
Sergio Minerbi, esperto di politica internazionale e già ambasciatore
presso la Comunità Europea - Ma fedele a se stesso Hamas
ha subito violato i patti e alle 19.15 ha ucciso due uomini del kibbutz
Nirim con un tiro di bombe di mortaio. Israele non ha reagito. Ed è
giunto il momento di pensare, cercando di farlo in profondità”.
Partiamo dal futuro. Secondo il diplomatico israeliano Vittorio Dan
Segre, di cui compare oggi un'approfondita analisi sul quotidiano
elvetico Corriere del Ticino, i prossimi trenta giorni potrebbero essere propizi per il raggiungimento
di un accordo tra le parti del conflitto. “Forse mai come in questo
momento le condizioni per una graduale apertura reciproca verso non la pace ma un armistizio di lunga durata, con cui infondo Israele ha sempre vissuto e prosperato, sono paradossalmente
più favorevoli – scrive Dan Segre, autorevole firma del giornalismo
italiano - Il prolungamento all'infinito di questa guerra non conviene
a nessuno, ma ancor meno ai palestinesi, come dimostra il drammatico
bollettino quotidiano di guerra”. Se a un armistizio, come scritto da
Segre, si arriverà, resta da capire con quale volto le due parti
si presenteranno al tavolo delle trattative. Quasi impossibile da
decifrare la situazione palestinese, in Israele invece sembrano profilarsi due opzioni: il rimpasto del governo o elezioni anticipate. Il perché, lo spiega il professor Sergio Della Pergola. “Il premier Netanyahu
al momento è criticato sia da destra sia da sinistra. Ma il problema
più grande è all'interno della sua coalizione con i ministri Avigdor
Lieberman e Naftali Bennet (che insieme hanno 23 seggi in parlamento)
pronti ad abbandonarlo”.
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SPORT - lascia L'ALLENATORE DEL MACCABI
Garcia, addio tra le lacrime
Era
tornato per completare l’opera: esportare il tiki-taka, modello di
gioco che ha fatto grande il Barcellona, nel campionato israeliano di
calcio. Dopo aver vinto il torneo 2012-13, e dopo un break di un anno
in Inghilterra sulla panchina del Brighton & Hove, Oscar Garcia
aveva scelto ancora Tel Aviv. E ancora Maccabi. Un sodalizio vincente,
una nuova ventata di idee a beneficio di tutto il movimento calcio
nazionale.
Oggi quel sodalizio si scioglie “per l’attuale situazione legata alla
sicurezza nel paese”. Così il tecnico spagnolo, con un passato da
centrocampista per Barca ed Espanyol, nel rassegnare le dimissioni. Una
decisione difficile, sofferta, maturata durante il conflitto con i
terroristi di Hamas. Una decisione che il club ha accettato a
malincuore ma con pieno rispetto della stessa. “Voglio ringraziare
Oscar per quello che ha fatto. Porta il nostro club nel cuore ma le
circostanze lo hanno portato a cambiare idea”, ha dichiarato il
presidente Mitch Goldhar. Al suo posto un altro tecnico iberico, Paco
Ayestaran, già vice allenatore di Rafa Benitez al Liverpool e al
Valencia. Leggi
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la gaffe della multinazionale spagnola
Zara, una stella fuoriposto
Qualche
anno fa una borsa di tela, vagamente hippie, fece discutere: tra
fiorellini e sole era cucita una svastica rossa. Immediate le reazioni
indignate. Adesso un nuovo capo di abbigliamento dal dubbio gusto è al
centro del dibattito. Situazione ancora più inquietante, trattandosi di
una maglietta per bambini a righe bianche e blu sulla quale troneggia
una stella gialla a sei punte. Vista da vicino la stella è quella degli
sceriffi da film western su un inedito sfondo alla marinara. Il
risultato ottenuto è però ripugnante. La maglietta, prodotta in
Turchia, è disponibile online in Israele. Il sito israeliano +972, ha
prontamente denunciato l'azienda spagnola ed è al momento in attesa di
una risposta.
Periscopio
- Ascoltare Levinas
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In
questi giorni oscuri, nei quali nel mondo dilaga la violenza più bruta,
tra il cinismo dei tanti che sanno solidarizzare soltanto con gli
aggressori, coprendo gli aggrediti di odio e disprezzo, aggiungendo
incessantemente violenza a violenza, ingiustizia a ingiustizia, in
un’apparente spirale senza fine, suscita turbamento e tristezza
rileggere una mirabile pagina scritta, più di trent’anni fa, dal grande
Emmanuel Levinas (Honneur sans drapeau, Senza nome): “Dalla fine della
guerra in poi, il sangue non ha cessato di scorrere. Razzismo,
imperialismo, sfruttamento, persistono inesorabili. Le nazioni e gli
uomini sono esposti all’odio, al disprezzo, temono miseria e distruzione.
Francesco Lucrezi, storico
Leggi
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