Elia Richetti,
rabbino
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In
questi giorni noi chiamiamo Ha-Qadòsh Barùkh Hu, “Ha-mélekh ha-qadòsh”,
il Re santo. Se tale è la Sua qualità, ne consegue che tutto ciò che
Lui fa, che crea, anch’esso partecipa della santità. Tutto il mondo è
santo, ma c’è un luogo più santo degli altri, dove sorgeva il
Santuario. Tutte le persone sono sante, ma il livello del Kohèn Gadòl
era di maggiore santità. Tutti i giorni sono santi, ma Kippur viene
vissuto con una particolare santità.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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Vittorio
Segre – Dan Avni, di cui abbiamo compianto la scomparsa questa
settimana a 92 anni, è stato per moltissimi anni il capofila degli
interpreti in lingua italiana delle problematiche complesse
dell’esistenza ebraica contemporanea. Oltre che un osservatore fine e
originale, e spesso imprevedibile e sorprendente, era stato un attivo
protagonista delle vicende di molti decenni drammatici ma anche
gratificanti. Dan Segre aveva conosciuto da vicino tutti i principali
attori della rinascita del popolo ebraico in Israele, e in questa
rinascita aveva svolto un ruolo concreto anche se non sempre
dichiarato. Ma quello che lo distingueva maggiormente era la lucida
capacità di espressione che compendiava una profonda cultura ebraica e
generale, una fede adamantina negli obiettivi ideali dell’ebraismo, e a
una assolutamente indipendente e a volte anticonformista analisi delle
contingenze. Era molto difficile farlo rientrare in categorie di
ideologia politica, ed era possibile a volte sentirlo deplorare il
crollo inesorabile di certe strutture istituzionali o concezioni di
partito, ma in ogni caso si sapeva di aver di fronte uno strenuo e
positivo difensore dei diritti e delle prerogative di Israele. Dietro
il pubblicista scorrevole e non privo di una sua particolare narrativa
stava sempre l’analista profondo e irreprensibile sui fatti e il loro
significato. Nell’attuale costellazione della politica e della stampa
in Israele, in Italia e negli altri paesi, la voce di Dan Avni Segre ci
manca molto e sarà molto difficile eguagliarla.
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Blogger antisemita, Tsipras fa marcia indietro
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Passo
indietro della Lista Tsipras al Parlamento Europeo: il blogger
antisemita Alla Adbel Fattah, che su Twitter aveva invitato
all’uccisione di cittadini israeliani, non sarà più candidato al premio
Sakharov. A darne notizia è il Corriere della sera. Scrive Massimo
Rebotti: “La presidente del gruppo ieri ha convocato una riunione e,
all’unanimità, è stata decisa la marcia indietro. Sempre all’unanimità,
qualche giorno prima, il gruppo aveva scelto il blogger”. Ieri, sul
Corriere, Pierluigi Battista aveva denunciato l’indecenza di questa
candidatura.
Studiosi a confronto, all’Università Marconi di Roma, sulla figura di
Pio XII durante la Shoah. Il quotidiano della Santa Sede L’Osservatore
Romano anticipa alcune riflessioni di Anna Foa. Afferma la storica:
“Esiste una vera e propria leggenda nera, che ha fatto di Pio XII un
papa nazista o favorevole ai nazisti, una leggenda nata negli anni
Sessanta e che è ora più viva che mai, almeno a livello del grosso
pubblico. Il tono difensivo e apologetico spesso adottato dai
sostenitori di una opposta leggenda rosa non aiuta a cambiare questo
clima, mentre si ha l’impressione che anche i lavori più rigorosi di
molti storici, e non solo cattolici, che hanno dato spiegazioni
ponderate della questione dei ‘silenzi’ di Pio XII non siano recepite
dal pubblico e non influiscano sul comune senso storiografico”.
Lo straordinario rinvenimento di alcuni family movies sull’Italia
ebraica pre Shoah da parte del giornalista del tg5 Claudio Della Seta,
fatto che vi avevamo raccontato sul nostro notiziario quotidiano del 23
settembre, è oggi illustrato da Gabriele Isman su Repubblica. “Due dei
personaggi che si vedono nel film dopo il matrimonio, Giulia Di Segni e
Samuele Della Seta che erano i genitori del mio nonno paterno, il 16
ottobre 1943 furono catturati nel rastrellamento del Ghetto, e morirono
nel campo di concentramento di Auschwitz. Oggi – spiega Della Seta –
sono ricordati da due ‘pietre di inciampo’ che sono state poste davanti
al loro portone proprio in via Arenula e anche per questo il film mi ha
commosso”.
Un migliaio di invitati alla festa per i 25 anni di riunificazione
tedesca. Tra gli invitati, come riporta il Messaggero, anche il
presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna
e l’ambasciatore dello Stato di Israele a Roma Naor Gilon.
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QUI Roma
Il coraggio di Vera Bazzini,
da oggi nel libro dei Giusti
“Cara
signora Bazzini-Giorgi, siamo lieti di annunciarle che la Commissione
per la designazione dei Giusti ha deciso di conferire il riconoscimento
di Giusto tra le Nazioni ai suoi genitori scomparsi Eteocle e Adele, a
suo cugino Nello Giorgi (scomparso anch’esso) e a lei per l’aiuto
profuso nei confronti di persone ebree durante l’Olocausto, mettendo a
rischio la vostra stessa vita”. Così lo Yad Vashem ha riconosciuto il
coraggio di Vera Bazzini, la donna che settant’anni fa salvò Dario
Tedeschi, la sorella Lucilla, i genitori Oscar e Elena e che oggi verrà
celebrata al Centro Bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane “Tullia Zevi” alle ore 16.30. È il 1943 quando Oscar Tedeschi,
dopo essere stato licenziato per motivi ‘razziali’ dalla banca nella
quale lavorava ed aver continuato segretamente a fare consulenze presso
diverse aziende, si ritrova senza un rifugio sicuro e con una famiglia
sulle spalle. A questo punto Vera Bazzini, 25 anni, impiegata della
Sartoria Cifonella (alla quale Oscar faceva consulenza contabile), si
offre di ospitare la famiglia Tedeschi. I genitori di Vera sono
consenzienti ed incuranti del pericolo imminente fanno spazio ai nuovi
quattro componenti della casa. “In precedenza non avevamo alcun
particolare legame con lei. La signorina Bazzini aveva incontrato
casualmente mio padre in una delle tante riunioni aziendali”, ricorda
Dario Tedeschi, che si è battuto per vederle conferire il titolo di
Giusta. “Quella di Vera e della sua famiglia, tra i quali spicca il
cugino Nello, è stata una pura scelta morale”. I Bazzini-Giorgi ancor
prima di mettere la famiglia Tedeschi in condizioni di ‘dover
chiedere’, provvedono ai loro bisogni: in accordo con il portiere
escono di notte per prendere dalla loro abitazione abbandonata alcuni
averi, fanno da tramite per portare notizie riguardo gli altri parenti,
nascosti in diversi rifugi. Dario Tedeschi scrive nella testimonianza
inviata allo Yad Vashem: “Nessun corrispettivo fu mai chiesto o pagato
per la protezione e la ospitalità che ricevemmo, alla quale penso che i
nostri soccorritori si sentissero spinti in quanto motivati da grande
religiosità e da profondi sentimenti di solidarietà umana. Furono
adottate tutte le possibili precauzioni perché la nostra presenza (di
ben 4 persone, tra cui 2 ragazzi) non desse nell’occhio: dopo la retata
del 16 ottobre fu deciso di rimanere tutto il giorno in casa; solo
talvolta uscivamo a sera inoltrata, con il buio dovuto all’oscuramento,
per un breve giro nei dintorni. Tuttavia, dopo qualche tempo
cominciarono ad essere percepiti segnali che nel vicinato qualcosa era
trapelato, tanto che alla fine di dicembre 1943, in concomitanza anche
con l’obbligo imposto dall’occupante tedesco di esporre, all’esterno di
ciascuna abitazione, un cartello con la indicazione delle generalità di
tutti coloro che vi risiedevano, si considerò prudente e indifferibile
cautela un cambiamento di alloggio”. Quando viene imposto a tutti i
cittadini di dichiarare il numero di persone per abitazione, la stessa
Vera decide di non abbandonare la famiglia Tedeschi e vaga per Roma in
cerca di un luogo sicuro nel quale trasferirli, fino a trovare il
Convento di Suore in Via dei Santi Quattro Coronati. “Anche dopo il
nostro trasferimento nel nuovo rifugio, Vera Bazzini e il cugino Nello
Giorgi non ci lasciarono soli e mai ci fecero mancare la loro presenza
e il la loro amicizia, venendoci frequentemente a trovare, ora l’uno e
ora l’altra”, un’amicizia e un legame che è durato e dura ancora.
“Adele, Eteocle, Nello e Vera si sono esposti al pericolo per noi,
prevenivano qualsiasi tipo di nostra richiesta e soprattutto ci hanno
dato calore umano”. Un calore umano nel gelido autunno del 1943.
(nella foto, da sinistra: Adele Giorgi, Nello Giorgi, Vera Bazzini)
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
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J-Ciak
"Kol Nidre" nella Grande Mela
Film
perfetto per questi giorni, fin dal titolo. E di fatto “Kol Nidre”
venne proiettato la prima volta due settimane prima di Kippur a New
York al Clinton Theater, nell’East Side. Era il 7 settembre 1939, una
settimana dopo l’invasione nazista della Polonia, e la pellicola
portava sullo schermo un’intricata storia d’amore che culmina proprio
nel giorno del digiuno. Firmato da Joseph Seiden, uno dei grandi
innovatori di quella cinematografia yiddish, il film ci rimanda al
tempo in cui la lingua degli ebrei dell’Est era viva, diffusa e
protagonista di una grande stagione culturale che il nuovo film di Amos
Gitai “Tsili” ci ha da poco riportato alla mente. Restaurato dal
National Center for Jewish Film della Brandeis University, “Kol Nidre”
(con nuovi sottotitoli in inglese) sta ora girando gli Stati Uniti di
festival in festival sempre riscuotendo forte interesse. A decretare il
successo del film contribuì allora la coppia di protagonisti, Leone
Liebgold e Lili Liliana, due attori di Varsavia nella vita marito e
moglie, celebri per la loro interpretazione di The Dibbuk. Ma certo la
formula di “Kol Nidre” era un tale mix di musica, canzoni, melodie
tradizionali, colpi di scena, amori infelici, colpa e redenzione, da
accontentare qualsiasi palato.
Daniela Gross
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qui roma Giancarlo Spizzichino
(1938-2014)
È
scomparso all’età di 76 anni Giancarlo Spizzichino, colonna
dell’archivio storico della Comunità ebraica di Roma. Il suo lavoro, le
sue pubblicazioni confluiranno presto in una raccolta unica a beneficio
di studiosi e appassionati. Tra i vari impegni in ambito ebraico,
Spizzichino è stato anche presidente del Tempio Bet Michael del
quartiere Monteverde. Nel dare la notizia della sua scomparsa la
Comunità ebraica lo ricorda con affetto “per il lavoro di
valorizzazione della Comunità stessa e per il grande esempio di
moralità e rettitudine”.
Con l’entrata di Kippur finirà il settimo di Giancarlo Spizzichino z.l.
scomparso lo scorso Shabbad Teshuvà. A lui la Comunità di Roma deve
essere riconoscente. Lo deve perché ha contribuito con una riservatezza
e una costanza incredibile a riordinare l’archivio, perché ha condotto
importanti ricerche sugli ebrei. Ha individuato e ben documentato la
sorte di quel fazzoletto di terreno, esterno e adiacente al ghetto,
dove gli ebrei tenevano case, botteghe e persino una Scola fino a quasi
la metà del Settecento. Perché ha studiato nascita e vicissitudini
degli “ortacci”, i cimiteri ebraici della città eterna, e anche per la
descrizione dei tumulti sanfedisti all’origine del monghed di Piombo.
Ma credo che il grazie più sentito gli vada rivolto perché ha insegnato
a tutti la qualità che può raggiungere il volontariato. Una abnegazione
“a pieno servizio” seria e piena di passione per quindici anni. I
risultati del suo lavoro sono sotto gli occhi di tutti, basta gettare
lo sguardo su quel gioiello, scrigno di memoria e storia che è
l’archivio della Comunità ebraica. Un esempio di come si può fare, e
fare bene Le-shem shamaim u-be-emunà.
Amedeo Spagnoletto
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Setirot
- Disagio |
Con
più o meno forza, a volte – certo – ancora con troppa timidezza, in
quasi tutto il mondo occidentale stanno allargandosi le manifestazioni
di cittadini di religione/cultura/radici islamiche contro la barbarie
perpetrata in nome di Allah. Se l’ISIS chiede ai “fratelli” di
«sgozzare gli sporchi francesi», molti di loro rispondono «siamo tutti
sporchi francesi» (manifestazioni a Parigi nonché appello sul “Figaro”
– e reazioni simili si sono viste in UK, USA, mezza Europa e,
timidamente appunto, anche in Italia). Di ciò non possiamo che essere
contenti e anche riconoscenti perché sono gesti comunque coraggiosi,
soprattutto quando compiuti mettendoci una faccia, un nome, un cognome.
Voglio però esprimere un disagio su cui non ho le idee affatto chiare e
purtuttavia mi gira per la testa da un po’. Non ha forse ragione – mi
domando – chi protesta perché «tutti ci chiedono di dissociarci dai
terroristi, come se l’essere musulmani ci rendesse fiancheggiatori di
quei pazzi»? Non so darmi una risposta, ma sento l’interrogativo
particolarmente “nostro”.
Stefano Jesurum, giornalista
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