Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Uno
dei requisiti fondamentali per la validità di una Sukkah è quello per
cui la sua ombra deve essere maggiore della sua luce. Rabbenu Bechaje
sostiene che il Creatore è la Grande Ombra, e non volendo che nessuno
prevaricasse la dimensione e il dominio del prossimo ha donato una
parte della sua Ombra ad ogni cosa e a ogni individuo nel mondo.
L’Ombra infatti è l’immagine stessa di noi, ed è ciò che determina la
collocazione e la proiezione di ogni soggetto e oggetto nel mondo.
Vivere nella Sukkah ci aiuta a ritrovare una sana dimensione della
nostra immagine riflessa, sia singolare che collettiva, troppo spesso
accecata e aggredita da troppa luce.
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Dario
Calimani,
anglista
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Prima
di Kippur ci riconciliamo. Esami di coscienza, autoflagellamenti,
promesse e buoni propositi. Il giorno dopo, ritorniamo tutti noi
stessi, come ogni anno, in attesa di una nuova riconciliazione. Perché
tanto a sbagliare è sempre l’altro.
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La bandiera dell'Isis
a pochi metri dalla Turchia
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La
bandiera dell’Isis svetta su Kobani, enclave curda al confine con la
Turchia. La città è quasi caduta e a poco sono serviti i raid
statunitensi degli scorsi giorni contro l’avanzata jihadista. Scrive
Maurizio Molinari (La Stampa): “Il drappo nero del Califfo Ibrahim
sventola sulla collina di Mistenur che sovrasta Kobani. A tre settimane
dall’inizio dell’assedio al maggiore centro curdo, 160mila abitanti
sono fuggiti in Turchia e ai difensori restano solo i quartieri
centrali”. Sullo stesso argomento il Corriere della sera titola: “Le
bandiere Isis al confine turco”. Mentre l’inviato, Lorenzo Cremonesi,
conferma il sostanziale fallimento delle iniziative coordinate da
Washington: “I raid alleati si sono rivelati quasi inutili: qualche
carro armato distrutto assieme a un paio di convogli di munizioni in
arrivo da Raqqa, la ‘capitale’ del Califfato nel Nord della Siria.
L’altra notte e ieri mattina i jet statunitensi hanno attaccato due o
tre posti di blocco. Ma con effetti irrisori”.
Sempre sul Medio Oriente fa discutere la decisione del premier svedese
Stefan Lofven di avviare, primo paese dell’Unione Europea, il
riconoscimento dello Stato palestinese. Sul Giornale Fiamma Nirenstein
attacca l’orientamento di Stoccolma con queste parole: “Lofven, così
interessato al Medio Oriente, non dice niente sul caos in Siria e in
Iraq e sugli svedesi che partono per unirsi all’Isis. Solo i
palestinesi sono importanti per la rileccatissima super-democrazia
ecologica e disinfettata. La sua migliore strada per dimostrare
dedizione ai diritti umani e ai suoi immigrati è prendersela con
Israele, come fa dai tempi di Olaf Palme”. Da segnalare intanto
l’appello per il boicottaggio di Israele lanciato da circa 500
antropologi di prestigiosi atenei internazionali, tra cui non pochi
italiani. Segnala Giulio Meotti (Il Foglio): “Ci sono nomi illustri dei
dipartimenti di antropologia americani: dalla Columbia University
arrivano tredici firme, da Harvard nove (come Steven Caton) e da Yale
otto. Tra loro nomi importantissimi del mondo dell’antropologia”.
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QUI ROMA
Simha Rotem, l'eroe di Varsavia
“Sono
fortunato ad assere sopravvissuto perché così ho aiutato gli altri a
salvarsi”, racconta Simha Rotem, eroe della rivolta del ghetto di
Varsavia, agli studenti che lo hanno incontrato nel Tempio Maggiore di
Roma prima dell’annuale viaggio al campo di concentramento di
Auschwitz. Simcha, nome di guerra Kazik, ha 91 anni (“Ne avevo 19 al
tempo della rivolta”), non è una di quelle persone delle quali ci si
chiede come abbiano potuto essere così forti: ha la tempra dell’eroe,
la faccia di chi si offre volontario quando c’è da spostare una
montagna, i valori morali saldamente difesi dalle brutture del mondo.
“Ragazzi, vi trovate di fronte alla storia e vi assicuro che questo non
capita spesso” ha spiegato lo storico Marcello Pezzetti, direttore
scientifico del Museo della Shoah. “Prima ero un ragazzo esattamente
come voi, me ne andavo in giro. Finché non mi hanno rinchiuso dentro al
ghetto. E proprio lì una volta ho sentito piangere un bambino, avrà
avuto pochi mesi. Era in braccio alla madre morta. Non potevo portarlo
con me, non potevo avvicinarmi. Quel pianto è stato il mio rimpianto
più grande, l’incubo con il quale convivo da 70 anni”. Racconta della
rivolta: “Mentre eravamo sui tetti del ghetto pronti a combattere, non
pensavamo a salvarci. Oramai la vita non aveva più alcun valore.
Pensavamo a difendere la libertà per un’ultima volta”.
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Storie
- Il sogno di Colorni |
Tra
le figure meno conosciute della Resistenza e dell’antifascismo italiano
c’è quella di Eugenio Colorni, filosofo brillantissimo, confinato
politico, partigiano, uno dei tre coautori del Manifesto di Ventotene
precursore dell’Unione Europea (gli altri due erano Altiero Spinelli ed
Ernesto Rossi). A fare luce su di lui è un’accurata biografia di
Antonio Tedesco, “Il partigiano Colorni e il grande sogno europeo”
(Editori Riuniti, pp. 205), patrocinata dalla Biblioteca della
Fondazione Nenni, con prefazione di Giorgio Benvenuto, che sarà
presentata venerdì 10 ottobre al Circolo “Giustizia e Libertà” di Roma
(via Andrea Doria 79). Eugenio Colorni, appartenente a una famiglia
della medio borghesia ebraica milanese, secondogenito di Alberto
Colorni e Clara Pontecorvo, è antifascista precoce, già a sedici anni,
dopo l’omicidio Matteotti, e prosegue il suo percorso politico
all’università, militando nei gruppo Goliardici per la libertà e poi
aderendo a GL e al Psi.
Mario Avagliano
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