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24 ottobre 2014 - 30 Tishri 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Nella Mishna, (Avot, 1, 1) è detto: “Moshe ha ricevuto la Torah sul Sinai e l’ha insegnata a Yeoshua, Yeoshua l’ha trasmessa agli anziani e gli anziani ai profeti ed i profeti agli uomini della Grande Assemblea. Loro hanno poi dato tre ammonimenti: siate cauti nel giudizio, create molti studenti e fate una siepe intorno alla Torah”.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Cosa abbiamo da offrire al difficile mondo che ci troviamo a vivere? Intendo il verbo “abbiamo” al presente indicativo, con soggetto una collettività ebraica disunita e multiforme. Io penso che si debba partire proprio da questa disomogeneità, una caratteristica che nel linguaggio sociopolitico trova espressione nei lemmi ‘pluralismo’, ‘pluralità’. Penso cioè che il contributo più attuale che l’ebraismo può portare – nell’intento di migliorare un mondo carico di conflitti e di tensioni – sia profondamente radicato in questa sua caratteristica storica, che è oggi un segno di novità e un’autentica risorsa.
 
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"Una sentenza storica"
La Corte della Costituzionale ha deciso: contro i crimini di guerra e i diritti umani non può valere il principio dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati. Le vittime italiane del nazismo potranno dunque chiedere risarcimenti alla Germania. “Una sentenza storica”, queste le parole del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna riprese dal Sole 24 Ore. Dalla Germania la risposta è però gelida, su La Stampa la dichiarazione del ministro degli Esteri tedesco: “Il governo tedesco sta analizzando la sentenza. E in conseguenza di ciò saranno da decidere eventuali necessari passi per far valere l’interpretazione giuridica del governo tedesco, confermata appieno dalla Corte internazionale dell’Aja nel febbraio del 2012″. Su la Stampa si ripercorrono dunque i tre momenti chiave della vicenda: nel “2008 la Cassazione italiana condanna la Germania a risarcire i familiari delle vittime italiane delle stragi naziste, è il 2012 quando la Corte internazionale dell’Aja accoglie il ricorso della Germania per ottenere il blocco delle indennità. Arriviamo dunque al 2014, anno in cui la Consulta giudica incostituzionale la norma che recepisce la sentenza dell’Aja sull’immunità della Germania”.
“Crisi nella Comunità ebraica”, questo l’incipit dell’articolo di Alberto Giannoni sull’edizione milanese de il Giornale. Dopo la giunta comunitaria, il presidente Walker Meghnagi ha infatti deciso di dimettersi. Una spaccatura aperta – secondo le parole di Giannoni – dall’ala della ‘sinistra’: “Le dimissioni sono il risultato dell’offensiva della ‘sinistra’ interna, che si è rifiutata di votare l’atto più importante, il bilancio, non tanto – lo riferiscono fonti vicine alla comunità – per problemi legati al contenuto del bilancio, ma per la richiesta di un rimpasto nell’organo esecutivo dell’ente. Questo nuovo assetto di giunta è stato rigettato, non tanto nel merito, quanto per il tono ultimativo della proposta”. Per la comunità, conclude Giannoni, il momento è “delicatissimo”.
 
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  davar
QUI BERLINO
Snip/it, la circoncisione in mostra
Apre oggi i battenti al Museo ebraico di Berlino la mostra “Snip/it” che affronta in maniera inedita il rito della circoncisione. Il numero di novembre di Pagine Ebraiche, attualmente in distribuzione, ne anticipa i temi.

Nella locandina di presentazione una banana aperta sulla sommità porta subito al nocciolo del discorso. Senza falso pudore, senza giri di parole. E con una modalità narrativa ormai peculiare per una struttura che in questi anni si è distinta – anche attraverso plateali provocazioni – per freschezza di linguaggio e di immagine oltre che per l'efficacia nel perseguire i propri obiettivi. “Haut/ab!”, “Taglialo!”, questo il titolo della grande mostra sul brit milà, la circoncisione, che si inaugura in questi giorni al Museo ebraico di Berlino (l'allestimento sarà visitabile fino al marzo 2015). Un evento molto atteso e di estrema attualità anche alla luce dei focolai di intolleranza che ancora oggi attraversano, relativamente a questo specifico aspetto, non pochi paesi d'Europa e del mondo.
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QUI MILANO - DOPO LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE 
Wellcomunity, tutti a casa
con l'auspicio di nuove elezioni

La crisi che attraversa la Comunità ebraica di Milano sta mettendo in luce una ridefinizione delle posizioni interne all'ultimo Consiglio. Se da una parte uno schieramento (la componente Wellcomunity, che ha espresso il presidente Walker Meghnagi) fa un massiccio ricorso alle dimissioni per far saltare il Consiglio e considera inammissibili le astensioni dei partner di governo (Ken) accusati di aver consentito l'approvazione del bilancio con molte astensioni, dall'altra si considera irresponsabile la scelta di abbandonare la guida comune della Comunità in una fase tanto delicata.
Come che la si veda, sono ore molto difficili per la realtà ebraica milanese. Alle dimissioni del presidente Walker Meghnagi e dell'assessore alle Finanze Raffaele Besso, si sono aggiunte anche quelle di tutti gli eletti della lista Wellcommunity. Vanessa Alazraki, Rami Galante David Nassimiha, Guido Osimo e Daniele Schwarz hanno infatti deciso di lasciare i propri incarichi consiliari, formalizzando la propria decisione in una lettera e dichiarando apertamente l'intenzione di provocare le elezioni anticipate. Si apre così una nuova fase per la realtà ebraica milanese, che sta attraversando un momento delicatissimo sotto un profilo finanziario e organizzativo. Situazione acuita dalle divisioni tra le due anime rappresentate in Consiglio, la lista Wellcomunity da una parte (nove consiglieri) e la lista Ken dall'altra (10 consiglieri), che per due anni avevano governato insieme la Comunità. L'esperienza unitaria sembra dunque arrivata al suo epilogo, dopo la notizia delle dimissioni della lista Wellcomunity. Anche se non si escludono scenari differenti. Il presidente Meghnagi e l'assessore alle Finanze Besso avevano spiegato nelle scorse ore, in una lettera inviata agli scritti, la motivazione della propria decisione di abbandonare la guida della Comunità milanese. “In seguito a quanto accaduto durante la riunione di Giunta e Consiglio (tenutasi martedì 21 ottobre), ritengo non esserci più le condizioni che mi avevano portato all’inizio di questo mandato ad assumere l’incarico di presidente della Comunità Ebraica di Milano”, le parole di Meghnagi, che a Pagine Ebraiche 24 aveva poi anticipato più nel dettaglio i motivi del suo gesto. “Molti consiglieri non hanno voluto approvare esplicitamente il bilancio con un voto favorevole – aveva dichiarato Meghnagi – e questa credo sia una dimostrazione di sfiducia rispetto al mio operato”. Il riferimento è all'approvazione del bilancio consuntivo del 2013, passato in Consiglio con sette voti favorevoli, cinque astenuti mentre quattro consiglieri avevano preferito abbandonare l’aula prima della votazione. Un voto non unanime, così come Meghnagi aveva detto di sperare. L'assessore responsabile del Bilancio Besso, rivolgendosi agli iscritti, aveva affermato di ritenere “venute meno le minimali condizioni per poter continuare a svolgere il mio incarico con serenità e passione”. Ma si tratta di scelte strumentali e la fiducia, secondo gli esponenti della lista Ken, non è mai stata messa in discussione, mentre era stato invocato un termine per procedere a all'integrazione di alcuni punti presenti nel consuntivo. Nel corso della riunione, inoltre, i rappresentanti della lista Ken avevano rimesso nelle mani del presidente le proprie deleghe, gesto – affermano – dettato dalla volontà di ripartire con un nuovo progetto comune. Una possibilità che sembra oramai naufragata dopo l'annuncio delle dimissioni degli altri consiglieri della lista Wellcomunity. Se le dimissioni non saranno ritirate entro il prossimo Consiglio, gli ebrei milanesi dovranno tornare al voto e scegliere nuovamente, a distanza di due anni, a chi affidare il timone della seconda Comunità italiana, segnata da una situazione molto complessa e delicata.

Daniel Reichel  

CAMMINATA SILENZIOSA PER IL 16 OTTOBRE 1943
Roma non dimentica 
Centinaia di persone, nonostante il freddo pungente, si sono ritrovate ieri davanti al Tempio Maggiore di Roma per una camminata silenziosa in ricordo della retata del 16 ottobre 1943. Una passeggiata dolorosa tra le vie dell’antico ghetto scandita dai nomi dei membri della Comunità ebraica romana di settantuno anni fa. “Noi però non vogliamo ricordare solo la morte e la distruzione”, questo l’incipit del video trasmesso una volta tornati al punto di partenza: immagini raccolte e realizzate da Daniel Di Porto che mostrano i sopravvissuti della Shoah in viaggio con le scuole, abbracciati ai nipoti. Poi una carrellata di foto della nuova generazione di ebrei romani: sorridenti; chi si è trasferito in Israele, chi si è arruolato nell’esercito, chi viene coccolato da una nidiata di figli. Perché, spiega Di Porto: “Abbiamo avuto ferite che ci hanno segnato nel profondo ma dal profondo siamo risaliti”.
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FONDAZIONE BENI CULTURALI EBRAICI
Premiata la mostra
sulle Artiste del '900

“Un grande successo dal punto di vista del pubblico, la cui partecipazione è stata molto numerosa, della critica, ma anche delle emozioni suscitate”. Così Marina Bakos, curatrice assieme a Olga Melasecchi e Federica Pirani, commenta la mostra Artiste del Novecento tra visione e identità ebraica, esposta alla Galleria di Arte Moderna di Roma, all’indomani della sua chiusura lo scorso 19 ottobre dopo essere stata prolungata. Realizzata dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia in collaborazione con la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale e il Museo Ebraico di Roma, la mostra ha vinto in queste ore il primo premio della sezione arti visive del XV° premio di scrittura femminile “Il paese delle donne”, dedicato all’artista cilena Maria Teresa Guerrero (Maitè) e congiunto al XXII° Premio “Donna e poesia”. “Ricordavo che mi avevano chiesto di mandare il catalogo, ma questa vittoria è stata una sorpresa del tutto inaspettata”, commenta Bakos.
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SHABBAT PROJECT
Correzione individuale, responsabilità collettiva
Rabbì Yochanan a nome di Rabbì Shimon bar Yochay disse: Se tutto Israele osservasse due Shabbatot secondo la Halakhà, sarebbero redenti immediatamente e che la fonte su cui si basa sono due versetti del Profeta Isaia (56:4 e 7): “Perché così dice l’Eterno a proposito di coloro che non possono generare ma osservano i miei Shabbat… Io li farò venire al monte a Me consacrato” (Talmud Shabbat 118b). Questo detto è molto noto ed è ricordato sempre quando si vuole porre l’accento sull’importanza dell’osservanza dello Shabbat. Non è altrettanto noto – o forse sì – che è preceduto da altri due detti: Rabbì Chyyà figlio di Abbà, a nome di Rabbì Yochanan, insegna che chiunque osservi lo Shabbat secondo la Halachà, persino se è idolatra come nella generazione di Enosh (quella del diluvio), gli viene perdonato; come è detto (Isaia 56, 2): “Felice l’uomo – Enosh che fa questo ed il figlio dell’uomo che persevera in questo; chi osserva lo Shabbat così da non profanarlo…; non leggere mechallelò – così da non profanarlo ma mechol lo – gli viene perdonato”. Disse Rav Yehudà a nome di Rav che se Israele avesse osservato il primo Shabbat, in essi non avrebbe dominato nazione o lingua; come è detto (Shemot 16:27): “Accadde che nel settimo giorno, qualcuno del popolo uscì a raccogliere (la manna) e non la trovarono”; e poi dopo è scritto (Shemot 17:8): “E giunse ‘Amaleq…".
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pilpul
Il secondo giorno di festa
Daniel Funaro ieri ha scritto su questa colonna: “Chiederei, sommessamente e gentilmente, ai rabbini di abolire il secondo giorno di Moed fuori da Israele. Vi assicuro che è l’unica grande necessità di cui l’ebraismo sente davvero il bisogno”. Il problema del secondo giorno festivo non è nuovo ed è stato oggetto di discussioni già nei secoli passati. In Italia si pose in particolare a metà dell’Ottocento, quando alcuni commercianti di Mantova chiesero ai rabbini della comunità, per nulla sommessamente o gentilmente ma con insistenza e arroganza, di abolire l’osservanza del secondo giorno di festa, motivando la richiesta con il grave danno economico subito e con il fatto che, a detta loro, la norma non è più rilevante. I rabbini di Mantova rimisero la questione ai più importanti Maestri della terra d’Israele e d’Europa, che all’unanimità risposero contro l’abolizione del secondo giorno festivo.

Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano

 
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Gli ebrei nei libri di scuola
Leggendo quello che i libri di testo di storia antica scrivono sugli ebrei ci si domanda che cosa ci sia di attendibile in quello che leggiamo sugli altri popoli. Anzi, dato che le proteste da parte di Sumeri, Egizi e Hittiti sono alquanto improbabili sarebbe logico supporre che per loro l’attendibilità sia ancora minore. Va bene, ammettiamo onestamente che i popoli antichi non interessano a nessuno e che il loro studio non pare neppure particolarmente utile per la formazione di cittadini consapevoli.

Anna Segre, insegnante
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La resistenza curda
L’eroica resistenza dei curdi di Kobane assediati dai terroristi dell’IS, sembra destinata all’abbandono e a risvolti tragici, dal ruolo ambiguo e doppiogiochista della Turchia, al disinteresse della Sinistra internazionale più occupata a condannare e a boicottare Israele, all’incapacità della presidenza USA ad optare per un intervento più risolutivo, con il quale verrebbe in tal caso puntualmente tacciata di imperialismo. Curioso che la realizzazione di un’entità curda nella regione del Rojava, porterebbe con sé il modello politico del pensatore ebreo-americano d’ispirazione libertaria Murray Bookchin: il cosiddetto ‘municipalismo libertario’, tradotto dal PYD e dalla dirigenza del PKK come ‘confederalismo democratico’. Dopo aver abbandonato la classica impostazione marxista-leninista, lo scopo del PYD/PKK sarebbe infatti la costruzione non di uno stato curdo, ma di una società democratica, composta da una confederazione di libere comunità fondate sull’autogoverno, sulla democrazia diretta e sulla cooperazione economica, che accolgano al loro interno le diverse entità etniche e religioni locali e facciano propria l’emancipazione femminile.

Francesco Moises Bassano, studente
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Da chi dipende
Ci sono cose che dipendono dall’uomo e cose non dipendono dall’uomo. I capitoli di Bereshit e di Noach ce lo raccontano. Se capiamo questo, forse anche noi saremmo a metà dell’opera.

Ilana Bahbout
 




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