Paolo Sciunnach,
insegnante
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Troppo
spesso mi sento ribattere da persone non osservanti che sarebbe bene,
nell'ambito dell'ebraismo italiano, essere più aperti verso le altre
"specie" (parola pronunciata in ebraico "min", espressione paradossale
usata dal mio interlocutore) di "ebraismi" (per esempio "reform" e
"conservative"), dal momento che la maggior parte del pubblico nelle
nostre comunità è de facto lontano dalla completa osservanza della
Halachà.
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Leggi
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Anna
Foa,
storica
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Perché
rifiutare, come hanno fatto le mamme del cagliaritano, l'assunzione
nella scuola dei loro figli, con fondi europei, di due bidelle rom?
Perché imbrattare di vernice verde, simbolo della Lega, una delle sedi
milanesi della Caritas dove si aiutano i poveri e gli immigrati? Non ci
sono molte risposte: egoismo, chiusura, ignoranza, paura della
diversità, sia quella dei poveri sia quella dei rom e degli immigrati.
In una sola parola, razzismo.
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ROMA
- Oggi alle 17.30 presso il Centro Bibliografico Tullia Zevi verrà
presentato il libro di "Compendio di grammatica della lingua ebraica",
a cura di Pina Totaro e Massimo Gargiulo. Nell'incontro moderato da
Ilana Bahbout interverranno Rav Riccardo Shmuel Di Segni, Irène
Rosier-Catach, Laura Minervini e Myriam Silvera.
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Un insulto alla Memoria |
“Un furto simbolico, un insulto alla Memoria”. Così il Corriere della
Sera inizia l’articolo sul furto a Dachau della porta di ferro con la
scritta “II lavoro rende liberi” che proprio in quel luogo aveva visto
al sua prima apparizione. La direttrice del museo di Dachau ha parlato
di una “profanazione” e, come riporta Paolo Lepri il presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha espresso
la speranza che questo “episodio penoso e squallido” sia “un’azione
sconsiderata compiuta da mitomani e non da un gruppo organizzato”.
Nel 2009 era stata la volta di Auschwitz, in Polonia, dove la grande
scritta in ferro battuto era stata rubata su istigazione di un
estremista nazista svedese, condannato insieme ai suoi complici. La
scritta, pur se divisa in tre parti, era stata ritrovata in un bosco
nelle vicinanze. Su La Stampa Tonia Mastrobuoni ricorda come la scritta
rubata, che i prigionieri vedevano ogni giorno all’ingresso e
all’uscita dal campo, sia ispirata a un romanzo ottocentesco che
raccontava la storia di un uomo che si redimeva attraverso il lavoro.
Si tratta, per Gabrielle Hammermann, direttrice del museo di Dachau, di
un “salto di qualità della cultura della profanazione”, e vengono
citati nell’articolo anche il direttore della fondazione dei memoriali
bavaresi, Karl Frellerm, per cui si tratta di “un atto orribile”, e la
dichiarazione del presidente dell’UCEI Renzo Gattegna.
La scrittrice Edith Bruck, intervistata dal Mattino di Napoli, ha
commentato: “Non mi sorprende il furto della scritta Arbeit macht frei
dal cancello d’ingresso di Dachau, così come non mi sorprende più la
serie infinita di orrori reiterati nel mondo, l’ininterrotto riproporsi
del negazionismo, i revisionismi di ogni tipo, il neonazismo
reincarnato in nuove forme”. L’autrice ungherese, internata proprio a
Dachau quando aveva dodici anni, ricorda come le fu chiaro subito che
si trattava di una beffa atroce. E aggiunge “Per me, dopo la
liberazione è stato un errore lasciare sui cancelli dei campi di
sterminio quella stessa scritta che suonava come un’atroce beffa contro
i prigionieri ed era stata concepita da una mente sadica per
contribuire ad annientarli anche nello spirito”. E conclude “Non so se
ho ancora la forza di testimoniare, di fronte a tutto ciò in me prevale
il silenzio. Non ho più parole”. Il direttore del Centro Simon
Wiesenthal, Efraim Zuroff spiega che la gravità del furto dipende molto
dalla motivazione: “Se è ideologico è grave: vogliono far sparire un
simbolo dell’Olocausto. Ma non riusciranno mai ad aumentare il numero
dei negazionisti. L’Olocausto è così noto al mondo che non basta un
furto di una targa in un ex campo di sterminio nazista a negarlo”. La
necessità di sorvegliare meglio i luoghi della Memoria però, secondo
Zuroff passa comunque in secondo piano rispetto alla sicurezza degli
ebrei che vivono oggi in Europa: “Per i criminali antisemiti in Europa
il miglior mezzo per individuare i bersagli, gli ebrei, è vedere dov’è
la polizia. È terribile: quasi ovunque in Europa è necessaria la
protezione di polizia per sinagoghe e scuole ebraiche”. E aggiunge: “In
molti Paesi membri dell’Unione europea, settant’anni dopo l’Olocausto
gli ebrei hanno di nuovo paura. Come altre minoranze.” (Repubblica)
La Gazzetta del Mezzogiorno segnala come il furto sia stato possibile
perché il luogo non ha telecamere di sicurezza: la porta mancante, è
stata probabilmente portata via con un furgone. E continua ricordando
come non sia la prima volta che il campo di Dachau viene trascinato
vergognosamente alle cronache: “ Due anni fa la catena di ipermercati
americani Walmart mise in vendita un puzzle del campo di concentramento
e l’anno scorso proprio il cancello di Dachau è stato al centro di
un’inquietante campagna pubblicitaria lanciata da Walmart, Amazon e
Sears che avevano messo in vendita un poster che lo raffigurava.”
Episodio citato anche dal Quotidiano Nazionale che, dopo una lunga
ricostruzione dell’accaduto, aggiunge dettagli inquietanti: il puzzle
messo in vendita da Walmart era stato inserito nella categoria
“giocattoli per bambini dagli otto anni in su”, e sul sito della stessa
catena, riferito al poster, c’era addirittura un agghiacciante lancio:
“Cancello con scritta Arbeit macht frei, campo di concentramento di
Dachau: il poster vi aiuterà a dare un tocco in più alla vostra casa o
al vostro ufficio”. E su la Repubblica Adriano Sofri scrive: “Sdegno
suscitato dalla profanazione, esecrazione: ci mancherebbe altro.
Universali, sentiti? Chissà. Dopotutto, è passato tanto tempo, la
specie dei testimoni superstiti è quasi estinta, anche sul sacro
incombe una prescrizione”. E continua: “Si oscillerà, così,
‘responsabilmente’, fra la preoccupazione di eccedere nei toni
indignati e quella di minimizzare. C’è qualcosa di meglio da dire e da
fare? Forse. Intanto, si può aver voglia di imparare, o richiamare alla
memoria, che cosa fu Dachau.”
Il Corriere della Sera annuncia che il primo viaggio di Federica
Mogherini come Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari
esteri avrebbe scelto Israele, Ramallah e Gaza, “cuori di uno stesso
vulcano”. La visita sarebbe stata fissata per 7 e l’8 novembre, ma la
voce, riportata dal Wall Street Journal, non ha ancora conferme
ufficiali. “Al nome di Mogherini sono ora legate altre aspettative, una
voce più ferma. Gil uomini di buona volontà, in Israele come in
Palestina, sanno di non poter e di non voler vivere per sempre in un
pianeta remoto, lontanissimo dall’Europa e dai suoi valori”.
Sul Messaggero vengono riportate le dichiarazioni di una ventottenne
attivista siciliana – di cui l’identità è ignota – che in un comunicato
rilasciato dal collettivo pro-palestinese International Solidarity
Movement sostiene di essere stata colpita a una gamba e al volto. Le
sue condizioni hanno richiesto alcuni punti di sutura e non sono gravi.
Davide Frattini, sul Corriere della Sera, ricapitola le vicende della
SodaStream, conosciuta più per il luogo in cui lavora che per i suoi
prodotti. Vittima della campagna BDS, che preme per interrompere le
relazioni con Israele fino a quando continuerà l’occupazione dei
territori palestinesi, SodaStream aveva installato tra Gerusalemme e
Gerico una fabbrica (che dà lavoro anche a cinquecento palestinesi).
Dopo l’ultimo crollo in borsa i manager hanno deciso di trasferirsi nel
Negev, allettati — dicono — dagli aiuti dello Stato. Frattini scrive
che “I leader dell’organizzazione per il boicottaggio esultano, i
lavoratori arabi meno: SodaStream aveva in parte diminuito la
disoccupazione che colpisce la zona. La campagna per le sanzioni
comincia a preoccupare anche il governo israeliano o almeno i più
moderati tra i suoi ministri”.
Gad Lerner, su la Repubblica, in un lungo articolo racconta la
situazione in Israele israeliana dove, scrive “Una parola sconsigliata.
In Israele circola sottovoce, la pronunciano con tremore: di nuovo
Intifada, cioè rivolta, sollevazione, per la terza volta in 27 anni.
Solo che stavolta l’Intifada palestinese, siccome non c’è limite al
peggio, sta divampando proprio là dove più la si temeva, nel cuore di
Gerusalemme, cioè dove ebrei e arabi, pur odiandosi, saranno in ogni
caso costretti a vivere mescolati.” Continua spiegando che l’epicentro
della contesa, “che forse qualcuno ha pianificato di trasformare in
guerra mondiale fra islam e ebraismo” è la spianata delle Moschee,
“luogo che fino a oggi nessun politico israeliano con la testa sulle
spalle ha mai rivendicato per un revival messianico del culto ebraico.
Tutto intorno alla città vecchia, Gerusalemme brucia.” Lerner scrive
che lo Shin Bet sta indagando su una possibile regia di Harnas o
addirittura dell’Is (Stato islamico) che stia dietro agli incendi, ai
finti incidenti stradali, alla strategia del terrorismo individuale di
strada. “Perché le provocazioni non appaiono quasi mai casuali.”
Il Secolo XIX ricorda come il 3 novembre 1943, con un agguato dentro la
sinagoga, iniziò la deportazione degli ebrei genovesi ad Auschwitz.
Oggi, 71 anni dopo, una marcia silenziosa organizzata dalla Comunità
ebraica di Genova e dalla Comunità di Sant’Egidio, attraverserà la
città. Inizierà alle 17.30 da Galleria Mazzini e si concluderà nella
Sinagoga di passo Bertora, con un intervento del rabbino capo di Genova
Giuseppe Momigliano, del presidente della Comunità ebraica Amnon Cohen,
del sindaco e del responsabile della Comunità di Sant’Egidio.
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informazione - numero zero
Prime pagine di Europa Ebraica
Vasta
e dalle tante sfaccettature quanti sono i diversi Paesi che la
compongono, l'Europa Ebraica è la tematica al centro della nuova
testata su cui sta lavorando la redazione giornalistica dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con l’European
Jewish Found.
Il primo numero, ancora un esperimento, o per usare il gergo degli
addetti ai lavori, un numero zero, è attualmente in distribuzione
insieme a tutte le edizioni, stampate e elettroniche del numero di
novembre di Pagine Ebraiche. Il numero zero di Europa Ebraica,
il primo tentativo di dedicare un notiziario specifico al mondo ebraico
europeo, ha così avuto il privilegio di andare in stampa e di
raggiungere decine di migliaia di lettori, mentre di solito le versioni
sperimentali dei giornali ben difficilmente possono raggiungere per
motivi di costi la rotativa, in questo caso è stato possibile farlo a
costo zero alloggiando la nuova testata all’interno della foliazione
ordinaria del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, del
giornale di cronache comunitarie Italia Ebraica e del giornale ebraico
dei bambini DafDaf.
La nuova testata, come anche tutte le altre, ha una sua identità
specifica e una grafica nuova, estremamente semplice e rigorosa,
ispirata alla tendenza predominante di alcuni giornali quotidiani del
Nordeuropa. Grande spazio ai bianchi e alla leggibilità, concentrazione
sulla forza di poche immagini ben evidenziate, titolazione energica,
massima cura per la semplicità di lettura, a cominciare da un diktat
rigoroso per evitare testi troppo lunghi e i giro pagina che rischiano
di disorientare i lettori meno sperimentati.
Europa Ebraica “nasce come primo esperimento di un progetto comune fra
redazione giornalistica UCEI e European Jewish Fund, e offre al lettore
la possibilità di riflettere su quale sia il modo migliore di parlare
di Europa ebraica”, spiega il direttore della redazione Guido Vitale.
Per questo la testata aspira a rendere conto di alcuni tra gli aspetti
che caratterizzano la vita ebraica nel Vecchio continente: le sue
istituzioni, la sfida di tenere alti i valori di democrazia e Memoria,
il complesso rapporto con Israele e la preoccupazione di riuscire a
difendere le sue ragioni, il dovere di contrastare una nuova ondata di
antisemitismo, ma anche il ruolo fondamentale di garante di valori e
cultura che la minoranza ebraica continua a ricoprire.
E addentrandosi nei contenuti di questo numero zero di Europa Ebraica è
già possibile ritrovare tutti questi spunti di riflessione.
La prima pagina è dedicata alla valorizzazione e alla conservazione dei
beni culturali ebraici, un tema che allo European Jewish Fund sta
notevolmente a cuore, come dimostra l'iniziativa del Beit Project, in
corso quest'anno in Spagna e da esso finanziato. Il progetto pone la
sua enfasi nella salvaguardia e nell'utilizzo di luoghi che si trovano
negli spazi pubblici di molte città europee, sotto gli occhi di tutti,
ma che rimangono completamente ignoti ad abitanti e turisti come siti
ebraici. In primo piano inoltre la lunga storia della Haggadah di
Sarajevo, prezioso codice miniato trecentesco sfuggito alla cacciata
degli ebrei dalla Spagna, all’invasione nazista e al lungo e feroce
assedio alla capitale bosniaca dei primi anni Novanta, ora travolto dal
fallimento del Museo nazionale di Sarajevo e dalla drammatica crisi che
sta devastando le istituzioni culturali del Paese. Entrando nel cuore
del giornale è poi possibile andare alla scoperta di due importanti
appuntamenti internazionali che caratterizzeranno il mese di novembre.
Si terrà a Milano tra il 21 e il 23 del mese il quinto Meeting of
Presidents organizzato dallo European Council of Jewish Communities
dalla American Jewish Joint Distribution Committee, che riunirà nel
capoluogo lombardo i leader di tutte le Comunità ebraiche europee per
tre giorni di dibattito e di confronto, con l'occasione di creare una
rete di conoscenze e supporto reciproco. Di particolare interesse il
sondaggio Young European Online Survey a cura del JDC International
Centre for Community Development in collaborazione con l'ECJC, che
analizza la mobilità all’interno dell’Unione Europea dei giovani ebrei
e verrà presentato durante il Meeting. A Berlino si terrà invece la
OSCE Conference on Anti-Semitism, che riunirà il 12 e 13 novembre nella
capitale tedesca rappresentanti governativi e leader politici dei 57
stati membri della Organization for Security and Co-operation in Europe
oltre che più di 150 rappresentanti della società civile per un
confronto sulle sfide della lotta all'antisemitismo a dieci anni
dall'ultima conferenza e dalla Dichiarazione di Berlino che ne fu
l'esito. Dulcis in fundo la storia di Moishe House, l'organizzazione
internazionale che offre abitazioni a giovani ebrei con un format
innovativo di coinvolgimento nella vita comunitaria, e di Jeremy
Borovitz, direttore culturale dell'organizzazione, che ha intrapreso un
lungo viaggio in Russia allo scopo di costruire Sukkot nelle Moishe
House del paese. Appuntamento, dopo aver messo a punto i tanti
interrogativi che accompagnano le nuove esperienze, ai prossimi numeri
di Europa Ebraica, per nuove storie e nuove sfide.
Francesca Matalon
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l'intervento del presidente ucei
“Dachau, un episodio squallido”
Spazio,
sui principali quotidiani, per le dichiarazioni del presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna in seguito
al furto della scritta “Arbeit Macht Frei” posta all'ingresso del campo
di concentramento di Dachau. “Un episodio penoso e squallido. La
speranza – le sue parole – è che si tratti di un’azione sconsiderata di
mitomani e che non ci sia alcun gruppo organizzato. C’è veramente da
domandarsi quale scopo diano alla propria vita persone che si dedicano
a gesti così inconsulti”. Tra le molte voci a levarsi in queste ore
anche quella di Efraim Zuroff, presidente del Centro Simon Wiesenthal:
“La profanazione di Dachau è un tremendo insulto alle vittime, ai
superstiti, all'umanità”.
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comics & jews
Il fumetto batte ogni record
Battuto
ogni record: Lucca Comics and Games, il grande festival internazionale
dedicato al fumetto e all’intrattenimento intelligente ha avuto in
quattro giorni più di 400mila visitatori. Settecento stand, oltre
cinquecento incontri per le cinque sezioni del festival – Comics,
Games, Junior, Music&Cosplay e Movie – per quattro giorni in cui
centinaia di copie di Pagine Ebraiche hanno fatto capolino un po’
ovunque. Distribuite a Palazzo Ducale, all’ingresso della grande mostra
dedicata all’artista israeliana Rutu Modan, vincitrice lo scorso anno,
fra i laboratori per bambini, dove DafDaf ha tenuto un incontro proprio
con la Modan, incentrato sulla recente uscita del suo ultimo libro per
i piccoli lettori, pubblicato da Giuntina, fra gli stand dei tanti
editori che coinvolti nella realizzazione di Comics & Jews, il
dossier che ogni anno il giornale dell’ebraismo italiano dedica al
rapporto fra fumetto e cultura ebraica. E di Comics & Jews si è
parlato il primo giorno della manifestazione, quando il dossier è stato
presentato al pubblico dalla redazione, insieme a Giovanni Russo,
direttore delle sezione Comics del festival lucchese, e insieme a
Emilio Varrà, responsabile di BilBOlBul, la manifestazione bolognese
dedicata al fumetto che aprirà il venti novembre, con un convegno
dedicato a questo specifico settore dell’editoria. La trasformazione di
Lucca Comics and Games annunciata lo scorso anno, con una espansione
degli spazi occupati per evitare quell’intasamento del centro della
cittadina toscana che in effetti qualche problema aveva creato, si è
dimostrato vincente, oltre che decisamente funzionale. Ai padiglioni in
centro, praticamente in ognuna delle belle piazze storiche della città,
mostre al Palazzo Ducale, si sono aggiunte aree più decentrate, sia
all’esterno che all’interno delle mura medievali, come per esempio la
sezione Junior, coordinata da Sarah Genovese, che ha occupato la sede
dedicata negli scorsi anni al Japan palace, così da riservare ai
bambini un intero palazzo, con librerie, laboratori, aree dedicate a
giochi, approfondimenti, mostre. Una grande folla aveva preso possesso
delle vie sin dal giorno di apertura del festival, con la solita
allegra invasione dei personaggi più improbabili provenienti da
fumetti, cartoni animati, telefilm e videogiochi, ma il muro dei
400mila visitatori era parso agli organizzatori un po’ uno scherzo, una
cifra irraggiungibile. Che è stata superata.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
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Oltremare
- Fermi tutti |
Questa
cosa di bloccare i centro città a ogni piè sospinto è un po' snervante,
ammettiamolo. Quando vivevo a Gerusalemme mi ricordo una sera, mentre
arrivavo ad attraversare Rehov Gaza, di esser stata fermata da un
figuro sbucato dal nulla, vestito di nero integrale e armato fino ai
denti. Inutile tentare di chiedere spiegazioni, col mio ebraico allora
smozzicato. Simultaneamente si spargeva nel buio gelido il suono di
mille sirene in avvicinamento. Ho pensato oddìo, attentato multiplo,
decine di morti, ritorno dell'intifada... Poi hanno iniziato a sfilare
una dozzina di limousine nere con i vetri oscurati, e un altro passante
immobilizzato a lato strada come me ha commentato rassegnato
"Condoleeza Rice". Ah. Tutto sto cinema per l'arrivo di una politica?
Daniela Fubini, Tel Aviv
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