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3 novembre 2014 - 10 Cheshvan 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Paolo Sciunnach,
insegnante
Troppo spesso mi sento ribattere da persone non osservanti che sarebbe bene, nell'ambito dell'ebraismo italiano, essere più aperti verso le altre "specie" (parola pronunciata in ebraico "min", espressione paradossale usata dal mio interlocutore) di "ebraismi" (per esempio "reform" e "conservative"), dal momento che la maggior parte del pubblico nelle nostre comunità è de facto lontano dalla completa osservanza della Halachà.
 
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Anna
Foa,
storica
Perché rifiutare, come hanno fatto le mamme del cagliaritano, l'assunzione nella scuola dei loro figli, con fondi europei, di due bidelle rom? Perché imbrattare di vernice verde, simbolo della Lega, una delle sedi milanesi della Caritas dove si aiutano i poveri e gli immigrati? Non ci sono molte risposte: egoismo, chiusura, ignoranza, paura della diversità, sia quella dei poveri sia quella dei rom e degli immigrati. In una sola parola, razzismo.
ROMA - Oggi alle 17.30 presso il Centro Bibliografico Tullia Zevi verrà presentato il libro di "Compendio di grammatica della lingua ebraica", a cura di Pina Totaro e Massimo Gargiulo. Nell'incontro moderato da Ilana Bahbout interverranno Rav Riccardo Shmuel Di Segni, Irène Rosier-Catach, Laura Minervini e Myriam Silvera.
Un insulto alla Memoria
“Un furto simbolico, un insulto alla Memoria”. Così il Corriere della Sera inizia l’articolo sul furto a Dachau della porta di ferro con la scritta “II lavoro rende liberi” che proprio in quel luogo aveva visto al sua prima apparizione. La direttrice del museo di Dachau ha parlato di una “profanazione” e, come riporta Paolo Lepri il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha espresso la speranza che questo “episodio penoso e squallido” sia “un’azione sconsiderata compiuta da mitomani e non da un gruppo organizzato”.
Nel 2009 era stata la volta di Auschwitz, in Polonia, dove la grande scritta in ferro battuto era stata rubata su istigazione di un estremista nazista svedese, condannato insieme ai suoi complici. La scritta, pur se divisa in tre parti, era stata ritrovata in un bosco nelle vicinanze. Su La Stampa Tonia Mastrobuoni ricorda come la scritta rubata, che i prigionieri vedevano ogni giorno all’ingresso e all’uscita dal campo, sia ispirata a un romanzo ottocentesco che raccontava la storia di un uomo che si redimeva attraverso il lavoro. Si tratta, per Gabrielle Hammermann, direttrice del museo di Dachau, di un “salto di qualità della cultura della profanazione”, e vengono citati nell’articolo anche il direttore della fondazione dei memoriali bavaresi, Karl Frellerm, per cui si tratta di “un atto orribile”, e la dichiarazione del presidente dell’UCEI Renzo Gattegna.
La scrittrice Edith Bruck, intervistata dal Mattino di Napoli, ha commentato: “Non mi sorprende il furto della scritta Arbeit macht frei dal cancello d’ingresso di Dachau, così come non mi sorprende più la serie infinita di orrori reiterati nel mondo, l’ininterrotto riproporsi del negazionismo, i revisionismi di ogni tipo, il neonazismo reincarnato in nuove forme”. L’autrice ungherese, internata proprio a Dachau quando aveva dodici anni, ricorda come le fu chiaro subito che si trattava di una beffa atroce. E aggiunge “Per me, dopo la liberazione è stato un errore lasciare sui cancelli dei campi di sterminio quella stessa scritta che suonava come un’atroce beffa contro i prigionieri ed era stata concepita da una mente sadica per contribuire ad annientarli anche nello spirito”. E conclude “Non so se ho ancora la forza di testimoniare, di fronte a tutto ciò in me prevale il silenzio. Non ho più parole”. Il direttore del Centro Simon Wiesenthal, Efraim Zuroff spiega che la gravità del furto dipende molto dalla motivazione: “Se è ideologico è grave: vogliono far sparire un simbolo dell’Olocausto. Ma non riusciranno mai ad aumentare il numero dei negazionisti. L’Olocausto è così noto al mondo che non basta un furto di una targa in un ex campo di sterminio nazista a negarlo”. La necessità di sorvegliare meglio i luoghi della Memoria però, secondo Zuroff passa comunque in secondo piano rispetto alla sicurezza degli ebrei che vivono oggi in Europa: “Per i criminali antisemiti in Europa il miglior mezzo per individuare i bersagli, gli ebrei, è vedere dov’è la polizia. È terribile: quasi ovunque in Europa è necessaria la protezione di polizia per sinagoghe e scuole ebraiche”. E aggiunge: “In molti Paesi membri dell’Unione europea, settant’anni dopo l’Olocausto gli ebrei hanno di nuovo paura. Come altre minoranze.” (Repubblica)
La Gazzetta del Mezzogiorno segnala come il furto sia stato possibile perché il luogo non ha telecamere di sicurezza: la porta mancante, è stata probabilmente portata via con un furgone. E continua ricordando come non sia la prima volta che il campo di Dachau viene trascinato vergognosamente alle cronache: “ Due anni fa la catena di ipermercati americani Walmart mise in vendita un puzzle del campo di concentramento e l’anno scorso proprio il cancello di Dachau è stato al centro di un’inquietante campagna pubblicitaria lanciata da Walmart, Amazon e Sears che avevano messo in vendita un poster che lo raffigurava.” Episodio citato anche dal Quotidiano Nazionale che, dopo una lunga ricostruzione dell’accaduto, aggiunge dettagli inquietanti: il puzzle messo in vendita da Walmart era stato inserito nella categoria “giocattoli per bambini dagli otto anni in su”, e sul sito della stessa catena, riferito al poster, c’era addirittura un agghiacciante lancio: “Cancello con scritta Arbeit macht frei, campo di concentramento di Dachau: il poster vi aiuterà a dare un tocco in più alla vostra casa o al vostro ufficio”. E su la Repubblica Adriano Sofri scrive: “Sdegno suscitato dalla profanazione, esecrazione: ci mancherebbe altro. Universali, sentiti? Chissà. Dopotutto, è passato tanto tempo, la specie dei testimoni superstiti è quasi estinta, anche sul sacro incombe una prescrizione”. E continua: “Si oscillerà, così, ‘responsabilmente’, fra la preoccupazione di eccedere nei toni indignati e quella di minimizzare. C’è qualcosa di meglio da dire e da fare? Forse. Intanto, si può aver voglia di imparare, o richiamare alla memoria, che cosa fu Dachau.”

Il Corriere della Sera annuncia che il primo viaggio di Federica Mogherini come Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri avrebbe scelto Israele, Ramallah e Gaza, “cuori di uno stesso vulcano”. La visita sarebbe stata fissata per 7 e l’8 novembre, ma la voce, riportata dal Wall Street Journal, non ha ancora conferme ufficiali. “Al nome di Mogherini sono ora legate altre aspettative, una voce più ferma. Gil uomini di buona volontà, in Israele come in Palestina, sanno di non poter e di non voler vivere per sempre in un pianeta remoto, lontanissimo dall’Europa e dai suoi valori”.

Sul Messaggero vengono riportate le dichiarazioni di una ventottenne attivista siciliana – di cui l’identità è ignota – che in un comunicato rilasciato dal collettivo pro-palestinese International Solidarity Movement sostiene di essere stata colpita a una gamba e al volto. Le sue condizioni hanno richiesto alcuni punti di sutura e non sono gravi.

Davide Frattini, sul Corriere della Sera, ricapitola le vicende della SodaStream, conosciuta più per il luogo in cui lavora che per i suoi prodotti. Vittima della campagna BDS, che preme per interrompere le relazioni con Israele fino a quando continuerà l’occupazione dei territori palestinesi, SodaStream aveva installato tra Gerusalemme e Gerico una fabbrica (che dà lavoro anche a cinquecento palestinesi). Dopo l’ultimo crollo in borsa i manager hanno deciso di trasferirsi nel Negev, allettati — dicono — dagli aiuti dello Stato. Frattini scrive che “I leader dell’organizzazione per il boicottaggio esultano, i lavoratori arabi meno: SodaStream aveva in parte diminuito la disoccupazione che colpisce la zona. La campagna per le sanzioni comincia a preoccupare anche il governo israeliano o almeno i più moderati tra i suoi ministri”.

Gad Lerner, su la Repubblica, in un lungo articolo racconta la situazione in Israele israeliana dove, scrive “Una parola sconsigliata. In Israele circola sottovoce, la pronunciano con tremore: di nuovo Intifada, cioè rivolta, sollevazione, per la terza volta in 27 anni. Solo che stavolta l’Intifada palestinese, siccome non c’è limite al peggio, sta divampando proprio là dove più la si temeva, nel cuore di Gerusalemme, cioè dove ebrei e arabi, pur odiandosi, saranno in ogni caso costretti a vivere mescolati.” Continua spiegando che l’epicentro della contesa, “che forse qualcuno ha pianificato di trasformare in guerra mondiale fra islam e ebraismo” è la spianata delle Moschee, “luogo che fino a oggi nessun politico israeliano con la testa sulle spalle ha mai rivendicato per un revival messianico del culto ebraico. Tutto intorno alla città vecchia, Gerusalemme brucia.” Lerner scrive che lo Shin Bet sta indagando su una possibile regia di Harnas o addirittura dell’Is (Stato islamico) che stia dietro agli incendi, ai finti incidenti stradali, alla strategia del terrorismo individuale di strada. “Perché le provocazioni non appaiono quasi mai casuali.”

Il Secolo XIX ricorda come il 3 novembre 1943, con un agguato dentro la sinagoga, iniziò la deportazione degli ebrei genovesi ad Auschwitz. Oggi, 71 anni dopo, una marcia silenziosa organizzata dalla Comunità ebraica di Genova e dalla Comunità di Sant’Egidio, attraverserà la città. Inizierà alle 17.30 da Galleria Mazzini e si concluderà nella Sinagoga di passo Bertora, con un intervento del rabbino capo di Genova Giuseppe Momigliano, del presidente della Comunità ebraica Amnon Cohen, del sindaco e del responsabile della Comunità di Sant’Egidio.
 
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  davar
informazione - numero zero
Prime pagine di Europa Ebraica
Vasta e dalle tante sfaccettature quanti sono i diversi Paesi che la compongono, l'Europa Ebraica è la tematica al centro della nuova testata su cui sta lavorando la redazione giornalistica dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con l’European Jewish Found.
Il primo numero, ancora un esperimento, o per usare il gergo degli addetti ai lavori, un numero zero, è attualmente in distribuzione insieme a tutte le edizioni, stampate e elettroniche del numero di novembre di Pagine Ebraiche. Il numero zero di Europa Ebraica, il primo tentativo di dedicare un notiziario specifico al mondo ebraico europeo, ha così avuto il privilegio di andare in stampa e di raggiungere decine di migliaia di lettori, mentre di solito le versioni sperimentali dei giornali ben difficilmente possono raggiungere per motivi di costi la rotativa, in questo caso è stato possibile farlo a costo zero alloggiando la nuova testata all’interno della foliazione ordinaria del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, del giornale di cronache comunitarie Italia Ebraica e del giornale ebraico dei bambini DafDaf.
La nuova testata, come anche tutte le altre, ha una sua identità specifica e una grafica nuova, estremamente semplice e rigorosa, ispirata alla tendenza predominante di alcuni giornali quotidiani del Nordeuropa. Grande spazio ai bianchi e alla leggibilità, concentrazione sulla forza di poche immagini ben evidenziate, titolazione energica, massima cura per la semplicità di lettura, a cominciare da un diktat rigoroso per evitare testi troppo lunghi e i giro pagina che rischiano di disorientare i lettori meno sperimentati.
Europa Ebraica “nasce come primo esperimento di un progetto comune fra redazione giornalistica UCEI e European Jewish Fund, e offre al lettore la possibilità di riflettere su quale sia il modo migliore di parlare di Europa ebraica”, spiega il direttore della redazione Guido Vitale. Per questo la testata aspira a rendere conto di alcuni tra gli aspetti che caratterizzano la vita ebraica nel Vecchio continente: le sue istituzioni, la sfida di tenere alti i valori di democrazia e Memoria, il complesso rapporto con Israele e la preoccupazione di riuscire a difendere le sue ragioni, il dovere di contrastare una nuova ondata di antisemitismo, ma anche il ruolo fondamentale di garante di valori e cultura che la minoranza ebraica continua a ricoprire.
E addentrandosi nei contenuti di questo numero zero di Europa Ebraica è già possibile ritrovare tutti questi spunti di riflessione.
La prima pagina è dedicata alla valorizzazione e alla conservazione dei beni culturali ebraici, un tema che allo European Jewish Fund sta notevolmente a cuore, come dimostra l'iniziativa del Beit Project, in corso quest'anno in Spagna e da esso finanziato. Il progetto pone la sua enfasi nella salvaguardia e nell'utilizzo di luoghi che si trovano negli spazi pubblici di molte città europee, sotto gli occhi di tutti, ma che rimangono completamente ignoti ad abitanti e turisti come siti ebraici. In primo piano inoltre la lunga storia della Haggadah di Sarajevo, prezioso codice miniato trecentesco sfuggito alla cacciata degli ebrei dalla Spagna, all’invasione nazista e al lungo e feroce assedio alla capitale bosniaca dei primi anni Novanta, ora travolto dal fallimento del Museo nazionale di Sarajevo e dalla drammatica crisi che sta devastando le istituzioni culturali del Paese. Entrando nel cuore del giornale è poi possibile andare alla scoperta di due importanti appuntamenti internazionali che caratterizzeranno il mese di novembre. Si terrà a Milano tra il 21 e il 23 del mese il quinto Meeting of Presidents organizzato dallo European Council of Jewish Communities dalla American Jewish Joint Distribution Committee, che riunirà nel capoluogo lombardo i leader di tutte le Comunità ebraiche europee per tre giorni di dibattito e di confronto, con l'occasione di creare una rete di conoscenze e supporto reciproco. Di particolare interesse il sondaggio Young European Online Survey a cura del JDC International Centre for Community Development in collaborazione con l'ECJC, che analizza la mobilità all’interno dell’Unione Europea dei giovani ebrei e verrà presentato durante il Meeting. A Berlino si terrà invece la OSCE Conference on Anti-Semitism, che riunirà il 12 e 13 novembre nella capitale tedesca rappresentanti governativi e leader politici dei 57 stati membri della Organization for Security and Co-operation in Europe oltre che più di 150 rappresentanti della società civile per un confronto sulle sfide della lotta all'antisemitismo a dieci anni dall'ultima conferenza e dalla Dichiarazione di Berlino che ne fu l'esito. Dulcis in fundo la storia di Moishe House, l'organizzazione internazionale che offre abitazioni a giovani ebrei con un format innovativo di coinvolgimento nella vita comunitaria, e di Jeremy Borovitz, direttore culturale dell'organizzazione, che ha intrapreso un lungo viaggio in Russia allo scopo di costruire Sukkot nelle Moishe House del paese. Appuntamento, dopo aver messo a punto i tanti interrogativi che accompagnano le nuove esperienze, ai prossimi numeri di Europa Ebraica, per nuove storie e nuove sfide.

Francesca Matalon

qui merano
Cimitero ebraico, omaggio
ai caduti della Grande Guerra

Cittadini dell’Impero Austro Ungarico, morirono sotto i colpi dell’esercito italiano. Lo stesso esercito che rende loro omaggio oggi, quasi 100 anni dopo, nel segno della sofferenza e del dolore che accomunarono i due schieramenti. Onori militari, deposizione di corone, presenza delle più importanti cariche istituzionali (a partire dal sindaco Günther Januth) hanno caratterizzato la prima storica cerimonia di commemorazione delle molte decine di ebrei austriaci che caddero in Trentino Alto Adige durante la Grande Guerra e i cui corpi riposano dal 1931 nel cimitero ebraico di Merano. Un’iniziativa inquadrata all’interno di celebrazioni volutamente omnicomprensive in una regione in cui il tema del conflitto tra diverse identità nazionali ha spesso infiammato lo scontro politico.
A proporre l’apertura di questo nuovo fronte di Memoria il vicepresidente della Comunità ebraica Mirko Wenter, sostenuto dalla presidente (oltre che consigliere UCEI) Elisabetta Rossi Innerhofer. Un’iniziativa, spiega quest’ultima, “immediatamente e positivamente accolta dalle istituzioni”.
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israele
Il vertice segreto di Amman
Un incontro segreto per riportare la calma a Gerusalemme. Secondo quanto riferisce il quotidiano del Kuwait Al-Jarida – rilanciato dai media israeliani – il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu avrebbe incontrato domenica, lontano dai riflettori, il re di Giordania Abdullah II per discutere dell'escalation di violenza in cui è caduta Gerusalemme Est e la situazione d'alta tensione che si respira nell'area del Monte del Tempio. Nel vis a vis segreto di Amman (nell'immagine, l'incontro tra i due leader tenutosi in Giordania lo scorso gennaio), Netanyahu avrebbe accettato la richiesta di chiudere temporaneamente le visite ebraiche al sito - Spianata delle Moschee, per il mondo musulmano - e di incrementare il coordinamento con l'ente giordano Waqf a cui è affidata la gestione del luogo. "Siamo impegnati a preservare lo status quo per tutte le religioni", aveva dichiarato ieri Netanyahu al termine della riunione domenicale del governo israeliano, aggiungendo che “è molto facile appiccare un incendio religioso, ma è più difficile spegnerlo".
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informazione - international edition
"L'Italia è di buona Costituzione"
Ha scelto un indovinato gioco di parole il prestigioso settimanale Jüdische Allgemeine Wochenzeitung, voce degli ebrei di Germania, per raccontare la storica decisione della Corte costituzionale che esclude l’applicabilità dell’immunità riconosciuta agli Stati per le cause civili in caso di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. A firmare il pezzo, riportato integralmente nella versione originale tedesca sulla edizione internazionale di Pagine Ebraiche è stato il coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale.

Rossella Tercatin

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l'intervento del presidente ucei
“Dachau, un episodio squallido”
Spazio, sui principali quotidiani, per le dichiarazioni del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna in seguito al furto della scritta “Arbeit Macht Frei” posta all'ingresso del campo di concentramento di Dachau. “Un episodio penoso e squallido. La speranza – le sue parole – è che si tratti di un’azione sconsiderata di mitomani e che non ci sia alcun gruppo organizzato. C’è veramente da domandarsi quale scopo diano alla propria vita persone che si dedicano a gesti così inconsulti”. Tra le molte voci a levarsi in queste ore anche quella di Efraim Zuroff, presidente del Centro Simon Wiesenthal: “La profanazione di Dachau è un tremendo insulto alle vittime, ai superstiti, all'umanità”.

 
comics & jews
Il fumetto batte ogni record
Battuto ogni record: Lucca Comics and Games, il grande festival internazionale dedicato al fumetto e all’intrattenimento intelligente ha avuto in quattro giorni più di 400mila visitatori. Settecento stand, oltre cinquecento incontri per le cinque sezioni del festival – Comics, Games, Junior, Music&Cosplay e Movie – per quattro giorni in cui centinaia di copie di Pagine Ebraiche hanno fatto capolino un po’ ovunque. Distribuite a Palazzo Ducale, all’ingresso della grande mostra dedicata all’artista israeliana Rutu Modan, vincitrice lo scorso anno, fra i laboratori per bambini, dove DafDaf ha tenuto un incontro proprio con la Modan, incentrato sulla recente uscita del suo ultimo libro per i piccoli lettori, pubblicato da Giuntina, fra gli stand dei tanti editori che coinvolti nella realizzazione di Comics & Jews, il dossier che ogni anno il giornale dell’ebraismo italiano dedica al rapporto fra fumetto e cultura ebraica. E di Comics & Jews si è parlato il primo giorno della manifestazione, quando il dossier è stato presentato al pubblico dalla redazione, insieme a Giovanni Russo, direttore delle sezione Comics del festival lucchese, e insieme a Emilio Varrà, responsabile di BilBOlBul, la manifestazione bolognese dedicata al fumetto che aprirà il venti novembre, con un convegno dedicato a questo specifico settore dell’editoria. La trasformazione di Lucca Comics and Games annunciata lo scorso anno, con una espansione degli spazi occupati per evitare quell’intasamento del centro della cittadina toscana che in effetti qualche problema aveva creato, si è dimostrato vincente, oltre che decisamente funzionale. Ai padiglioni in centro, praticamente in ognuna delle belle piazze storiche della città, mostre al Palazzo Ducale, si sono aggiunte aree più decentrate, sia all’esterno che all’interno delle mura medievali, come per esempio la sezione Junior, coordinata da Sarah Genovese, che ha occupato la sede dedicata negli scorsi anni al Japan palace, così da riservare ai bambini un intero palazzo, con librerie, laboratori, aree dedicate a giochi, approfondimenti, mostre. Una grande folla aveva preso possesso delle vie sin dal giorno di apertura del festival, con la solita allegra invasione dei personaggi più improbabili provenienti da fumetti, cartoni animati, telefilm e videogiochi, ma il muro dei 400mila visitatori era parso agli organizzatori un po’ uno scherzo, una cifra irraggiungibile. Che è stata superata.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

Pitigliani Kolno'a Festival
Il Pkf Professional Lab
“Il cinema israeliano non parla solo di guerra e la scelta dei film presentati quest’anno nella nona edizione del Pitigliani Kolno’a Festival ne sono la prova: rispecchiano più che altro una coscienza collettiva”. A parlare è Dan Muggia, direttore artistico insieme ad Ariela Piattelli della rassegna cinematografica che porta in Italia un assaggio dei film made in Israel. Ad essere protagonisti oggi alla Casa del Cinema di Roma tre produzioni d’autore, e Pkf Professional Lab, il laboratorio cinematografico che si terrà a partire dalle 18.00 nella sala Kodak. L’appuntamento dal titolo “La storia nell’oggi” affronterà il tema del restauro e dell’utilizzo di materiali d’archivio, prendendo in considerazione due casi esemplari: Claudio Della Seta racconterà il ritrovamento dei family movies datati 1923 e presentati a ottobre, e lo sceneggiatore Massimo Torre affronterà il tema “Materiale di repertorio in anni di crisi: necessità o opportunità creativa”. Un’occasione, quella del Professional Lab, per entrare nel dietro le quinte, per conoscere il lavoro oltre lo schermo.

(nella foto la locandina del documentario Life as a rumor)
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pilpul
 Oltremare - Fermi tutti
Questa cosa di bloccare i centro città a ogni piè sospinto è un po' snervante, ammettiamolo. Quando vivevo a Gerusalemme mi ricordo una sera, mentre arrivavo ad attraversare Rehov Gaza, di esser stata fermata da un figuro sbucato dal nulla, vestito di nero integrale e armato fino ai denti. Inutile tentare di chiedere spiegazioni, col mio ebraico allora smozzicato. Simultaneamente si spargeva nel buio gelido il suono di mille sirene in avvicinamento. Ho pensato oddìo, attentato multiplo, decine di morti, ritorno dell'intifada... Poi hanno iniziato a sfilare una dozzina di limousine nere con i vetri oscurati, e un altro passante immobilizzato a lato strada come me ha commentato rassegnato "Condoleeza Rice". Ah. Tutto sto cinema per l'arrivo di una politica?

Daniela Fubini, Tel Aviv
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