3 novembre 2014 - 10 Cheshvan 5775 |
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Su Pagine Ebraiche 24, la Newsletter
quotidiana di metà giornata, oggi i pensieri di Paolo Sciunnach e di
Anna Foa. Nella sezione pilpul una riflessione di Daniela Fubini e
Daniele Liberanome.
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Marina Forti @fortimar
(3 novembre)
Per i giovani israeliani "l'altra parte" non esiste. La movida di Tel
Aviv, i giovani d'Israele, la guerra http://shar.es/104zDr
@pagina_99
Elad Ratson @EladRatson
(3 novembre)
10 raisons de manger plus de #Houmous ► http://ow.ly/DItVL #TopChef #Top
Ruth Ellen Gruber @ruthellengruber
(3 novembre)
Here's a switch: German #church to be converted into a #synagogue. In Cottbuss. http://bit.ly/1zroS7b
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#PE24BreakingNews
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Aggiornamenti regolari e notizie provenienti dal mondo ebraico, sulla homepage del portale dell'ebraismo italiano www.moked.it oppure seguendo il link diretto http://bit.ly/1uQoBHo
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Un insulto alla Memoria
“Un furto simbolico, un insulto alla Memoria”. Così il Corriere della Sera inizia l’articolo sul furto a Dachau
della porta di ferro con la scritta “II lavoro rende liberi” che
proprio in quel luogo aveva visto al sua prima apparizione. La
direttrice del museo di Dachau ha parlato di una “profanazione” e, come
riporta Paolo Lepri il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Renzo Gattegna ha
espresso la speranza che questo “episodio penoso e squallido” sia
“un’azione sconsiderata compiuta da mitomani e non da un gruppo
organizzato”.
Nel 2009 era stata la volta di Auschwitz, in Polonia, dove la grande
scritta in ferro battuto era stata rubata su istigazione di un
estremista nazista svedese, condannato insieme ai suoi complici. La
scritta, pur se divisa in tre parti, era stata ritrovata in un bosco
nelle vicinanze. Su La Stampa Tonia Mastrobuoni ricorda come la scritta
rubata, che i prigionieri vedevano ogni giorno all’ingresso e
all’uscita dal campo, sia ispirata a un romanzo ottocentesco che
raccontava la storia di un uomo che si redimeva attraverso il lavoro.
Si tratta, per Gabrielle Hammermann, direttrice del museo di Dachau, di
un “salto di qualità della cultura della profanazione”, e vengono
citati nell’articolo anche il direttore della fondazione dei memoriali
bavaresi, Karl Frellerm, per cui si tratta di “un atto orribile”, e la
dichiarazione del presidente dell’UCEI Renzo Gattegna.
La scrittrice Edith Bruck,
intervistata dal Mattino di Napoli, ha commentato: “Non mi sorprende il
furto della scritta Arbeit macht frei dal cancello d'ingresso di
Dachau, così come non mi sorprende più la serie infinita di orrori
reiterati nel mondo, l'ininterrotto riproporsi del negazionismo, i
revisionismi di ogni tipo, il neonazismo reincarnato in nuove forme”.
L’autrice ungherese, internata proprio a Dachau quando aveva dodici
anni, ricorda come le fu chiaro subito che si trattava di una beffa
atroce. E aggiunge “Per me, dopo la liberazione è stato un errore
lasciare sui cancelli dei campi di sterminio quella stessa scritta che
suonava come un'atroce beffa contro i prigionieri ed era stata
concepita da una mente sadica per contribuire ad annientarli anche
nello spirito”. E conclude “Non so se ho ancora la forza di
testimoniare, di fronte a tutto ciò in me prevale il silenzio. Non ho
più parole”.
Il direttore del Centro Simon Wiesenthal,
Efraim Zuroff spiega che la gravità del furto dipende molto dalla
motivazione: “Se è ideologico è grave: vogliono far sparire un simbolo
dell'Olocausto. Ma non riusciranno mai ad aumentare il numero dei
negazionisti. L'Olocausto è così noto al mondo che non basta un furto
di una targa in un ex campo di sterminio nazista a negarlo”. La
necessità di sorvegliare meglio i luoghi della Memoria però, secondo
Zuroff passa comunque in secondo piano rispetto alla sicurezza degli
ebrei che vivono oggi in Europa: “Per i criminali antisemiti in Europa
il miglior mezzo per individuare i bersagli, gli ebrei, è vedere dov'è
la polizia. È terribile: quasi ovunque in Europa è necessaria la
protezione di polizia per sinagoghe e scuole ebraiche”. E aggiunge: “In
molti Paesi membri dell'Unione europea, settant'anni dopo l'Olocausto
gli ebrei hanno di nuovo paura. Come altre minoranze.”
La Gazzetta del Mezzogiorno segnala come il furto sia stato possibile
perché il luogo non ha telecamere di sicurezza: la porta mancante, è
stata probabilmente portata via con un furgone. E continua ricordando
come non sia la prima volta che il campo di Dachau viene trascinato
vergognosamente alle cronache: “ Due anni fa la catena di ipermercati
americani Walmart mise in vendita un puzzle del campo di concentramento
e l'anno scorso proprio il cancello di Dachau è stato al centro di
un'inquietante campagna pubblicitaria lanciata da Walmart, Amazon e
Sears che avevano messo in vendita un poster che lo raffigurava.”
Episodio citato anche dal Quotidiano Nazionale che, dopo una lunga
ricostruzione dell’accaduto, aggiunge dettagli inquietanti: il puzzle
messo in vendita da Walmart era stato inserito nella categoria
“giocattoli per bambini dagli otto anni in su”, e sul sito della stessa
catena, riferito al poster, c'era addirittura un agghiacciante lancio:
“Cancello con scritta Arbeit macht frei, campo di concentramento di
Dachau: il poster vi aiuterà a dare un tocco in più alla vostra casa o
al vostro ufficio”.
E su la Repubblica Adriano Sofri scrive: “Sdegno suscitato dalla
profanazione, esecrazione: ci mancherebbe altro. Universali, sentiti?
Chissà. Dopotutto, è passato tanto tempo, la specie dei testimoni
superstiti è quasi estinta, anche sul sacro incombe una prescrizione”.
E continua: “Si oscillerà, così, ‘responsabilmente’, fra la
preoccupazione di eccedere nei toni indignati e quella di minimizzare.
C'è qualcosa di meglio da dire e da fare? Forse. Intanto, si può aver
voglia di imparare, o richiamare alla memoria, che cosa fu Dachau.”
Il Corriere della Sera annuncia che il primo viaggio di Federica Mogherini
come Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri
avrebbe scelto Israele, Ramallah e Gaza, “cuori di uno stesso vulcano”.
La visita sarebbe stata fissata per 7 e l’8 novembre, ma la voce,
riportata dal Wall Street Journal, non ha ancora conferme ufficiali.
“Al nome di Mogherini sono ora legate altre aspettative, una voce più
ferma. Gil uomini di buona volontà, in Israele come in Palestina, sanno
di non poter e di non voler vivere per sempre in un pianeta remoto,
lontanissimo dall'Europa e dai suoi valori”.
Sul Messaggero vengono riportate le dichiarazioni di una ventottenne
attivista siciliana - di cui l’identità è ignota - che in un comunicato
rilasciato dal collettivo pro-palestinese International Solidarity
Movement sostiene di essere stata colpita a una gamba e al volto. Le
sue condizioni hanno richiesto alcuni punti di sutura e non sono gravi.
Davide Frattini, sul Corriere della Sera, ricapitola le vicende della
SodaStream, conosciuta più per il luogo in cui lavora che per i suoi
prodotti. Vittima della campagna BDS, che preme per interrompere le
relazioni con Israele fino a quando continuerà l'occupazione dei
territori palestinesi, SodaStream
aveva installato tra Gerusalemme e Gerico una fabbrica (che dà lavoro
anche a cinquecento palestinesi). Dopo l’ultimo crollo in borsa i
manager hanno deciso di trasferirsi nel Negev, allettati — dicono —
dagli aiuti dello Stato. Frattini scrive che “I leader
dell'organizzazione per il boicottaggio esultano, i lavoratori arabi
meno: SodaStream aveva in parte diminuito la disoccupazione che
colpisce la zona. La campagna per le sanzioni comincia a preoccupare
anche il governo israeliano o almeno i più moderati tra i suoi
ministri”.
Gad Lerner, su la Repubblica, in un lungo articolo racconta la
situazione in Israele israeliana dove, scrive “Una parola sconsigliata.
In Israele circola sottovoce, la pronunciano con tremore: di nuovo
Intifada, cioè rivolta, sollevazione, per la terza volta in 27 anni.
Solo che stavolta l'Intifada palestinese, siccome non c'è limite al
peggio, sta divampando proprio là dove più la si temeva, nel cuore di
Gerusalemme, cioè dove ebrei e arabi, pur odiandosi, saranno in ogni
caso costretti a vivere mescolati.” Continua spiegando che l’epicentro
della contesa, “che forse qualcuno ha pianificato di trasformare in
guerra mondiale fra islam e ebraismo” è la spianata delle Moschee,
“luogo che fino a oggi nessun politico israeliano con la testa sulle
spalle ha mai rivendicato per un revival messianico del culto ebraico.
Tutto intorno alla città vecchia, Gerusalemme brucia.”
Lerner scrive che lo Shin Bet sta indagando su una possibile regia di
Harnas o addirittura dell'Is (Stato islamico) che stia dietro agli
incendi, ai finti incidenti stradali, alla strategia del terrorismo
individuale di strada. “Perché le provocazioni non appaiono quasi mai
casuali.”
Il Secolo XIX ricorda come il 3 novembre 1943, con un agguato dentro la sinagoga, iniziò la deportazione degli ebrei genovesi ad
Auschwitz. Oggi, 71 anni dopo, una marcia silenziosa organizzata dalla
Comunità ebraica di Genova e dalla Comunità di Sant'Egidio,
attraverserà la città. Inizierà alle 17.30 da Galleria Mazzini e si
concluderà nella Sinagoga di passo Bertora, con un intervento del
rabbino capo di Genova Giuseppe Momigliano, del presidente della
Comunità ebraica Amnon Cohen, del sindaco e del responsabile della
Comunità di Sant'Egidio.
A Roma è arrivata una delle più importanti e amate attrici israeliane,
Gila Almagor, che ha partecipato alla proiezione-evento del film Matzor
(Assedio), di cui è interprete, tra i protagonisti della nona edizione
del "Pitigliani Kolno'a Festival.
Ebraismo e Israele nel cinema" che si terrà fino al 5 novembre alla
Casa del Cinema e al Centro Ebraico Pitigliani. Eldad Golan, nuovo
Addetto culturale dell'ambasciata di Israele in Italia ha così
commentato la candidatura del film Gett all’Oscar:”La pellicola
conferma il miracolo del cinema israeliano negli ultimi dieci anni.
Speriamo che questa sia la volta buona” (Messaggero)
Sul Quotidiano nazionale una pagina è dedicata alla grande mostra di Marc Chagall
in corso a Milano a Palazzo Reale, e l’autrice ricorda uno scambio fra
Pablo Picasso, che gli disse: “Deve avere un angelo in testa” e Chagall
che rispose: “Grazie, ma questo non mi facilita le cose”. Lo scrittore
Mauro Covacich, sul QN, scrive del Museo della Risiera di San Sabba,
che raccoglie i resti dell'unico forno crematorio che i nazisti misero
in funzione in Italia. “È un luogo che impone grande emozione, perché
piccolo di fronte alla vastità di Auschwitz. E per l'effetto straniante
che si prova quando ne esci: vicino si aprono un ipermercato, una
palestra, un negozio di ceramiche, un pub. Un contesto urbano, come
allora: da fuori, dalla costruzione che ospitava un opificio di scarpe,
vicinissima al forno, si vedevano le persone che sarebbero state
uccise.”
Sul Wall Street Journal Akiva Shapiro parte dalla vicenda che vede
coinvolto un ragazzino americano nato a Gerusalemme, che sul passaporto
(americano) vede riconosciuto solo la città di nascita, ma non lo
stato, per analizzare la posizione statunitense sulla questione: “Is Jerusalem in Israel?”
Ada Treves
twitter @atrevesmoked
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