
Elia Richetti,
rabbino
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L’atteggiamento
di Yosèf verso i suoi fratelli ci può apparire sconcertante: dopo tanti
anni di forzata distanza, sembra faccia di tutto per umiliarli e
terrorizzarli. Perfino ‘Esàv si era comportato meglio nei confronti di
Ya‘aqòv: dopo ciò che era successo fra di loro, a ventott’anni di
distanza gli era corso incontro e lo aveva abbracciato. Perché Yosèf,
sempre definito tzaddìq, si comporta in maniera così riprovevole? In
realtà, c’è una differenza sostanziale fra i due episodi: ‘Esàv
abbraccia suo fratello dopo che ne ha visto l’umiltà e la
disponibilità, i fratelli di Yosèf giungono a lui in atteggiamento
assai diverso, quello di chi tratta da pari a pari, di qua il grano, di
là i soldi.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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L'eterna
questione di chi è ebreo? e la questione associata: che cosa sta
succedendo agli ebrei? sono state discusse di nuovo e intensamente
questa settimana al congresso annuale dell'AJS, l'associazione
americana di studi ebraici, a Baltimora, proprio mentre un gruppetto di
hassidim di Chabad si dava da fare nell'accensione della prima luce di
una gigantesca lampada di Chanukkàh vicino alle banchine del porto al
centro della città. Sempre più critica nel dibattito sull'identità
ebraica diventa la questione se chi viene riconosciuto come ebreo in un
paese, lo sia anche in un altro. Negli Stati Uniti, dove la percentuale
di matrimoni misti ha ampiamente superato il 50%, molti ricercatori e
dirigenti comunitari tendono ad allargare i criteri della definizione
del gruppo. Il rabbinato centrale in Israele, invece, tende per qunto
posibile a restringerli. La tesi che sia in corso un'erosione dei
vecchi, classici, tradizionali contenuti, che ci hanno aiutato fin qui
a riconoscere ciò che è ebreo da ciò che non lo è, viene contestata,
soprattutto in America, da chi sostiene invece che sia in corso
semplicemente una reinvenzione dell'identità ebraica. Aumenta cosí il
rischio che si allarghi il divario fra l'ebraismo americano e quello
del resto del mondo, e che si dissolva quella dimensione di solidarietà
transnazionale che è stata sempre vitale nella perpetuazione
dell'ebraismo.
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Lo strappo: Hamas fuori dalla lista dei terroristi |
Lo
strappo. I difficili equilibri del Medio Oriente si complicano sempre
di più, dopo l’approvazione da parte del Parlamento europeo di una
risoluzione che sostiene il riconoscimento dello Stato della Palestina
“purché – ricorda Luigi Offeddu sul Corriere della Sera – la proposta
sia legata allo sviluppo dei colloqui di pace”. E, proprio nella
giornata di ieri, la Corte europea ha rimosso Hamas dalla lista europea
delle organizzazioni terroristiche, per “ragioni procedurali”. Due
decisioni che hanno scaldato gli animi del premier israeliano Benjamin
Netanyahu (“Questo è l’esempio dell’ipocrisia dell’Europa”, ha
dichiarato), ma non solo.
Lo strappo/2. Sul Giornale, il commento di Fiamma Nirenstein riguardo
la rimozione di Hamas dalla lista nera: “La Corte insiste che la sua è
una scelta solo procedurale: Hamas ha impugnato la decisione sulla
scorta di un’azione simile delle Tigri Tamil dello Sri Lanka, e la
Corte, come per loro, ha stabilito che le accuse non sono sostenute da
prove processuali, ma solo da notizie politiche e di stampa. La Corte
spiega, in modo un po’ ridicolo perché purtroppo tutti abbiamo visto il
sangue versato da Hamas, che se nei prossimi tre mesi le prove verranno
presentate, essa verrà reinserita nella lista. Ma per ora Hamas
festeggia”. Nella rubrica Andrea’s Version del Foglio il commento
amaro: “E così, un gruppo come Hamas, che ha nel suo statuto la
distruzione di Israele, che educa i ragazzini a diventare martiri,
mette le cinture di dinamite alle sue donne per farle esplodere nei bar
o sugli autobus di Tel Aviv, spara razzi sugli asili nido, accoppa i
ragazzi che fanno l’autostop e trucida con il colpo alla nuca perfino i
soci di al Fatah, perché non vuole impicci (poi si potrebbe andare
avanti ancora per un’ora), non sarebbe un’organizzazione terroristica”.
Lo strappo/3. Benjamin Netanyahu è sempre più preoccupato e perplesso.
A tracciarne la sagoma, Davide Frattini sul Corriere della Sera che
scrive: “Come le candele della festa di Hannukah accese in queste sere
una dopo l’altra, Benjamin Netanyahu deve affrontare le scintille
diplomatiche che si stanno infuocando attorno al suo governo”.
Il pianto del Pakistan. Dopo il massacro perpetrato dai talebani in una
scuola di Peshawar, il paese è vestito a lutto con 150 funerali di cui
130 sono di bambini. Il Corriere della Sera riporta le parole del
premier Nawaz Sharif che ha annunciato il ripristino della pena di
morte: “Faremo guerra ai talebani sino a quando non saranno eliminati
tutti. Non ci saranno più distinzioni tra talebani buoni e cattivi”.
Benigni superstar. Le due puntate in tv dell’attore Roberto Benigni
dedicate ai Dieci Comandamenti hanno fatto il boom di ascolti:
tantissima l’attenzione sui social network nei quali le citazioni del
Talmud sono oramai diventate virali, numerosi i commenti dal mondo
ecclesiastico (papa Bergoglio ha fatto la tanto attesa telefonata) e
non solo. Il portale dell’ebraismo italiano Moked.it (per leggere
cliccare qui e qui) ha raccolto in questi giorni le reazioni del
rabbinato italiano, reazioni riportate oggi da Silvia Fumarola de la
Repubblica: “Applaude la comunità ebraica italiana e il rabbino capo di
Roma, Riccardo Di Segni, twitta:#Diecicomandamenti, ormai le cose serie
si ascoltano solo dai comici. «Sono rimasto piacevolmente stupito dalla
quantità di messaggi midrashici che sono passati e dal modo in cui è
stato presentato il Talmud. Si vede» aggiunge in un intervento
rilanciato da Moked, portale d’informazione ebraico «che Benigni si è
preparato a fondo, attingendo in modo significativo da libri e testi
ebraici»”. Le parole del rav Di Segni e di rav Adolfo Locci sono state
inoltre riprese da Avvenire e la Gazzetta del Mezzogiorno. Su la
Stampa, la scrittrice Elena Loewenthal fa invece un appunto: “Nelle due
ore dedicate al secondo emistichio delle Tavole, da «onora il padre e
la madre» in poi, Benigni non ha mai nominato la parola «ebraico». In
questa lingua è stata scritta la Bibbia. A questo universo culturale
appartiene la stragrande maggioranza delle cose che Benigni ha
raccontato. Ha, è vero, citato il Talmud a proposito della donna.
Giusto, bello. Ma quanti telespettatori sanno che il Talmud è la Torah
orale, il corpus della tradizione ebraica, quel «mare» su cui naviga la
parola d’Israele? Lui non l’ha detto”.
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Qui Roma - i 90 anni della vittorio polacco
Una scuola che cresce
Cronaca
di un compleanno speciale: la musica di Raiz, accompagnato dai
Radicanto, si spande con una versione dell’Hallel che affonda le radici
nel Sud. Fa la sua maestosa entrata una piramide di sufganyoth sulla
quale troneggiano delle candeline, all’ingresso si viene accolti da
foto d’annata ed un manto di kippoth formato mini. La scuola ebraica
elementare di Roma “Vittorio Polacco” festeggia 90 anni. Quasi un
secolo, tra gioie e dolori, pagelle, Hatikvah cantate con le lacrime
agli occhi e recite di Purim che racchiudono le metamorfosi
generazionali pur rimanendo fedeli alla storia. A fare gli onori di
casa, la direttrice della “Vittorio Polacco” Milena Pavoncello:
“Festeggiamo durante Chanukkah, perché proprio nella radice di questa
parola si ritrova l’accezione di ‘educazione’ ma anche ‘inaugurazione’.
Con la scuola elementare i bambini inaugurano ed attivano il ruolo che
poi svolgeranno nella società. Nata nel 1924, ha da sempre lo scopo di
formare buoni ebrei e buoni cittadini. Polacco, da cui prende il nome,
fu un giurista, socio dell’Accademia dei Lincei e senatore di altissimo
livello. Voglio terminare con un pensiero per quello che è accaduto in
Pakistan, un paese nel quale la scuola si è trasformata in un incubo”.
Interviene poi il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo
Pacifici: “Festeggiare questo anniversario importante a Chanukkah è
stata una intuizione brillante. Cosa è più adatto in effetti di una
festa che celebra la rinascita e la speranza? C’è inoltre un
ringraziamento particolare che mi sento di fare e lo rivolgo alle
moroth ed i morim, gli insegnanti che da 90 anni si spendono per questa
scuola e per la formazione culturale della nostra comunità”.
L’ambasciatore d’Israele Naor Gilon lancia un suo messaggio: “Tenevo
molto a presenziare a questo evento. La scuola di Roma è uno strumento
fondamentale per mantenere viva la propria identità e non perdersi
nell’assimilazione; esattamente come la storia di Chanukkah ci insegna
simbolicamente attraverso le vicende dei Maccabei”.
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Otto giorni, otto luci |
III Candela - Giovedì sera 27 Kislew/18 Dicembre
Nel commento alla Parashà di Miqqez che leggeremo il prossimo Shabbat,
il Maggid MiTrisk (Sefer Maghen Avraham; Rabbì Avraham Twersky
1806-1889) insegna che “come la festa di Shavu‘ot è il tempo del
ricevimento della Torà scritta, la festa di Chanukkà è il tempo del
ricevimento della Torà orale e per questo, nei giorni di Chanukkà, ogni
persona deve occuparsi della Torà scritta e di quella orale”. A
sostenere quest’opinione, nel trattato talmudico di Yomà (29a) c’è
questo detto: “Il miracolo di Chanukkà non è dato essere scritto e il
miracolo di Purim è stato l’ultimo ad esserlo”. E al riguardo, diversi
commentatori hanno affermato che il miracolo di Chanukkà non può essere
scritto perché è il tempo del raggiungimento dei significati, anche
quelli più segreti e profondi, della Torà orale.
Adolfo
Locci, rabbino capo di Padova
Otto giorni, otto luci. Leggi qui i pensieri per la luce dei giorni scorsi.
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Setirot - Chanukkah Sameach |
I
due pensieri più belli li ho ricevuti da mia figlia e da Mauro Tabor, e
li faccio miei. Rachele scrive: «Buon Chanukkah a tutti, con l’augurio
di alimentare sempre la luce che è in ognuno di noi». Mauro: «Un grande
Morè che ho avuto l’onore di conoscere, Hugo Gryn z”l, mi aprì il suo
cuore. Era il 1944, lui è suo padre erano rinchiusi a Bergen Belsen.
Suo padre salvava la misera razione di pane e di margarina per creare
una lampada di Chanukkah. Il figlio gli fece notare che non aveva senso
perché stavano morendo. Il padre gli rispose “figlio mio, questo pane è
così poco che non sarà certo la ragione della nostra sopravvivenza, ma
Chanukkah ci dà la speranza e senza speranza siamo già morti”». Chag
Chanukkà sameach a tutti.
Stefano Jesurum, giornalista
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Time out - Stati |
Sarebbe
curioso sapere se gli Stati che stanno votando per il riconoscimento
dello Stato palestinese considereranno come dichiarazione di guerra i
missili e gli attentati di Hamas. Uno Stato, per chi non lo sapesse,
non dipende dal riconoscimento di altri paesi, ma è una situazione de
facto per cui in un determinato territorio esiste un’autorità politica
in grado di mantenere l’autorità. Nei territori palestinesi questa
situazione non è presente e neanche i falsi accordi tra Fatah e Hamas
possono illudere che esista un’autorità unica in grado di detenere il
potere. Riconoscere oggi la Palestina significa legittimare il
fondamentalismo nell’area. Non è Abu Mazen ad uscire rinforzato dai
vari riconoscimenti, ma Hamas che dimostra come sia possibile ottenere
dei successi diplomatici pur cercando di distruggere Israele.
Daniel Funaro
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