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2 gennaio 2015 - 11 Tevet 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Le parole che Yaakov,  in questa parashah settimanale di Vaichi' rivolge ai propri figli prima di lasciare questo mondo, non sono sempre belle per tutti, non sono sempre fonti di beracha' per tutti e a volte sono stimoli per profondi cambiamenti e prese di coscienza di elementi caratteriali sui quali gli interessati dovrebbero lavorare.
Eppure per ogni figlio Yaakov esprime qualcosa di particolare, a ogni figlio dedica un proprio momento e una specifica profezia. Nulla è generico, nulla è lasciato al senso generale di una vaga benedizione onnicomprensiva, ma Yaakov si relazione in maniera differente ad ogni figlio, ad ogni famiglia, ad ogni caso.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
La HarperCollins, una delle case editrici più importanti al mondo nel campo della produzione di atlanti, si è ufficialmente scusata per aver pubblicato una mappa del Medio Oriente che non indica l'esistenza di Israele. Il prodotto - stampato per le scuole di lingua inglese nel mondo arabo - è stato ufficialmente ritirato dal mercato. Tuttavia la questione rimane: esiste oltre al conflitto guerreggiato una dimensione virtuale dello scontro mediorientale a cui è necessario volgere particolare attenzione. Si tratta del livello educativo e propagandistico, che giocando sulla non-definizione ufficiale dei confini di Israele e del nascente stato di Palestina presenta immagini manipolate della realtà che decisamente non aiutano nell'elaborazione di un percorso di pace. La partita si gioca nelle scuole (sono molti i testi scolastici palestinesi in cui Israele non esiste come luogo geografico ed è sostitito da una mappa della Palestina) ma si sviluppa anche nelle infinite riproduzioni possibili delle carte geografiche: gadgets, bandiere, loghi su siti internet riportano l'area di Israele come un luogo geograficamente omogeneo, cui a volte si dà il nome di Palestina, ma altre volte anche il nome di Israele.
 
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La reazione di Abu Mazen
“Togliersi lo schiaffo dalla faccia” Così Fiamma Nirenstein su Il Giornale descrive la decisione di Abu Mazen di replicare immediatamente alla sconfitta rimediata al Consiglio di sicurezza dell’Onu che, senza nemmeno che gli Stati Uniti dovessero opporre il veto, non ha dato ai palestinesi i nove voti necessari al riconoscimento della mozione presentata dalla Giordania. Firmare il trattato di Roma per entrare a far parte della Corte Criminale dell' Aja è una “pallida vendetta che apre un 2015 infuocato in Medio Oriente”. La Nigeria “evidentemente grata a Israele per i consigli e l'aiuto contro i terroristi di Boko Haram” e una “timida Europa” hanno portato al rifiuto di una mozione impresentabile: “aboliva del tutto di fatto il principio della trattativa, definiva i futuri confini dello Stato palestinese, stabilendo che fossero quelli del 1967. Ma persino la risoluzione 242 dell'Onu non prevede che lsraele dobba lasciare completamente i territori conquistati in una guerra di difesa, e necessari, almeno in parte, alla sicurezza. La mozione arrivava a dire che se in tre anni non saranno raggiunti insultati desiderati dai palestinesi, compresa Gerusalemme capitale e diritto al ritorno, questo avverrà automaticamente.”

Internazionalizzare il conflitto. Questa pare essere la decisione presa da Abu Mazen: dopo aver acquisito nel 2012 lo status di osservatore dell'Assemblea delle Nazioni Unite, ora ha deciso di porre la propria firma sotto venti trattati internazionali e ha siglato anche lo Statuto di Roma, che gli permetterà di chiedere che la Corte penale internazionale processi Israele per crimini di guerra.
Per il Corriere della Sera “Con questo colpo di coda, l'ottantenne presidente dell'Anp riprende un po' di scena, incassa il plauso dei rivali-alleati di Hamas e porta scompiglio in Israele, a due mesi e mezzo dal voto.” Ma iI ministro israeliano Naftali Bennett ricorda che all'Aja pendono anche le denunce contro Hamas e l'uso di scudi umani, e Netanyahu replica che “Ci aspettiamo che la Corte respinga l'ipocrita richiesta palestinese”.

Irritazione e delusione L’ambasciatore di Francia in Israele ha ricevuto un invito ufficiale per recarsi oggi al ministero degli Affari Esteri. Non una convocazione, per ora, ma il testo dell’invito è chiaro: “Desideriamo chiarire un punto d’attrito, di disaccordo, ed esprimere la nostra delusione in seguito al voto di martedì espresso dalla Francia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu in favore di un progetto di risoluzione palestinese particolarmente estremista.” (Le Figaro)

E a Gaza a Capodanno... Sul lungomare, in un grande albergo inaugurato pochi mesi prima dell’ultimo conflitto, c’è chi ha comunque festeggiato: “Notabili, proprietari terrieri in affari con gli enti umanitari, quel che resta del ceto imprenditoriale dopo le distruzioni a tappeto della zona industriale di Shujaiyeh, maghi dell'import export attraverso i tunnel di Rafah. (...) Il cenone, a buffet, viene servito in terrazza da una squadra di camerieri che indossano cappelli di paillettes, gilet dorati e papillon in tono. Sotto di noi è la spiaggia che le bombe non hanno risparmiato. Sull'orizzonte scuro incrociano, minacciose, le navi della marina israeliana. Ma nessuno ci fa caso. La politica sembra bandita.”
L’inviato di Repubblica dopo aver descritto la serata scrive che “Gaza è l'emblema della spaccatura che da quasi 10 anni lacera il popolo palestinese.” Hamas non sembra in grado di governare la ricostruzione ma il governo "di consenso", voluto dal presidente Abu Mazen dopo l'apparente riconciliazione con gli islamisti non è meno impotente e nessuno ora pare sapere chi governa la Striscia. “Nessuno, continua, si fa molte illusioni che le cose cambieranno” e “a sentire il popolo che abita tra le macerie, nessuno finora si è fatto vivo”.
 
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  davar
dafdaf - gennaio 2015
La storia di Paddington,
piccolo grande orso rifugiato

Una città invasa dagli orsi: a Londra, in questo periodo, è facile incontrare una statua che ritrae l’orso più amato dai bambini inglesi. Sono infatti cinquanta, tutte uguali ma decorate in maniera differente, le statue che fanno parte di una campagna pubblicitaria creata in occasione dell’uscita di “Paddington” nei cinema inglesi a fine novembre. Il film, pieno di star, è un’ottima occasione per riscoprire le origini del famosissimo e inconfondibile orso, che ha dietro di sé una storia poco conosciuta.
La sua prima storia è stata pubblicata nel 1958, con le illustrazioni di Peggy Fortnum, e l’autore che lo ha creato, Michael Bond, ha recentemente raccontato da dove ha tratto ispirazione.
Chi conosce Paddington sa bene che intorno al collo ha un cartellino, su cui, nella versione originale, si legge “Please, look after this bear. Thank you”, ossia “Per favore prendetevi cura di quest’orso. Grazie”
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italia ebraica - gennaio 2015
Cultura, progettualità, Memoria
Il 2015 sarà un anno di ricambio per molte Comunità ebraiche italiane. E il 2014 si è chiuso con una conferma: la rielezione ai vertici della Comunità triestina di Alessandro Salonichio. La notizia della sua nomina, avvenuta a poche ore dalla chiusura del giornale, apre il numero di gennaio del giornale di cronache comunitarie Italia Ebraica. Ad affiancare Salonichio i membri di Giunta Ariel Camerini e Nathan Israel e i consiglieri Mauro Tabor (che è anche consigliere UCEI), Davide Belleli, Livio Vasieri e Alessandro Treves.
In prima pagina anche l'impegno per ricordare Davide Cavaglion, grande memoria storica dell'ebraismo piemontese, attraverso l'istituzione di una biblioteca in suo onore. A lanciare l'iniziativa, con una commovente testimonianza, è il fratello Alberto. 
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SPOrt e tifoserie
Hindu, allo stadio col (finto) rav
Non sono infrequenti, nel mondo dello sport, le identificazioni di una tifoseria con elementi e tracce di identità ebraica. Due esempi, su tutti, arrivano da nobili (un po’ decadute) del calcio europeo: l’olandese Ajax e l’inglese Tottenham. Nel primo caso la particolare origine del club ha fatto persino supporre, per lungo tempo, che Johan Cruyff in persona fosse ebreo; nel secondo è ben noto il collante emozionale racchiuso nel nome di “Yid army” con chiaro richiamo semiotico al termine yiddish (anche se l’accostamento risulta un po’ forzato). Dall’Argentina arriva però una chicca rara: per conferma chiedere ai supporter dell’Hindu, squadra recente vincitrice del campionato cittadino di rugby riservato alle squadre della lega di Buenos Aires.
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pilpul
Festeggiare o riflettere
Il Capodanno che coincide con il 10 di Tevet suona decisamente poco appropriato, ma a ben pensarci l’atmosfera del 1 gennaio in giro per le città italiane è tutt’altro che allegra: strade deserte, cocci di bottiglia, l’impressione di una festa già finita. Iniziare l’anno con grandi festeggiamenti che devono essere gioiosi a tutti i costi apre pericolosamente la strada alla disillusione precoce: se il Capodanno non è all’altezza delle aspettative (ed è ben difficile che lo sia perché - come insegna Leopardi - le aspettative sono sempre smisurate) il buon augurio per l’anno nuovo parte già un po’ compromesso.

Anna Segre, insegnante
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Il silenzio
Roberto Benigni conclude eccellentemente il commento del quarto precetto del decalogo sullo Shabbat, con un invito a coltivare il silenzio: “D-o sta nei frammenti del silenzio […] Il senso del tutto è nel silenzio. […] - oggi -  siamo tutti sempre connessi con tutto il mondo, ma disconnessi con noi stessi.”. Un silenzio che è scintilla del riposo di D-o dopo la creazione, e al tempo stesso un silenzio che dovrebbe riempire lo shabbat, perché anteprima del mondo messianico, quel “Sabato senza fine” come descritto più volte da Erich Fromm.

Francesco Moises Bassano, studente
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Humans of Israel - Aaron
"Rimani seduto, ascolta la melodia. Nulla più della musica ha il potere di rievocare ricordi, stimolare emozioni o far rivivere momenti particolari.
La musica ci accompagna in ogni momento e in ogni età, in ogni strada, in ogni festa, in ogni capitolo della nostra vita…”


Jonathan Misrachi
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Libertà della cultura
"La cultura deve essere libera" recita la nostra costituzione. Secondo Zagrebelsky non si tratta di teorizzare "una cultura per la cultura". Piuttosto, la cultura ha una funzione e una responsabilità sociale che esige libertà: la cultura deve essere libera ma non può vivere isolata. È qui la difficoltà, perchè le insidie sorgono dietro l'angolo: la tentazione di porsi a servizio, quella di cercare il successo in questa per spenderlo poi in altre funzioni e quella di conformarsi per ottenere riconoscimento. Servizio, strumentalità e conformismo sono tre insidie che minano la libertà della cultura e l'autonomia della funzione intellettuale. Questo mi sembra un bel post-it da mettere sulla scrivania, sul frigorifero o nel portafoglio.

Ilana Bahbout




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