Elia Richetti,
rabbino
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Chi
è a contatto con ambienti di dialogo interreligioso sa che molto spesso
anche persone sinceramente vicine e amiche non possono fare a meno di
esprimere un certo stupore in merito al nostro atteggiamento relativo
alle mitzwòth. L’attaccamento ad esse, benché rispettato ed ammirato,
attira comunque il retropensiero che noi si sia troppo formalisti. A
volte, a pensarlo sono anche alcuni ebrei non di stretta osservanza,
che ritengono l’osservanza delle mitzwòth qualcosa di troppo
rigidamente formale, privo di afflato spirituale.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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In
un periodo in cui la rissosità degli abitanti della Terra d’Israele
sembra esprimersi ai massimi livelli, lo Stato d’Israele ha preso ieri
una decisione che lo colloca alla vetta delle società sensibili al
benessere e all’eguaglianza dei propri cittadini, e allo sviluppo delle
proprie risorse umane. A partire dal prossimo novembre, ma con effetto
retroattivo dal mese di maggio – data di insediamento del governo in
carica – a ogni neonato che nasce in Israele senza alcuna distinzione
verrà aperto un conto di risparmio individuale in cui lo Stato verserà
ogni mese 50 shekel (un po’ più di 10 euro e mezzo al cambio attuale).
Il conto – simile concettualmente a un fondo pensione – verrà
costantemente alimentato e rimarrà chiuso fino al compimento del
diciottesimo anno. E tutto questo mentre vengono mantenuti gli assegni
familiari ai livelli attuali, che sono circa dieci volte superiori e
variano secondo il numero di figli per famiglia (con la cautela che gli
assegni familiari vengono pagati ai genitori che non sempre li
utilizzano per il bene dei propri figli). Secondo i calcoli attuariali,
con l’interesse composto, ogni diciottenne si troverà a possedere circa
18.000 shekel (circa 4.200 euro) che – a parte il periodo del servizio
militare – sono una piccola risorsa utilissima per cominciare la vita
adulta.
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Mogherini vs Netanyahu
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Il
primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha approvato la
costruzione “immediata” di trecento alloggi nell’insediamento di Beit
El, nei pressi di Ramallah, dando seguito a una decisione presa tre
anni fa. L’annuncio arriva nelle ore successive a una sentenza emessa
dalla Corte Suprema, che ha confermato l’obbligo di demolire due
palazzi, riaprendo il dibattito politico. Nel frattempo si è
pronunciata sulla decisione di Netanyahu la rappresentante degli Esteri
per l’Unione Europea Federica Mogherini, affermando – riporta tra gli
altri il Messaggero – che “Israele deve dimostrare non solo con le
parole ma anche con i fatti l’impegno a perseguire la creazione di due
Stati”.
La morte del mullah Omar.
I giornali riportano la notizia della morte del mullah Omar, leader dei
talebani afghani. Il decesso sarebbe avvenuto nel 2013 in un ospedale
del Pakistan ma l’annuncio ufficiale, dopo molti altri mai confermati,
è arrivato solo ieri attraverso Abdul Hassib Seddiqi, portavoce dei
servizi segreti afghani. L’ultimo messaggio scritto attribuito al
mullah Omar e diffuso dalle agenzie di stampa, ricorda tra gli altri il
Corriere dellla sera, risale a sole due settimane fa, quando affermava
l’apertura dei talebani al negoziato per porre fine a molti anni di
guerra.
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mostra del cinema di venezia
Ridere del pregiudizio? Si può
Alberto Caviglia tra le star
Conquista
il prestigioso palcoscenico della 72esima Mostra del cinema di Venezia
l’opera prima del giovane ebreo romano Alberto Caviglia. “Pecore in
erba”, pellicola che tratta in modo brillante il tema del pregiudizio
mettendone a nudo i deliri e le farneticanti costruzioni mentali, sarà
infatti in lizza nella sezione Orizzonti e nella stessa rappresenterà
l’Italia assieme a “Italian Gangster” di Renato De Maria.
Prodotto da On My Own con il contributo del ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo, “Pecore in erba” è anche un film su
un quartiere, sulle strade e sulle persone che popolano Trastevere. Nel
cast si segnalano tra gli altri Davide Giordano, Anna Ferruzzo, Bianca
Nappi, Mimosa Campironi, Lorenza Indovina e Omero Antonutti.
Una
commedia surreale dai messaggi profondi. La dimostrazione che le buone
idee, unite al coraggio e alla determinazione nel portarle avanti,
possono costituire la premessa per risultati straordinari.
Ad Alberto un caloroso mazal tov dalla redazione del portale dell’ebraismo italiano www.moked.it e Pagine Ebraiche.
(Nell’immagine un momento delle riprese)
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MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
Da Israele alla Grande Mela,
l'identità torna protagonista
Osservare
la Storia di Israele con gli occhi di chi sa raccontarla al grande
pubblico, ritrovarvi i tormenti di una donna ebrea ortodossa così come
quelli di un giovane arabo, compiere un salto nel mondo disegnato dei
cartoni animati ma anche tra le strade vere e piene di vita di New
York, e poi andare indietro nel tempo tra l’arte e la letteratura. Non
è la prima volta a Venezia per il regista israeliano Amos Gitai, che
torna alla Biennale portando in concorso “Rabin, the Last Day”, che
racconta l’uccisione del primo ministro Ytzhak Rabin nel1995. Gitai,
che per realizzare la pellicola ha compiuto intense ricerche tra
documenti, registrazioni, fotografie e materiale archivistico relativo
sia al periodo precedente l’assassinio sia a quello successivo, ha
affermato che la sua opera vuole costituire “la commissione d’inchiesta
che non c’è mai stata”. La Commissione Shamgar, che fu istituita dallo
Stato d’Israele e i cui audio sono presenti all’interno del film,
avrebbe infatti investigato solo gli errori operativi e non il clima
che ha portato all’uccisione: questa la tesi di Gitai. “La semplicità
di Rabin, la sua assenza di sofisticazione, la sua abilità vent’anni fa
di offrire tesi politiche alternative, tutto questo avrebbe potuto
costituire un’alternativa governativa oggi. Per questo – sostiene – ho
deciso che avrei fatto questo film non come regista, ma come
cittadino”. Da Israele arrivano anche altre due pellicole, entrambe
nella sezione Orizzonti. Yaelle Kayam, giovane regista che ha studiato
cinema in Australia e a Gerusalemme e il cui cortometraggio “Diploma”
ha vinto vari riconoscimenti in decine di manifestazioni internazionali
tra cui il Festival di Cannes, presenta il suo primo lungometraggio,
intitolato “The Mountain”. La pellicola racconta la storia di una donna
ebrea ortodossa che vive con la sua famiglia nel cimitero del Monte
degli Ulivi, dove ogni giorno rimane da sola mentre il marito e i figli
sono al lavoro e a scuola.
(Nell’immagine una scena di “The Mountain” di Yaelle Kayam)
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j-ciak - alla vigilia del festival Israele a Locarno, alta tensione
La
polemica sul cinema d’Israele travolge anche Locarno. Vero paradiso del
cinema d’autore, il festival ha sempre coccolato i filmaker israeliani.
La scorsa estate Eran Riklis con il suo “Arabi danzanti” è stato
accolto da applausi a scena aperta. Nadav Lapid, che quest’anno torna
con “Lama?” e “Kindergarten Teacher”, fin dagli esordi è uno dei
beniamini. Mentre Avishai Sivan, quest’anno in concorso con il suo
meraviglioso “Tikkun”, promette di diventarlo. Ma quando si parla
d’Israele il pericolo dello scontro è sempre dietro l’angolo.
Con un’inversione di marcia più goffa che drammatica, il festival di
Locarno ha quindi deciso di modificare titolo e senso di Carte Blanche,
prestigioso incubatore cinematografico che quest’anno è dedicato a
Israele, assegnandogli il vaghissimo nome di First Look. Il motivo? La
“preoccupazione di cui ci hanno fatto partecipi alcuni realizzatori”, è
la circospetta spiegazione degli organizzatori.
Daniela Gross
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Setirot
- Le parole per dirlo |
Le
parole per dirlo, o per non dirlo. Ovvero quando il linguaggio e la
politica, ancora una volta, si dimostrano legati a filo doppio. Beit El
e la Corte Suprema di Gerusalemme. I giudici ordinano la demolizione di
due condomini considerati illegali, disordini e tafferugli tra le forze
di sicurezza e… già, e chi? E dove sta Beit El? E perché quelle
abitazioni vanno demolite? Non chiamiamoli coloni, diciamo abitanti
abusivi di case costruite fuori dal piano regolatore vigente, in un
territorio conteso. Oppure chiamiamoli coloni che hanno edificato
costruzioni abusive in un territorio occupato. Parole. I fatti sono che
per la Corte Suprema israeliana quella cosa lì non va bene e va
eliminata. Così sarà. Tuttavia un minuto prima che le ruspe facciano il
loro lavoro Benjamin Netanyahu annuncia la costruzione di trecento
nuovi alloggi. Dove? Ma a Beit El naturalmente. E noi continuiamo ad
arrovellarci: coloni o no?; territori occupati o contesi?; due Stati
per due popoli? Mah.
Stefano Jesurum, giornalista
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Time
out - L'aggettivo ebraico |
Cosa
significa l’aggettivo ebraico? Ho cercato la definizione del dizionario
Garzanti e dice: “degli ebrei, della tradizione del popolo ebraico”. In
sostanza evidenzia che l’aggettivo può essere riferito al fatto che sia
fatto da ebrei, ma che possa non avere nulla a che fare con l’etica
ebraica o viceversa. Ciò che sapevamo già, un prodotto ebraico a volte
può esserlo solo perché fatto da ebrei e non perché portatore dei
valori della nostra tradizione.
Daniel Funaro
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La violenza, le donne
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Complice
il caldo soffocante, un colpo di freddo da aria condizionata, e uno di
caldo per una corsa sotto il solleone, la febbre (con 40 gradi
all’ombra, fuori da me stessa) può anche avere i suoi risvolti
positivi, come quella sensazione di spossatezza e di sonnolenza grazie
alla quale i pensieri possono vagare sciolti. Una giornata di studi a
Ca’ Foscari per la Giornata mondiale sulla tortura il 26 giugno scorso,
donne vittime di violenza e donne perpetratrici, e se la violenza
arrecata possa essere in qualche modo correlata alla diversità di
genere: più fisica quella prodotta da uomini, più psicologica e verbale
quella attuata dalle donne?
Dove collocare, e come spiegare Celeste Di Porto che si accompagnava ai
nazifascisti salutando i suoi conoscenti ebrei affinché venissero
arrestati e deportati? E il ministro per la Famiglia e la Promozione
Femminile rwandese, Pauline Nyiramasuhuko, sotto processo presso la
Corte Penale Internazionale per il Rwanda con l’accusa, fra le altre,
di aver implementato il sistema degli stupri di massa di donne tutsi e
hutu moderate nel genocidio del 1994?
Sara Valentina Di Palma
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