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30 Luglio 2015 - 14 Av 5775
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Chi è a contatto con ambienti di dialogo interreligioso sa che molto spesso anche persone sinceramente vicine e amiche non possono fare a meno di esprimere un certo stupore in merito al nostro atteggiamento relativo alle mitzwòth. L’attaccamento ad esse, benché rispettato ed ammirato, attira comunque il retropensiero che noi si sia troppo formalisti. A volte, a pensarlo sono anche alcuni ebrei non di stretta osservanza, che ritengono l’osservanza delle mitzwòth qualcosa di troppo rigidamente formale, privo di afflato spirituale.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
In un periodo in cui la rissosità degli abitanti della Terra d’Israele sembra esprimersi ai massimi livelli, lo Stato d’Israele ha preso ieri una decisione che lo colloca alla vetta delle società sensibili al benessere e all’eguaglianza dei propri cittadini, e allo sviluppo delle proprie risorse umane. A partire dal prossimo novembre, ma con effetto retroattivo dal mese di maggio – data di insediamento del governo in carica – a ogni neonato che nasce in Israele senza alcuna distinzione verrà aperto un conto di risparmio individuale in cui lo Stato verserà ogni mese 50 shekel (un po’ più di 10 euro e mezzo al cambio attuale). Il conto – simile concettualmente a un fondo pensione – verrà costantemente alimentato e rimarrà chiuso fino al compimento del diciottesimo anno. E tutto questo mentre vengono mantenuti gli assegni familiari ai livelli attuali, che sono circa dieci volte superiori e variano secondo il numero di figli per famiglia (con la cautela che gli assegni familiari vengono pagati ai genitori che non sempre li utilizzano per il bene dei propri figli). Secondo i calcoli attuariali, con l’interesse composto, ogni diciottenne si troverà a possedere circa 18.000 shekel (circa 4.200 euro) che – a parte il periodo del servizio militare – sono una piccola risorsa utilissima per cominciare la vita adulta.
 
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Mogherini vs Netanyahu
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha approvato la costruzione “immediata” di trecento alloggi nell’insediamento di Beit El, nei pressi di Ramallah, dando seguito a una decisione presa tre anni fa. L’annuncio arriva nelle ore successive a una sentenza emessa dalla Corte Suprema, che ha confermato l’obbligo di demolire due palazzi, riaprendo il dibattito politico. Nel frattempo si è pronunciata sulla decisione di Netanyahu la rappresentante degli Esteri per l’Unione Europea Federica Mogherini, affermando – riporta tra gli altri il Messaggero – che “Israele deve dimostrare non solo con le parole ma anche con i fatti l’impegno a perseguire la creazione di due Stati”.

La morte del mullah Omar. I giornali riportano la notizia della morte del mullah Omar, leader dei talebani afghani. Il decesso sarebbe avvenuto nel 2013 in un ospedale del Pakistan ma l’annuncio ufficiale, dopo molti altri mai confermati, è arrivato solo ieri attraverso Abdul Hassib Seddiqi, portavoce dei servizi segreti afghani. L’ultimo messaggio scritto attribuito al mullah Omar e diffuso dalle agenzie di stampa, ricorda tra gli altri il Corriere dellla sera, risale a sole due settimane fa, quando affermava l’apertura dei talebani al negoziato per porre fine a molti anni di guerra.
 
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  davar
mostra del cinema di venezia
Ridere del pregiudizio? Si può

Alberto Caviglia tra le star
Conquista il prestigioso palcoscenico della 72esima Mostra del cinema di Venezia l’opera prima del giovane ebreo romano Alberto Caviglia. “Pecore in erba”, pellicola che tratta in modo brillante il tema del pregiudizio mettendone a nudo i deliri e le farneticanti costruzioni mentali, sarà infatti in lizza nella sezione Orizzonti e nella stessa rappresenterà l’Italia assieme a “Italian Gangster” di Renato De Maria.
Prodotto da On My Own con il contributo del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, “Pecore in erba” è anche un film su un quartiere, sulle strade e sulle persone che popolano Trastevere.
Nel cast si segnalano tra gli altri Davide Giordano, Anna Ferruzzo, Bianca Nappi, Mimosa Campironi, Lorenza Indovina e Omero Antonutti.
Una commedia surreale dai messaggi profondi. La dimostrazione che le buone idee, unite al coraggio e alla determinazione nel portarle avanti, possono costituire la premessa per risultati straordinari.
Ad Alberto un caloroso mazal tov dalla redazione del portale dell’ebraismo italiano www.moked.it e Pagine Ebraiche.

(Nell’immagine un momento delle riprese)
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 
Da Israele alla Grande Mela,

l'identità torna protagonista
Osservare la Storia di Israele con gli occhi di chi sa raccontarla al grande pubblico, ritrovarvi i tormenti di una donna ebrea ortodossa così come quelli di un giovane arabo, compiere un salto nel mondo disegnato dei cartoni animati ma anche tra le strade vere e piene di vita di New York, e poi andare indietro nel tempo tra l’arte e la letteratura. Non è la prima volta a Venezia per il regista israeliano Amos Gitai, che torna alla Biennale portando in concorso “Rabin, the Last Day”, che racconta l’uccisione del primo ministro Ytzhak Rabin nel1995. Gitai, che per realizzare la pellicola ha compiuto intense ricerche tra documenti, registrazioni, fotografie e materiale archivistico relativo sia al periodo precedente l’assassinio sia a quello successivo, ha affermato che la sua opera vuole costituire “la commissione d’inchiesta che non c’è mai stata”. La Commissione Shamgar, che fu istituita dallo Stato d’Israele e i cui audio sono presenti all’interno del film, avrebbe infatti investigato solo gli errori operativi e non il clima che ha portato all’uccisione: questa la tesi di Gitai. “La semplicità di Rabin, la sua assenza di sofisticazione, la sua abilità vent’anni fa di offrire tesi politiche alternative, tutto questo avrebbe potuto costituire un’alternativa governativa oggi. Per questo – sostiene – ho deciso che avrei fatto questo film non come regista, ma come cittadino”. Da Israele arrivano anche altre due pellicole, entrambe nella sezione Orizzonti. Yaelle Kayam, giovane regista che ha studiato cinema in Australia e a Gerusalemme e il cui cortometraggio “Diploma” ha vinto vari riconoscimenti in decine di manifestazioni internazionali tra cui il Festival di Cannes, presenta il suo primo lungometraggio, intitolato “The Mountain”. La pellicola racconta la storia di una donna ebrea ortodossa che vive con la sua famiglia nel cimitero del Monte degli Ulivi, dove ogni giorno rimane da sola mentre il marito e i figli sono al lavoro e a scuola.

(Nell’immagine una scena di “The Mountain” di Yaelle Kayam)
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j-ciak - alla vigilia del festival
Israele a Locarno, alta tensione
La polemica sul cinema d’Israele travolge anche Locarno. Vero paradiso del cinema d’autore, il festival ha sempre coccolato i filmaker israeliani. La scorsa estate Eran Riklis con il suo “Arabi danzanti” è stato accolto da applausi a scena aperta. Nadav Lapid, che quest’anno torna con “Lama?” e “Kindergarten Teacher”, fin dagli esordi è uno dei beniamini. Mentre Avishai Sivan, quest’anno in concorso con il suo meraviglioso “Tikkun”, promette di diventarlo. Ma quando si parla d’Israele il pericolo dello scontro è sempre dietro l’angolo.
Con un’inversione di marcia più goffa che drammatica, il festival di Locarno ha quindi deciso di modificare titolo e senso di Carte Blanche, prestigioso incubatore cinematografico che quest’anno è dedicato a Israele, assegnandogli il vaghissimo nome di First Look. Il motivo? La “preoccupazione di cui ci hanno fatto partecipi alcuni realizzatori”, è la circospetta spiegazione degli organizzatori.

Daniela Gross

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ISRAELE, L'AMBASCIATA PRESSO LA SANTA SEDE
"Libertà religiosa, un valore"
“Israele ha sempre deplorato azioni che sono in totale contrasto con i suoi valori e le sue tradizioni. Israele è una democrazia che garantisce piena libertà religiosa a tutti i credenti”. È quanto si legge in una nota diffusa dall’ambasciata israeliana presso la Santa Sede a margine dell’incriminazione, presso il tribunale di Nazareth, dei due sospetti autori degli atti vandalici dello scorso giugno alla chiesa di Tagba, conosciuta anche come chiesa “della moltiplicazione dei pani e dei pesci”.


(Nell'immagine l'ambasciatore Zion Evrony)
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  pilpul
Setirot - Le parole per dirlo
Le parole per dirlo, o per non dirlo. Ovvero quando il linguaggio e la politica, ancora una volta, si dimostrano legati a filo doppio. Beit El e la Corte Suprema di Gerusalemme. I giudici ordinano la demolizione di due condomini considerati illegali, disordini e tafferugli tra le forze di sicurezza e… già, e chi? E dove sta Beit El? E perché quelle abitazioni vanno demolite? Non chiamiamoli coloni, diciamo abitanti abusivi di case costruite fuori dal piano regolatore vigente, in un territorio conteso. Oppure chiamiamoli coloni che hanno edificato costruzioni abusive in un territorio occupato. Parole. I fatti sono che per la Corte Suprema israeliana quella cosa lì non va bene e va eliminata. Così sarà. Tuttavia un minuto prima che le ruspe facciano il loro lavoro Benjamin Netanyahu annuncia la costruzione di trecento nuovi alloggi. Dove? Ma a Beit El naturalmente. E noi continuiamo ad arrovellarci: coloni o no?; territori occupati o contesi?; due Stati per due popoli? Mah.

Stefano Jesurum, giornalista
Time out - L'aggettivo ebraico
Cosa significa l’aggettivo ebraico? Ho cercato la definizione del dizionario Garzanti e dice: “degli ebrei, della tradizione del popolo ebraico”. In sostanza evidenzia che l’aggettivo può essere riferito al fatto che sia fatto da ebrei, ma che possa non avere nulla a che fare con l’etica ebraica o viceversa. Ciò che sapevamo già, un prodotto ebraico a volte può esserlo solo perché fatto da ebrei e non perché portatore dei valori della nostra tradizione.

Daniel Funaro
La violenza, le donne
Complice il caldo soffocante, un colpo di freddo da aria condizionata, e uno di caldo per una corsa sotto il solleone, la febbre (con 40 gradi all’ombra, fuori da me stessa) può anche avere i suoi risvolti positivi, come quella sensazione di spossatezza e di sonnolenza grazie alla quale i pensieri possono vagare sciolti. Una giornata di studi a Ca’ Foscari per la Giornata mondiale sulla tortura il 26 giugno scorso, donne vittime di violenza e donne perpetratrici, e se la violenza arrecata possa essere in qualche modo correlata alla diversità di genere: più fisica quella prodotta da uomini, più psicologica e verbale quella attuata dalle donne?
Dove collocare, e come spiegare Celeste Di Porto che si accompagnava ai nazifascisti salutando i suoi conoscenti ebrei affinché venissero arrestati e deportati? E il ministro per la Famiglia e la Promozione Femminile rwandese, Pauline Nyiramasuhuko, sotto processo presso la Corte Penale Internazionale per il Rwanda con l’accusa, fra le altre, di aver implementato il sistema degli stupri di massa di donne tutsi e hutu moderate nel genocidio del 1994?


Sara Valentina Di Palma
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