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4 novembre 2015 - 22 Cheshvan 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“…Lavàn corse fuori da quell’uomo…”. (Bereshìt 24, 29) I Maestri si domandano per quale motivo Lavàn corse verso quell’uomo che non conosceva. Il grande commentatore della Torah, Rabbì Shelomò Itzhaki, conosciuto con il suo acronimo come Rashì, ci spiega nel suo commento che Lavàn era avido e vedendo l’anello d’oro per il naso che quell’uomo aveva donato a sua sorella Rivkà (24, 22) egli si rese conto della ricchezza che aveva con sé, e che era pronto a qualsiasi cosa pur di averla.
 
David
Assael,
ricercatore
Questa settimana ci si potrebbe soffermare sulle frasi antisemite dell’ex Direttore dell’INPS Mastrapasqua, sulla cui tempra etica già si nutrivano molti dubbi, oppure del Presidente della Federcalcio Tavecchio, su cui ogni parola appare superflua. Ma, ben più peso di queste miserie, hanno le elezioni turche, che hanno visto lo straripante successo di Erdogan. Un’ulteriore prova della debolezza strutturale dell’Unione Europea, che lascia l’OCSE solo a denunciare l’immensa sproporzione di visibilità mediatica dell’Akp, oltre a fortissimi sospetti di brogli.
 
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Schianto aereo nel Sinai, l'ipotesi del terrorismo
Continua ad essere avvolta nel mistero la verità intorno all’aereo schiantatosi sul Sinai: l’ultima rivelazione in ordine di tempo è che un satellite americano avrebbe intercettato un lampo di calore di calore anomalo che farebbe pensare a una bomba o a un motore in fiamme. Inoltre le registrazioni rileverebbero dei rumori di fondo anomali rispetto a un normale volo di linea e tra i resti dell’Airbus sarebbero stati ritrovati elementi che non appartengono al velivolo e che potrebbero costituire la prova della presenza di un esplosivo. Intanto, mentre le indagini procedono con cautela, sono undici le compagnie aeree che hanno deciso di non sorvolare più la zona (Corriere della sera).
 
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  davar
ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
L'omaggio dell'Italia ebraica Rabin modello per i giovani
Centinaia di giovani riuniti per raccogliere il messaggio di pace di Yitzhak Rabin, a vent’anni esatti dalla tragedia del suo assassinio da parte di un ebreo estremista.

Questa l’iniziativa della Comunità ebraica di Roma, che ha riunito questa mattina all’interno della scuola gli studenti liceali di vari istituti della città per commemorare l’evento che segnò le sorti del processo di pace tra Israele e i palestinese. L’obiettivo dell’iniziativa, ricordare l’eredità di una figura fondamentale della storia contemporanea, attraverso preghiere, ricordi e note di speranza.
Un triste anniversario che costituisce per tutta l’Italia ebraica un importante momento di riflessione, che prosegue stasera a Milano con una “Maratona per Yitzhak Rabin” in ricordo del leader israeliano organizzata a Palazzo Marino da Sinistra per Israele. “Cosa può dire a noi oggi l’avvenimento drammatico della morte di Yitzhak Rabin? Che chi ha vissuto e sa che cosa sia la guerra apprezza veramente il valore della pace e per essa è pronto a pagare qualsiasi prezzo”. Questo il messaggio che l’ambasciatore israeliano in Italia Naor Gilon ha voluto lasciare agli studenti, i quali – ha osservato – vent’anni fa non erano neanche nati, ma oggi possono prendere il leader israeliano come “modello e guida”. La trasmissione dei valori di pace e libertà per cui Rabin si batté, attraverso il suo ricordo proprio all’interno di una scuola, è una missione fondamentale anche per la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, che ha rievocato il “sentimento di tragedia interiore provato alla notizia non solo dell’assassinio, ma anche del fatto che a commetterlo fosse stato un ebreo”.
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ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
La strada di un grande leader
"Visto che non credo ci sia qualcuno che vincerà mai due volte il Premio Nobel, permettetemi di cogliere l’occasione e dare un tocco personale a questo riconoscimento prestigioso. Nell’età durante la quale la maggior parte dei giovani combatte per scoprire i segreti della matematica o i misteri della Bibbia, nel periodo in cui sbocciano i primi amori. Alla tenera età di sedici anni, io imbracciavo un fucile in modo da potermi difendere. Non era il mio sogno, volevo diventare ingegnere idraulico. Studiavo in una scuola agricola e pensavo che diventare ingegnere idraulico fosse un lavoro importante se vivevi in Medio Oriente e lo penso tutt’ora. Comunque fui obbligato a ricorrere alle armi”.


Cominciava rievocando il momento in cui tutto ebbe inizio, il discorso che Yitzhak Rabin, il Primo ministro d’Israele, pronunciò ricevendo il Premio Nobel assegnatogli nel 1994, assieme a Shimon Peres e Yasser Arafat, per l’impegno per la pace a seguito degli accordi di Oslo. Solo un anno dopo Rabin sarebbe stato ucciso da un fanatico israeliano, lo studente universitario Yigal Amir, durante una manifestazione per la pace. Solo un anno dopo niente sarebbe stato più lo stesso.
La figura di Yitzhak Rabin è tra le più complesse e affascinanti, dolorose e toccanti della storia dello Stato ebraico: un militare che non amava la guerra ma la faceva, invincibile eppure dedito alla ricerca della pace per il suo Paese, spaventato a morte dalla vista del sangue, rigido in pubblico e sul quale si raccontano scene inevitabilmente comiche (si vocifera per esempio che un giorno il presidente americano Carter gli chiese se avrebbe voluto ascoltare sua figlia suonare il piano e Rabin gli rispose seccamente un lapidario “no, non mi va”). Ci sono poi i ritratti che raccontano il dietro le quinte: nella sua biografia, Bill Clinton rivela come durante lo storico 13 settembre del 1993 nel quale furono firmati gli Accordi di Oslo gli chiese insistentemente di stringere la mano ad Arafat fino a che il Primo ministro israeliano acconsentì ma aggiunse bruscamente “Va bene. Va bene. Ma niente bacio”. “Il tradizionale saluto arabo era un bacio sulla guancia – scrive Clinton – ma lui non voleva assolutamente saperne”. Si collezionano infine i ricordi intimi, come quelli della sua adorata nipote Noale che nel libro Il dolore e la speranza condivide l’amore che la lega al nonno, quel nonno che come lei tendeva ad addormentarsi la notte senza alcuna fatica: “Perdonatemi se non parlerò di pace. È di mio nonno che voglio parlare” disse durante il suo funerale.

(Nell'immagine in alto un ritratto di Yitzhak Rabin, in basso con la moglie Leah)

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ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
Il naufragio degli Accordi di Oslo
Quelle di Yitzhak Rabin e di Yasser Arafat intrecciate al centro, quelle di Bill Clinton aperte quasi in un abbraccio ai lati della fotografia che fece il giro del mondo. Furono le mani a parlare la mattina in cui a Washington, sul prato verde del cortile della Casa Bianca, il Primo ministro israeliano e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina si riconoscevano reciprocamente di fronte al presidente statunitense come legittimi interlocutori.

Era il 13 settembre del 1993, e i due leader si stringevano per la prima volta la mano in occasione della storica firma degli Accordi di Oslo, il documento che costituì un punto di svolta nel dialogo tra le due parti. E se non fosse stato sufficiente il gesto, quel giorno furono memorabili anche le parole: “Noi, soldati ritornati dalla battaglia macchiati di sangue, noi che abbiamo combattuto contro di voi, i palestinesi, vi diciamo oggi con voce forte e chiara: basta sangue e lacrime, basta!”, le esclamazioni Rabin nel suo discorso.
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ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
Tre colpi al cuore d'Israele
“Vent’anni sono passati da quando le tre pallottole di un ignobile assassino ebreo hanno spezzato la vita di Yitzhak Rabin, lasciando un vuoto enorme nel cuore del popolo. Ricordo quel momento come se fosse oggi. Ed anche il bagliore di speranza negli occhi delle decine di migliaia di cittadini, radunati nella piazza per far sentire il loro entusiastico appoggio contro la violenza e per la pace”. Shimon Peres, allora ministro degli Esteri, racconta così quel 4 novembre del 1995, il giorno in cui Israele assistette all’omicidio politico che cambiò la storia. Lo ricordano tutte quelle persone che quel giorno a Tel Aviv affollavano Kikar Malchei Israel, la piazza dei Re di Israele, poi rinominata Kikar Rabin, piazza Rabin.
Ma lo ricordano anche tutti quelli, in Medio Oriente e non, che appresero la notizia dalla voce del capo dell’ufficio di Rabin Eitan Haber, a cui toccò fare l’annuncio fuori dalle porte dell’ospedale: “Il governo di Israele annuncia con costernazione, enorme tristezza e profondo dolore, la morte del Primo ministro e ministro della Difesa Yitzhak Rabin, assassinato stasera a Tel Aviv. Il governo si riunirà tra un’ora per compiangerlo, sia la sua memoria di benedizione”. Quei tre spari, partiti dalla pistola di un ebreo estremista, colsero di sorpresa chi pensava di vivere il momento di massima speranza di un processo di pace che dopo la firma degli accordi di Oslo sembrava essere a una svolta.

(Nell’immagine in alto Rabin canta la canzone per la pace Shir laShalom durante la manifestazione del 4 novembre 1995, in basso la prima pagina del New York Times dopo l’assassinio).
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ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
L'impegno nel nome di Yitzhak
“Cari amici, giovani uomini e donne, leader dei movimenti giovanili, membri della destra e della sinistra, ultra-ortodossi, religiosi, laici, ebrei e arabi, il fatto che ci ritroviamo qui stasera, insieme per vostra iniziativa, è la vostra vittoria, la nostra vittoria”. Con queste parole il presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin ha aperto la manifestazione che ha riunito migliaia di persone a Tel Aviv lo scorso sabato per ricordare l’anniversario dei vent’anni dall’uccisione del Primo ministro Yitzhak Rabin. Prendendo la parola, Rivlin ha voluto guardare avanti, lanciando un ammonimento: “Troppo presi dalle ferite del passato non stiamo lavorando per costruire il futuro. Perdiamo ancora molto tempo per discutere su chi ha ragione e chi ha torto quando dovremmo impegnarci per ascoltare l’uno la versione dell’altro”.
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ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
'Rabin e Peres, incastro perfetto'
“Fu una cerimonia molto sentita e partecipata, segnata da una significativa trasversalità politica. Tra i miei colleghi parlamentari c’era infatti la consapevolezza, largamente diffusa, della portata storica di quell’evento luttuoso”. Docente universitario, una vita nelle istituzioni, stretti legami con il mondo ebraico e con Israele, fu Valdo Spini a organizzare il solenne omaggio della Camera dei deputati alla memoria del primo ministro israeliano. “Un personaggio indimenticabile – racconta Spini – con cui ho avuto il piacere di confrontarmi in più circostanze. Da un vivace congresso del partito laburista in cui, era il 1977, fui spettatore della contesa per la leadership israeliana tra lo stesso Rabin e Shimon Peres, a una più recente occasione di incontro svoltasi all’Università ebraica dove intervenni come ministro dell’Ambiente e dove ebbi l’opportunità di ascoltare due intense relazioni che colpirono l’intero uditorio. Ancora una volta i protagonisti erano loro: Rabin e Peres”.
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qui roma
Primo Levi tra scienza e fantasia
Nel 1966 Einaudi pubblicò Storie Naturali firmato da un tale Damiano Malabaila e corredato dall’accattivante fascetta con su scritto “Fantascienza?”. L’autore dietro lo pseudonimo non era nessun altro che Primo Levi e il libro presentava una collezione di storie di carattere scientifico e fantascientifico. Proprio dalla copertina di Storie Naturali inizia la settima edizione della Lezione Primo Levi tenuta dallo storico della scienza Francesco Cassata che dopo essere stata presentata a Torino ha fatto tappa ieri al Centro ebraico Pitigliani di Roma. Promossa dal Centro internazionale di studi Primo Levi, la lezione si è concentrata sul rapporto dell’autore con i temi scientifici partendo dalla sua carriera di chimico fino a travalicare il confine della fantascienza.
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Qui genova - il ricordo della deportazione
Indifferenza, pericolo attuale
Oltre un migliaio di partecipanti alla tradizionale fiaccolata organizzata in ricordo degli ebrei genovesi deportati nei campi di sterminio grazie all’impegno di Comunità ebraica, Comunità di Sant’Egidio, Centro culturale Primo Levi. Una presenza, tra le altre, a risaltare per il vivo significato che testimonia: quella di cinquanta giovani africani, in fuga dai propri paesi d’origine e accolti in Liguria nelle scorse settimane. Dalla galleria Mazzini alla sinagoga di via Bertora, un’intera città (rappresentanze istituzionali, leader religiosi, cittadini comuni) in marcia nel solco di valori condivisi che parlano di ieri, ma soprattutto di domani.


(Foto di Emanuele Dello Strologo)
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pilpul
Ticketless - Nuova Preistoria
Si moltiplicano, per fortuna, le iniziative in memoria di Pier Paolo Pasolini. Con qualche giorno di anticipo vorrei avvertire i miei quattro lettori di segnarsi in agenda una data: 22 dicembre, quando sarà il turno di Poesie in forma di rosa (1964). Tra i libri che il Corriere manda in edicola ogni settimana questo è notevole per la sezione “Israele”. Sono versi che Pasolini ha composto nel 1963, quando pensava di girare intorno a Gerusalemme gli esterni del suo Vangelo secondo Matteo. Opterà poi per Matera, ma di quel breve soggiorno sono rimaste liriche che documentano la lungimiranza dello “scrittore corsaro”. Ne trascrivo qui sotto un frammento che sempre mi ha colpito, per la indubbia (e crescente) attualità del verso finale. Pasolini vede nel progetto del sionismo socialista il contrario di quel che accade in Italia, dove la civiltà contadina tramonta e le bianche mani degli intellettuali dispregiano gli arnesi d’agricoltore.

Alberto Cavaglion
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Periscopio - Ricordare Rabin
Commemorare la tragica morte di Rabin, vent’anni dopo, suscita sentimenti contrastanti e impone diverse chiavi di lettura. E credo che un atteggiamento corretto sarebbe quello di distinguere tra due diversi livelli, che sarebbe opportuno lasciare distinti. Il primo livello è quello di una interpretazione del passato, ossia di cosa abbia rappresentato la figura di Rabin nella storia di Israele e del mondo, e di cosa abbia significato il suo barbaro assassinio. E non c’è dubbio che ogni discorso su questo piano non possa che aprirsi e chiudersi con un commosso tributo alla memoria del grande statista, che ha donato tutta la sua vita al perseguimento del doppio obiettivo della pace e della sicurezza del suo Paese: un obiettivo doppio, ma per lui, in realtà, unico, tanto era in lui radicata la convinzione dell’indissolubile legame tra le due cose. A un giornalista che gli rivolgeva la solita, banale domanda, se si considerasse “falco” o “colomba”, rispose che non era un uccello, e che comunque, più Israele era forte, più si avvicinavano le prospettive di pace, e che lui e il suo popolo non avrebbero mai potuto permettersi il lusso di abbandonare uno dei due obiettivi: “mai stanchi di difenderci, mai stanchi di desiderare la pace”. La sua lezione, da questo punto di vista, è eterna, e non potrà mai tramontare, in quanto coincide con l’essenza stessa del sionismo, che è, insieme, intransigente difesa dell’identità nazionale del popolo ebraico e della sua patria risorta, e incrollabile aspirazione alla pace.

Francesco Lucrezi, storico
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