David
Sciunnach,
rabbino
|
“…Lavàn
corse fuori da quell’uomo…”. (Bereshìt 24, 29) I Maestri si domandano
per quale motivo Lavàn corse verso quell’uomo che non conosceva. Il
grande commentatore della Torah, Rabbì Shelomò Itzhaki, conosciuto con
il suo acronimo come Rashì, ci spiega nel suo commento che Lavàn era
avido e vedendo l’anello d’oro per il naso che quell’uomo aveva donato
a sua sorella Rivkà (24, 22) egli si rese conto della ricchezza che
aveva con sé, e che era pronto a qualsiasi cosa pur di averla.
|
|
David
Assael,
ricercatore
|
Questa
settimana ci si potrebbe soffermare sulle frasi antisemite dell’ex
Direttore dell’INPS Mastrapasqua, sulla cui tempra etica già si
nutrivano molti dubbi, oppure del Presidente della Federcalcio
Tavecchio, su cui ogni parola appare superflua. Ma, ben più peso di
queste miserie, hanno le elezioni turche, che hanno visto lo
straripante successo di Erdogan. Un’ulteriore prova della debolezza
strutturale dell’Unione Europea, che lascia l’OCSE solo a denunciare
l’immensa sproporzione di visibilità mediatica dell’Akp, oltre a
fortissimi sospetti di brogli.
|
|
Leggi
|
 |
Schianto aereo nel Sinai, l'ipotesi del terrorismo |
Continua
ad essere avvolta nel mistero la verità intorno all’aereo schiantatosi
sul Sinai: l’ultima rivelazione in ordine di tempo è che un satellite
americano avrebbe intercettato un lampo di calore di calore anomalo che
farebbe pensare a una bomba o a un motore in fiamme. Inoltre le
registrazioni rileverebbero dei rumori di fondo anomali rispetto a un
normale volo di linea e tra i resti dell’Airbus sarebbero stati
ritrovati elementi che non appartengono al velivolo e che potrebbero
costituire la prova della presenza di un esplosivo. Intanto, mentre le
indagini procedono con cautela, sono undici le compagnie aeree che
hanno deciso di non sorvolare più la zona (Corriere della sera).
|
|
Leggi
|
|
|
ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
L'omaggio dell'Italia ebraica Rabin modello per i giovani
Centinaia
di giovani riuniti per raccogliere il messaggio di pace di Yitzhak
Rabin, a vent’anni esatti dalla tragedia del suo assassinio da parte di
un ebreo estremista.
Questa
l’iniziativa della Comunità ebraica di Roma, che ha riunito questa
mattina all’interno della scuola gli studenti liceali di vari istituti
della città per commemorare l’evento che segnò le sorti del processo di
pace tra Israele e i palestinese. L’obiettivo dell’iniziativa,
ricordare l’eredità di una figura fondamentale della storia
contemporanea, attraverso preghiere, ricordi e note di speranza.
Un
triste anniversario che costituisce per tutta l’Italia ebraica un
importante momento di riflessione, che prosegue stasera a Milano con
una “Maratona per Yitzhak Rabin” in ricordo del leader israeliano
organizzata a Palazzo Marino da Sinistra per Israele. “Cosa può dire a
noi oggi l’avvenimento drammatico della morte di Yitzhak Rabin? Che chi
ha vissuto e sa che cosa sia la guerra apprezza veramente il valore
della pace e per essa è pronto a pagare qualsiasi prezzo”. Questo il
messaggio che l’ambasciatore israeliano in Italia Naor Gilon ha voluto
lasciare agli studenti, i quali – ha osservato – vent’anni fa non erano
neanche nati, ma oggi possono prendere il leader israeliano come
“modello e guida”. La trasmissione dei valori di pace e libertà per cui
Rabin si batté, attraverso il suo ricordo proprio all’interno di una
scuola, è una missione fondamentale anche per la presidente della
Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, che ha rievocato il
“sentimento di tragedia interiore provato alla notizia non solo
dell’assassinio, ma anche del fatto che a commetterlo fosse stato un
ebreo”.
Leggi
|
ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO La strada di un grande leader
"Visto
che non credo ci sia qualcuno che vincerà mai due volte il Premio
Nobel, permettetemi di cogliere l’occasione e dare un tocco personale a
questo riconoscimento prestigioso. Nell’età durante la quale la maggior
parte dei giovani combatte per scoprire i segreti della matematica o i
misteri della Bibbia, nel periodo in cui sbocciano i primi amori. Alla
tenera età di sedici anni, io imbracciavo un fucile in modo da potermi
difendere. Non era il mio sogno, volevo diventare ingegnere idraulico.
Studiavo in una scuola agricola e pensavo che diventare ingegnere
idraulico fosse un lavoro importante se vivevi in Medio Oriente e lo
penso tutt’ora. Comunque fui obbligato a ricorrere alle armi”.
Cominciava
rievocando il momento in cui tutto ebbe inizio, il discorso che Yitzhak
Rabin, il Primo ministro d’Israele, pronunciò ricevendo il Premio Nobel
assegnatogli nel 1994, assieme a Shimon Peres e Yasser Arafat, per
l’impegno per la pace a seguito degli accordi di Oslo. Solo un anno
dopo Rabin sarebbe stato ucciso da un fanatico israeliano, lo studente
universitario Yigal Amir, durante una manifestazione per la pace. Solo
un anno dopo niente sarebbe stato più lo stesso.
La
figura di Yitzhak Rabin è tra le più complesse e affascinanti, dolorose
e toccanti della storia dello Stato ebraico: un militare che non amava
la guerra ma la faceva, invincibile eppure dedito alla ricerca della
pace per il suo Paese, spaventato a morte dalla vista del sangue,
rigido in pubblico e sul quale si raccontano scene inevitabilmente
comiche (si vocifera per esempio che un giorno il presidente americano
Carter gli chiese se avrebbe voluto ascoltare sua figlia suonare il
piano e Rabin gli rispose seccamente un lapidario “no, non mi va”). Ci
sono poi i ritratti che raccontano il dietro le quinte: nella sua
biografia, Bill Clinton rivela come durante lo storico 13 settembre del
1993 nel quale furono firmati gli Accordi di Oslo gli chiese
insistentemente di stringere la mano ad Arafat fino a che il Primo
ministro israeliano acconsentì ma aggiunse bruscamente “Va bene. Va
bene. Ma niente bacio”. “Il tradizionale saluto arabo era un bacio
sulla guancia – scrive Clinton – ma lui non voleva assolutamente
saperne”. Si collezionano infine i ricordi intimi, come quelli della
sua adorata nipote Noale che nel libro Il dolore e la speranza
condivide l’amore che la lega al nonno, quel nonno che come lei tendeva
ad addormentarsi la notte senza alcuna fatica: “Perdonatemi se non
parlerò di pace. È di mio nonno che voglio parlare” disse durante il
suo funerale.
(Nell'immagine in alto un ritratto di Yitzhak Rabin, in basso con la moglie Leah)
Leggi
|
ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
Il naufragio degli Accordi di Oslo
Quelle
di Yitzhak Rabin e di Yasser Arafat intrecciate al centro, quelle di
Bill Clinton aperte quasi in un abbraccio ai lati della fotografia che
fece il giro del mondo. Furono le mani a parlare la mattina in cui a
Washington, sul prato verde del cortile della Casa Bianca, il Primo
ministro israeliano e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione
della Palestina si riconoscevano reciprocamente di fronte al presidente
statunitense come legittimi interlocutori.
Era
il 13 settembre del 1993, e i due leader si stringevano per la prima
volta la mano in occasione della storica firma degli Accordi di Oslo,
il documento che costituì un punto di svolta nel dialogo tra le due
parti. E se non fosse stato sufficiente il gesto, quel giorno furono
memorabili anche le parole: “Noi, soldati ritornati dalla battaglia
macchiati di sangue, noi che abbiamo combattuto contro di voi, i
palestinesi, vi diciamo oggi con voce forte e chiara: basta sangue e
lacrime, basta!”, le esclamazioni Rabin nel suo discorso.
Leggi
|
ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
Tre colpi al cuore d'Israele
“Vent’anni
sono passati da quando le tre pallottole di un ignobile assassino ebreo
hanno spezzato la vita di Yitzhak Rabin, lasciando un vuoto enorme nel
cuore del popolo. Ricordo quel momento come se fosse oggi. Ed anche il
bagliore di speranza negli occhi delle decine di migliaia di cittadini,
radunati nella piazza per far sentire il loro entusiastico appoggio
contro la violenza e per la pace”. Shimon Peres, allora ministro degli
Esteri, racconta così quel 4 novembre del 1995, il giorno in cui
Israele assistette all’omicidio politico che cambiò la storia. Lo
ricordano tutte quelle persone che quel giorno a Tel Aviv affollavano
Kikar Malchei Israel, la piazza dei Re di Israele, poi rinominata Kikar
Rabin, piazza Rabin.
Ma
lo ricordano anche tutti quelli, in Medio Oriente e non, che appresero
la notizia dalla voce del capo dell’ufficio di Rabin Eitan Haber, a cui
toccò fare l’annuncio fuori dalle porte dell’ospedale: “Il governo di
Israele annuncia con costernazione, enorme tristezza e profondo dolore,
la morte del Primo ministro e ministro della Difesa Yitzhak Rabin,
assassinato stasera a Tel Aviv. Il governo si riunirà tra un’ora per
compiangerlo, sia la sua memoria di benedizione”. Quei tre spari,
partiti dalla pistola di un ebreo estremista, colsero di sorpresa chi
pensava di vivere il momento di massima speranza di un processo di pace
che dopo la firma degli accordi di Oslo sembrava essere a una svolta.
(Nell’immagine
in alto Rabin canta la canzone per la pace Shir laShalom durante la
manifestazione del 4 novembre 1995, in basso la prima pagina del New
York Times dopo l’assassinio).
Leggi
|
ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO L'impegno nel nome di Yitzhak
“Cari
amici, giovani uomini e donne, leader dei movimenti giovanili, membri
della destra e della sinistra, ultra-ortodossi, religiosi, laici, ebrei
e arabi, il fatto che ci ritroviamo qui stasera, insieme per vostra
iniziativa, è la vostra vittoria, la nostra vittoria”. Con queste
parole il presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin ha aperto la
manifestazione che ha riunito migliaia di persone a Tel Aviv lo scorso
sabato per ricordare l’anniversario dei vent’anni dall’uccisione del
Primo ministro Yitzhak Rabin. Prendendo la parola, Rivlin ha voluto
guardare avanti, lanciando un ammonimento: “Troppo presi dalle ferite
del passato non stiamo lavorando per costruire il futuro. Perdiamo
ancora molto tempo per discutere su chi ha ragione e chi ha torto
quando dovremmo impegnarci per ascoltare l’uno la versione dell’altro”.
Leggi
|
ISRAELE - RABIN, VENT'ANNI DOPO
'Rabin e Peres, incastro perfetto'
“Fu
una cerimonia molto sentita e partecipata, segnata da una significativa
trasversalità politica. Tra i miei colleghi parlamentari c’era infatti
la consapevolezza, largamente diffusa, della portata storica di
quell’evento luttuoso”. Docente universitario, una vita nelle
istituzioni, stretti legami con il mondo ebraico e con Israele, fu
Valdo Spini a organizzare il solenne omaggio della Camera dei deputati
alla memoria del primo ministro israeliano. “Un personaggio
indimenticabile – racconta Spini – con cui ho avuto il piacere di
confrontarmi in più circostanze. Da un vivace congresso del partito
laburista in cui, era il 1977, fui spettatore della contesa per la
leadership israeliana tra lo stesso Rabin e Shimon Peres, a una più
recente occasione di incontro svoltasi all’Università ebraica dove
intervenni come ministro dell’Ambiente e dove ebbi l’opportunità di
ascoltare due intense relazioni che colpirono l’intero uditorio. Ancora
una volta i protagonisti erano loro: Rabin e Peres”.
Leggi
|
Qui genova - il ricordo della deportazione
Indifferenza, pericolo attuale
Oltre
un migliaio di partecipanti alla tradizionale fiaccolata organizzata in
ricordo degli ebrei genovesi deportati nei campi di sterminio grazie
all’impegno di Comunità ebraica, Comunità di Sant’Egidio, Centro
culturale Primo Levi. Una presenza, tra le altre, a risaltare per il
vivo significato che testimonia: quella di cinquanta giovani africani,
in fuga dai propri paesi d’origine e accolti in Liguria nelle scorse
settimane. Dalla galleria Mazzini alla sinagoga di via Bertora,
un’intera città (rappresentanze istituzionali, leader religiosi,
cittadini comuni) in marcia nel solco di valori condivisi che parlano
di ieri, ma soprattutto di domani.
(Foto di Emanuele Dello Strologo)
Leggi
|
Ticketless
- Nuova Preistoria |
Si
moltiplicano, per fortuna, le iniziative in memoria di Pier Paolo
Pasolini. Con qualche giorno di anticipo vorrei avvertire i miei
quattro lettori di segnarsi in agenda una data: 22 dicembre, quando
sarà il turno di Poesie in forma di rosa (1964).
Tra i libri che il Corriere manda in edicola ogni settimana questo è
notevole per la sezione “Israele”. Sono versi che Pasolini ha composto
nel 1963, quando pensava di girare intorno a Gerusalemme gli esterni
del suo Vangelo secondo Matteo.
Opterà poi per Matera, ma di quel breve soggiorno sono rimaste liriche
che documentano la lungimiranza dello “scrittore corsaro”. Ne trascrivo
qui sotto un frammento che sempre mi ha colpito, per la indubbia (e
crescente) attualità del verso finale. Pasolini vede nel progetto del
sionismo socialista il contrario di quel che accade in Italia, dove la
civiltà contadina tramonta e le bianche mani degli intellettuali
dispregiano gli arnesi d’agricoltore.
Alberto Cavaglion
Leggi
|
|
Periscopio
- Ricordare Rabin |
Commemorare
la tragica morte di Rabin, vent’anni dopo, suscita sentimenti
contrastanti e impone diverse chiavi di lettura. E credo che un
atteggiamento corretto sarebbe quello di distinguere tra due diversi
livelli, che sarebbe opportuno lasciare distinti. Il primo livello è
quello di una interpretazione del passato, ossia di cosa abbia
rappresentato la figura di Rabin nella storia di Israele e del mondo, e
di cosa abbia significato il suo barbaro assassinio. E non c’è dubbio
che ogni discorso su questo piano non possa che aprirsi e chiudersi con
un commosso tributo alla memoria del grande statista, che ha donato
tutta la sua vita al perseguimento del doppio obiettivo della pace e
della sicurezza del suo Paese: un obiettivo doppio, ma per lui, in
realtà, unico, tanto era in lui radicata la convinzione
dell’indissolubile legame tra le due cose. A un giornalista che gli
rivolgeva la solita, banale domanda, se si considerasse “falco” o
“colomba”, rispose che non era un uccello, e che comunque, più Israele
era forte, più si avvicinavano le prospettive di pace, e che lui e il
suo popolo non avrebbero mai potuto permettersi il lusso di abbandonare
uno dei due obiettivi: “mai stanchi di difenderci, mai stanchi di
desiderare la pace”. La sua lezione, da questo punto di vista, è
eterna, e non potrà mai tramontare, in quanto coincide con l’essenza
stessa del sionismo, che è, insieme, intransigente difesa dell’identità
nazionale del popolo ebraico e della sua patria risorta, e incrollabile
aspirazione alla pace.
Francesco Lucrezi, storico
Leggi
|
|
|