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20 Novembre 2015 - 8 Kislev 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Cosa dire di una società che disperata, ammutolita, trucidata da una violenza inaspettata eppure annunciata si ritrova a rendere eroi persino i cani? Quando i figli che credevamo aver educato nei nostri valori e con i nostri ritmi d’occidente si rivelano i nostri peggiori carnefici abbiamo un disperato bisogno di eroi, anche a quattro zampe, eroi che ci infondano fiducia in un mondo, il nostro, che abbiamo dato per scontato. Esodo 11,7: “Ma contro tutti gli Israeliti neppure un cane punterà la lingua.” Pensando al cane Diesel, morto in un assalto contro terroristi, morto per dare un senso al nostro mondo, quando il senso sembra essersi perso in un tragico venerdì sera di Parigi.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
I momenti di riflessione a cui partecipo con gli studenti delle scuole quando si parla di Shoah, di nazismo, di sterminio, si incentrano su due elementi che non finiscono di sorprendere sia gli studenti, sia gli intellettuali che animano il dibattito pubblico. Il primo è la “normalità” del massacratore, dell’aguzzino. Il secondo è la “spersonalizzazione” della vittima. Si tratta di due fra i più importanti canoni che hanno fatto sì che il nazismo e le sue azioni venissero considerate dalla critica contemporanea l’apice inarrivabile del male assoluto in età moderna.
 
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Israele, odio e indifferenza
Ore di tensione in Israele, dove il terrorismo palestinese è tornato a colpire e uccidere. “Chiunque condanni gli attacchi in Francia, deve condannare anche quelli in Israele: è lo stesso terrore. Chi non lo fa è ipocrita e cieco”, ha dichiarato il primo ministro Benjamin Netanyahu a margine degli attacchi, compiuti a Tel Aviv e nel Gush Etzion. “Dietro questi atti di terrorismo – ha quindi sottolineato – c’è l’Islam radicale che cerca di distruggerci, lo stesso che colpisce a Parigi e minaccia tutta l’Europa”. Marginale però lo spazio che i quotidiani dedicano a quanto accaduto.

“La migliore risposta? Non fermarsi”. Massima allerta intanto in tutta Europa: secondo una informativa inviata dall’Fbi ai servizi segreti, tra i luoghi a rischio vi sarebbe anche la sinagoga di Roma. Si legge sul Messaggero (Valentina Errante/Cristiana Mangani): “La nota contiene i nomi di sei arabi, ma non fornisce altre indicazioni, come la data o il luogo di nascita. È generica, indica ristoranti, locali pubblici, oltre a una serie di alias riferibili all’identità di questa ipotetica ‘cellula dormiente’, che potrebbe trovarsi nel nostro paese”.
Così la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello in una intervista al Tempo (Pietro De Leo): “L’attenzione è quella di sempre, e non è mai stata poca. Il terrorismo vuole attaccare, anche con la paura, l’ideale di libertà che l’Europa ha conquistato a fatica. Quindi la miglior risposta è non fermarsi. E noi non ci fermiamo. La Comunità ebraica continua tutte le sue attività”.
 
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  davar
ERA IN CARCERE DA TRENT'ANNI
Jonathan Pollard torna in libertà
Bibi: "Grande soddisfazione"

Dopo trent’anni, il giorno tanto atteso. Jonathan Pollard, l’ebreo americano incarcerato da Washington nel novembre del 1985 e da allora detenuto con l’accusa di spionaggio a favore di Israele, accusa da cui è scaturita nel 1987 una condanna all’ergastolo, è stato scarcerato. Pollard, che ha oggi 61 anni e che dal 1995 è cittadino israeliano, fu riconosciuto colpevole di aver divulgato il contenuto di alcune migliaia di documenti classificati come “segreti” sulle attività di intelligence svolte dagli Stati Uniti, principalmente nel mondo arabo. Malgrado la solida amicizia tra i due paesi, la sua vicenda è sempre rimasta un punto d’attrito tra i governi di Washington e Gerusalemme, a qualunque bandiera o colore politico essi appartenessero.
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QUI PISA - FESTIVAL NESSIAH
"Arte, un linguaggio che unisce"
“Sono giornate difficili e buie, che ripropongono l’esigenza di un linguaggio comune tra i popoli. Quel linguaggio è l’arte, l’unica forma di condivisione totale. Questa è sempre stata la nostra sfida e a maggior ragione lo è oggi”. Parola di Andrea Gottfried, musicista e direttore artistico di Nessiah, che ai lettori di Pagine Ebraiche dà un appuntamento: domenica sera, ore 21, sinagoga di via Palestro. L’occasione per assistere al varo di una nuova edizione del festival ebraico pisano con un ospite d’eccezione: Frank London, tra i grandi nomi del klezmer internazionale, che si esibirà assieme a Nadan Levi (chitarra) e Remy Yulzari (contrabbasso). “Percepire, vivere le sensazioni da dentro, parlando meno e respirando di più. È questa – dice Gottfried – la sfida che ci siamo dati, privilegiando i gusti, solleticando i sensi, carezzando la vista e appagando l’udito. Toccare, annusare, assaggiare, danzare… Per poi arrivare a quella dimensione fuori dal tempo e dallo spazio che è intuizione dell’Infinito, comunque ognuno di noi lo declini. Creare connessioni profonde con le cose e le persone, per entrare dentro a noi stessi con più vigore e curiosità. E per emergerne pronti a incontrare davvero l’Altro”. Un incontro che avrà nella sinagoga cittadina uno dei luoghi chiave di questa edizione. Un fatto significativo, sottolineato con particolare apprezzamento dal presidente della Comunità ebraica Maurizio Gabbrielli. “Tre gli eventi che ospiteremo in sinagoga, tra cui quello di apertura e quello di chiusura. Per i tanti pisani che non hanno ancora potuto farci visita – afferma – un’occasione davvero speciale”. Nel solco, aggiunge, di una consolidata tradizione di apertura che ha in Nessian uno snodo e un momento di elaborazione fondamentale.


(Nell'immagine Frank London)
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QUI TORINO
Aprirono le porte, a loro rischio Due preti piemontesi tra i Giusti
Consegnata a Rivoli la medaglia di “Giusto tra le nazioni” alla memoria di monsignor Vincenzo Barale e don Vittorio Cavasin, protagonisti entrambi del salvataggio di oltre sessanta bambini ebrei che furono nascosti assieme a loro coetanei cattolici nel collegio salesiano di Cavaglià. Monsignor Barale era segretario del cardinale Maurilio Fossati, all’epoca arcivescovo di Torino, il quale aveva già esternato la sua disponibilità ad ospitare gli sfollati. Di qui la scelta estrema di alcune famiglie ebraiche che si videro costrette, per mancanza di altre risorse, ad affidare i propri figli all’arcivescovado, nella speranza che sfuggissero ai rastrellamenti. Monsignor Barale era appunto la figura cui dovevano rivolgersi le famiglie ebraiche che facevano richiesta di protezione. A lui inoltre spettava il compito di accompagnare personalmente i bambini al collegio di Cavaglià, il cui rettore era don Cavasin. Quest’ultimo rivestiva l’importante compito di fornire ai bambini ebrei i rudimenti base e i rituali del cattolicesimo, in modo tale da rendere evidente la loro assimilazione con gli altri, rendendo così più efficace e sicuro il tentativo di proteggerli. Questa ‘assimilazione’ era del tutto simbolica, anzi l’unico intento era far sì che i bambini ebrei apparissero uguali a quelli cattolici. Lo stesso don Cavasin, come è stato ricordato, limitava al minimo indispensabile la loro partecipazione personale ai sacramenti.

Alice Fubini
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qui torino
Varsavia, il Ghetto, la Memoria
Nuova luce sulla tesi di Lattes

A 55 anni dalla sua discussione la tesi sul Ghetto di Varsavia di Mario Lattes, personaggio di spicco del mondo culturale torinese, viene finalmente pubblicata da Edizioni Cenobio, dopo il rifiuto da parte della casa editrice Einaudi nel lontano 1963 (nonostante un contratto firmato). L’opera, che rappresenta il più completo e ampio saggio in materia scritto da un autore italiano, è presentata al pubblico per la prima volta il 27 gennaio scorso, in occasione dei 70 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz a Varsavia, presso l’Istituto Italiano di Cultura. A riprendere in mano quei temi un confronto ospitato ieri dalla Comunità ebraica torinese, in collaborazione con la Fondazione Bottari Lattes. Tra i relatori, moderati dal presidente della Comunità ebraica torinese Dario Disegni, gli studiosi Alberto Cavaglion e Giacomo Jori (che è curatore dell’opera). Significative inoltre le letture dal testo svolte da Chiara Monti e accompagnate dal flauto di Ubaldo Russo e dal pianoforte di Bruno Manassero.


Alice Fubini
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spotlight - david beckham
Indossa la kippah, piace a tutti

Il più bello del pianeta è lui
Probabilmente fu con il film “Sognando Beckham”, un trionfo al botteghino, che si raggiunse l’apice. Nella trama, il calciatore inglese era una sorta di Deus ex machina che vegliava sul destino di un’aspirante campionessa indiana. Era il 2002 e la David Beckham-mania era esplosa in una maniera incontrovertibile. Non si può dire cosa fu scatenante: se la prestanza fisica da calciatore provetto, se i due diamantoni da rapper appesi alle orecchie o il matrimonio con la Spice girl Victoria, che di sorridere ai flash proprio non ne voleva sapere. Il mondo era morbosamente interessato ai Beckham, i nuovi reali britannici e quando David confidò di avere radici ebraiche, conquistò definitivamente anche tutte le jewish princess di questo mondo. Tredici anni più tardi, il calciatore si è ritirato, ha riposto i diamanti in un cassetto e compiuto quarant’anni. Tuttavia il suo mito sopravvive e lo scorso martedì il rotocalco People lo ha nominato l’uomo più avvenente del pianeta dell’anno 2015. Corona e scettro accolti da lui di buon grado e che lo rendono, dopo il frontman dei Maroon Five Adam Levine, il secondo vincitore della categoria che può vantare un retaggio ebraico.
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pilpul
Il solito, non sempre scontato
Sicuramente avrò commesso molti errori in questa settimana ogni volta che ho scelto se commentare o non commentare in ciascuna delle mie classi i fatti di Parigi, e con quali modalità e con quali parole farlo. D’altra parte in queste circostanze non commettere errori è quasi impossibile, stretti come siamo tra la necessità di non mostrarci indifferenti di fronte alla gravità di quanto è accaduto e quella di non parlare a vanvera (né tanto meno lasciare che gli allievi parlino a vanvera), e di non dire le solite cose. O forse in una certa misura è giusto che si dicano le solite cose, se ci rendiamo conto che a furia di darle per scontate abbiamo finito per perderle un po’ di vista. Amare la vita non significa essere cinici e privi di ideali. Andare a cena, ad un concerto, alla partita, a divertirsi non significa essere corrotti e decadenti. Essere aperti e curiosi nei confronti delle identità altrui non significa non essere orgogliosi della propria.

Anna Segre, insegnante
Parigi, il giorno dopo
Dopo le stragi di Parigi, un’Europa ancora più confusa, dubbiosa e disunita politicamente sembra essersi risvegliata dopo un lungo torpore. A scandire il tempo ci pensano le notizie di continui allarmi bomba, nuovi accoltellamenti e blitz in quartieri da poco ‘riscoperti’ per stanare terroristi che fino a qualche giorno fa facevano tranquillamente la spola tra un paese e l’altro grazie a Schengen. I social network – l’opinione pubblica del XXI secolo – si popolano di tanti analisti che scorgono naturalmente complotti e oscure trame, esclusive colpe occidentali con tanto di foto riciclate dal Daesh di improbabili vittime dei raid francesi, o intraprendono altrimenti la caccia all’islamico sotto i vessilli degli ultimi crociati.

Francesco Moises Bassano, studente
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Il messaggio
"Il problema dell'umanità e la sua realizzazione dipende da quanto si riesca a comprendere il messaggio dello Shabbat. Umanità significa riconoscere nell'altro la possibilità di essere soggetti e non oggetti. La natura umana infatti non è quella di essere schiavi." Questo è quello che ieri mi ha colpito delle parole di Jack Bemporad alla giornata di studio filosofico-teologica romana su Gerusalemme. Un momento di riflessione in tanto estraniamento. Una carezza che aiuta a resistere in tanta paura, sconforto e brutalità.

Ilana Bahbout 


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