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25 dicembre 2015 - 13 Tevet 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Napoli. L’Uomo, Adamo, scoperto nella sua colpa per aver mangiato il frutto proibito, prova vergogna e si nasconde. (Genesi 3,9-10) “Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei?” Rispose: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. La vergogna, il senso di disagio morale, lo scuorno, diremmo a Napoli, sono il più grande dono che Dio potesse fare all’umanità. Ciò che ci rende davvero dissimili dagli animali non è l’intelligenza, bensì la capacità di provare vergogna e di iniziare, da quella sensazione, un vero cammino di tikkun, di correzione personale e sociale. Penso questo mentre leggo un paio di articoli presi dal quotidiano il Mattino che mi sbattono in faccia una indagine sull’uso di alcuni fondi pubblici per dei lavori di restauro e manutenzione della Sinagoga di Napoli ed altri locali comunitari. Il dubbio del buon uso del denaro pubblico è entrato anche nella Comunità di Napoli e conosco esattamente gli attori e i motivi assurdi che hanno portato a questa situazione.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Vorrei spezzare una lancia in difesa dei musei. Troppo spesso infatti – specie in ambito ebraico – ci si riferisce a queste realtà per contrapporle in senso negativo alle esperienze di vitalità sociale, culturale e religiosa di una comunità. Meno musei più scuole! In una lettera aperta di pochi giorni fa (che contiene una allarmata riflessione che in parte condivido sul futuro dell’ebraismo italiano) il rabbino Giuseppe Laras scrive una frase in questo senso emblematica: “Si impongono, allora, con urgenza, riflessioni e progettualità su come salvare il nostro futuro, ossia su come consegnare al futuro – e non unicamente ai musei- l’ebraismo italiano”. Bene, il discorso dovrebbe essere accolto con entusiasmo se fosse valida l’idea di museo come fredda collezione di oggetti del passato da mettere in mostra e preservare a futura memoria. Si tratta però di un’idea di museo un po’ vecchia, che non corrisponde in nulla a ciò che oggi si intende con quella parola, per cui la polemica è diretta all’obiettivo sbagliato. Nella fattispecie del museo ebraico, poi, la vecchia visione è due volte sbagliata, perché non tiene conto della funzione di motore aggregativo e di punto di riferimento sociale che questa realtà ricopre in moltissime situazioni, anche qui in Italia. Per fare solo un semplice elenco di funzioni, e senza addentrarmi in una complicata analisi di politica culturale che pure sarebbe necessaria, e per rimanere nel ristretto perimetro delle esperienze museali ebraiche italiane, la realtà ci racconta questo: 1. Il museo è un potente veicolo di conoscenza, che presenta l’ebraismo nelle sue molteplici sfaccettature contribuendo a combattere il pregiudizio antisemita; 2. Il museo è un luogo di produzione culturale, che promuove nuove riflessioni artistiche incentrate sull’ebraismo ed è quindi motore di rinnovamento e non di mera conservazione; 3. Il museo è un luogo di incontro, dove vengono presentati e discussi nuovi libri e spesso film e dove quindi si ragiona sul presente e sul futuro, più che sul passato; 4. Il museo conserva tracce artistiche e storiche del glorioso passato delle comunità ebraiche italiane, spesso del tutto sconosciuto agli iscritti stessi delle comunità: libri, oggetti rituali, documenti di cui ci si gloria spesso senza conoscerli né averli mai visti. È quindi veicolo educativo; 5. Il museo è un luogo di lavoro, una delle poche occasioni in cui le giovani generazioni di ebrei hanno l’opportunità (troppe volte non colta) di lavorare gestendo la propria storia e il proprio futuro ebraico; 6. Il museo è luogo di incontro con i cittadini non ebrei (turisti, scolaresche ecc.), un’occasione per spiegarsi e per raccontarsi, e uno straordinario osservatorio sulle domande della società all’ebraismo contemporaneo.
 
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  davar
dopo parigi 2015 - il sociologo shmuel Trigano 
"Svegliamoci. E in fretta"
Il 2015 si chiude con alcuni grandi interrogativi lasciati in eredità dai fatti di Parigi in questo anno terribile. Dagli attentati a Charlie Hebdo e all'Hypercacher dei primi di gennaio, fino alle stragi del 13 novembre, ci si chiede: Cosa è cambiato? Dove stiamo andando? A rispondere a queste domande profondamente attuali per l'Europa e per la sua minoranza ebraica, il sociologo francese Shmuel Trigano, grande protagonista dell’intervista del numero di gennaio di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione.

Ci hanno detto che siamo in guerra. Ci hanno detto che ognuno di noi è un bersaglio. Ci hanno detto che siamo a una svolta, che la Storia sta scrivendo una nuova drammatica pagina sotto i nostri occhi. Ci hanno detto che un nuovo continente, sconosciuto e pericoloso, sta per emergere. Dobbiamo crederci o dobbiamo continuare come se niente fosse le nostre esistenze? Quali misure dobbiamo adottare, cosa dobbiamo attenderci dal futuro?
Sono questi in effetti tempi difficili e pericolosi. Ma soprattutto sono tempi difficili da interpretare. Molti intellettuali ebrei francesi, soprattutto il filosofo Alain Finkielkraut e lo storico Georges Bensoussan, come riferisce Pagine Ebraiche di dicembre, li avevano preannunciati tentando di rompere un muro di incoscienza e di malafede, o forse solo di fastidio nei confronti di chi vuole chiamare le cose con il proprio nome. Ma pochissimi hanno analizzato le cause delle ferite di Parigi e della solitudine degli ebrei in Europa nelle loro radici profonde come il sociologo Shmuel Trigano. Pochi sono oggi in grado di dire cosa sta davvero cambiando, cosa non sarà mai più come prima e cosa ci attende.

Le stragi di Parigi che hanno costellato questo terribile 2015 ormai al termine conferiscono ai suoi ultimi studi un carattere drammaticamente profetico. Mai come oggi è apparso così chiaro che dietro la facciata dell’antisionismo si nasconde la minaccia di un antisemitismo bestiale ed estremamente pericoloso, una minaccia non solo allo Stato di Israele, ma all’ebraismo nel suo insieme.
È vero, c’è un continente sommerso che comincia a emergere sotto i nostri piedi. Questo 2015 si era aperto a gennaio sotto il segno della compassione per le vittime delle stragi nella redazione di Charlie Hebdo e con la riaffermazione dell’ideale europeo della libertà di pensiero...

Una reazione inadeguata? Ingenua?
Evidentemente, come hanno dimostrato le stragi di novembre. Non ci siamo trovati di fronte a forze che minacciassero esclusivamente la libertà di pensiero o la sicurezza delle persone coinvolte, ma di un vero e proprio atto di guerra contro la società francese. Ci siamo ingannati riguardo alla natura di quello che sta avvenendo e la compassione, la reazione che poggia sulla sensibilità e i buoni sentimenti, non possono bastareOggi quella stessa compassione che passa attraverso l’emozionalità collettiva manifesta non solo la propria inadeguatezza, ma anche un effetto fortemente depressivo. Forse per la società formata dall’ideologia dominante, il postmodernismo, la realtà è troppo dura per essere conosciuta. E il sogno in qualche modo deve continuare. Ma mi domando cosa succederà la prossima volta. Se basterà ancora la compassione.

(L'illustrazione è di Giorgio Albertini)
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israele - i rabbini contro il gruppo 'tag mehir'
"Estremisti, la vostra violenza
è in contrasto con la Torah"

Decine di rabbini del mondo sionista religioso israeliano hanno pubblicato in queste ore una lettera in cui si condanna in modo fermo ogni manifestazione di odio e violenza, in particolare in riferimento al gruppo estremista legato ai cosiddetti attacchi 'Tag Mehir', le azioni violente contro la popolazione araba. "Noi affermiamo che queste azioni sono in netto contrasto con la Torah di Israele e con l'etica ebraica," scrivono i rabbini. "Esortiamo educatori e rabbini di tutto il mondo a continuare a insegnare la via della Torah di Israele ai loro studenti”. Nella lettera si esprime inoltre sostegno allo Shin Bet, il servizio di intelligence israeliano impegnato in queste settimane a trovare i responsabili dell'attentato incendiario al villaggio palestinese di Duma, dove lo scorso luglio una casa era stata data alle fiamme uccidendo tre persone, tra cui un bambino di 18 mesi. “Noi siamo al fianco dello Shin Bet e delle autorità impegnate nel mantenimento della sicurezza del nostro paese, tra cui (si annovera) lo sradicamento di tutti i segni del terrorismo ebraico”, affermano i firmatari del documento, tra cui il rabbino capo ashkenazita di Gerusalemme Aryeh Stern; rav Yuval Cherlow membro dell'Israel Press Council e tra i fondatori dell'organizzazione rabbinica ortodossa progressista Tzohar; rav David Stav, presidente di Tzohar; il rabbino capo di Efrat Shlomo Riskin.
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il presidente della fondazione mario venezia
I fondi per il Museo della Shoah: "Speriamo sia una ripartenza"
“Un segnale positivo, una ripartenza”. Così il presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma Mario Venezia, parlando con Pagine Ebraiche, commenta la notizia dello stanziamento di tre milioni di euro per la realizzazione del museo capitolino dedicato alla memoria della Shoah. Governo e Parlamento hanno infatti approvato negli scorsi giorni un emendamento alla legge di Stabilità per permettere al Comune di Roma di finanziare la realizzazione del progetto museale di Villa Torlonia, ideato dall'architetto Luca Zevi. “Si tratta di un provvedimento già adottato in precedenza – ricorda il presidente Venezia, in riferimento alla deroga al Patto di Stabilità decisa nel 2013 dall'allora Governo Monti – È un segnale positivo ma la nostra speranza è che non accada come la scorsa volta e che le somme stanziante vengano effettivamente utilizzate. Queste deroghe infatti sono a tempo”. Ora la palla passa nuovamente al Comune di Roma, dunque, per procedere al completamento dell'iter amministrativo. Intanto, sottolinea Venezia, la Fondazione – che dallo scorso 16 ottobre ha trovato posto nella sede situata all’interno della Casina dei Vallati - continua nella sua attività didattica legata alla Memoria. “Le nostre iniziative sono svincolate dalla presenza di una struttura museale e abbiamo in calendario per il 2016 diverse attività. Ad esempio abbiamo organizzato, assieme al ministero degli Esteri olandese, una mostra su Anna Frank che sarà inaugurata alla Casina dei Vallati il prossimo 27 gennaio. E a seguire avremo diversi altri impegni in agenda”.
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qui new york - in ricordo del re del marocco
Il coraggio di Mohammed V
Coraggio, lealtà e amore per il proprio popolo. Sono queste le doti che hanno contraddistinto il re del Marocco Mohammed V (1909-1961) mentre sedeva sul suo trono e impediva che la persecuzione nazista si abbattesse sui propri sudditi ebrei. A dargli un riconoscimento postumo, è stata l'associazione ebraica newyorkese Kivunim che per festeggiare i dieci anni di attività ha istituito il premio Rev. Martin Luther King Jr -Rabbi Abraham Heschel Award (che prende il nome dall'uomo simbolo della battaglia contro la segregazione razziale negli Usa e il suo fermo sostenitore rav Heschel che marciò al suo fianco) e lo ha consegnato alla figlia del re, la principessa Lalla Hasna. La serata in suo onore, organizzata presso la sinagoga B’nai Jeshurun, ha visto la partecipazione di settecento persone oltre che dell'ambasciatore del Marocco negli Usa Rachad Bouhlal, dell'ambasciatore statunitense in Marocco Dwight Bush e dell'ambasciatore marocchino all'Onu Omar Hilale.
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pilpul
Nomi, e non altro
Dai brindisi e festeggiamenti di allievi e colleghi per la fine della scuola alla triste compostezza del bet ha-keneset dove si legge la lunga lista dei nomi dei torinesi scomparsi nella Shoah. Un salto brusco, quello di martedì scorso, ma noi ebrei siamo abituati a questi contrasti. Il 10 di Tevet cade spesso in questo periodo che per gli altri è festivo. In fin dei conti ci aiuta a ricordare che la Shoah è stata una lacerazione. Un salto brusco e violento. Qualcosa che ha segnato un prima e un dopo. Senza tutte le persone di cui si leggono i nomi le nostre famiglie e le nostre Comunità non sono state più le stesse di prima, e, soprattutto, non sono state e non sono quello che avrebbero potuto essere. Per questo ricordare la Shoah è una necessità prima di tutto nostra, non un cedimento a interessi e priorità altrui.

Anna Segre, insegnante
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Mangiare cinese
“Un uomo entra in un ristorante ebraico. Si siede a un tavolo, prende il menu, lo studia per decidere cosa vuol mangiare, e quando torna ad alzare lo sguardo davanti a lui c'è il cameriere, che è cinese. Il cameriere dice: "Vos vilt ihr essen?". In perfetto yiddish, cioè, il cameriere gli domanda "Cosa vuole mangiare?" Il cliente rimane sbalordito ma vincendo lo stupore ordina e, a ogni piatto che arriva, il cameriere cinese dice in perfetto yiddish: "Ecco quello che ha ordinato", e: "Spero che le sia piaciuto". Quando il pasto è finito, il cliente prende il conto e va alla cassa, dove sta seduto il proprietario […]. Il proprietario dice al cliente: « Tutto a posto? Tutto bene?» E il cliente risponde , entusiasta: "Perfetto, era tutto buonissimo. E il cameriere – questa è la cosa più straordinaria – il cameriere è cinese ma parla uno yiddish assolutamente perfetto". "Shah, ssst, - gli fa il padrone, -  non così forte: lui crede di stare imparando l'inglese".

Francesco Moises Bassano, studente
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