 |

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
|
Napoli.
L’Uomo, Adamo, scoperto nella sua colpa per aver mangiato il frutto
proibito, prova vergogna e si nasconde. (Genesi 3,9-10) “Ma il Signore
Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei?” Rispose: “Ho udito il tuo
passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono
nascosto”. La vergogna, il senso di disagio morale, lo scuorno, diremmo
a Napoli, sono il più grande dono che Dio potesse fare all’umanità. Ciò
che ci rende davvero dissimili dagli animali non è l’intelligenza,
bensì la capacità di provare vergogna e di iniziare, da quella
sensazione, un vero cammino di tikkun, di correzione personale e
sociale. Penso questo mentre leggo un paio di articoli presi dal
quotidiano il Mattino che mi sbattono in faccia una indagine sull’uso
di alcuni fondi pubblici per dei lavori di restauro e manutenzione
della Sinagoga di Napoli ed altri locali comunitari. Il dubbio del buon
uso del denaro pubblico è entrato anche nella Comunità di Napoli e
conosco esattamente gli attori e i motivi assurdi che hanno portato a
questa situazione.
|
|
Leggi
|
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
|
Vorrei
spezzare una lancia in difesa dei musei. Troppo spesso infatti – specie
in ambito ebraico – ci si riferisce a queste realtà per contrapporle in
senso negativo alle esperienze di vitalità sociale, culturale e
religiosa di una comunità. Meno musei più scuole! In una lettera aperta
di pochi giorni fa (che contiene una allarmata riflessione che in parte
condivido sul futuro dell’ebraismo italiano) il rabbino Giuseppe Laras
scrive una frase in questo senso emblematica: “Si impongono, allora,
con urgenza, riflessioni e progettualità su come salvare il nostro
futuro, ossia su come consegnare al futuro – e non unicamente ai musei-
l’ebraismo italiano”. Bene, il discorso dovrebbe essere accolto con
entusiasmo se fosse valida l’idea di museo come fredda collezione di
oggetti del passato da mettere in mostra e preservare a futura memoria.
Si tratta però di un’idea di museo un po’ vecchia, che non corrisponde
in nulla a ciò che oggi si intende con quella parola, per cui la
polemica è diretta all’obiettivo sbagliato. Nella fattispecie del museo
ebraico, poi, la vecchia visione è due volte sbagliata, perché non
tiene conto della funzione di motore aggregativo e di punto di
riferimento sociale che questa realtà ricopre in moltissime situazioni,
anche qui in Italia. Per fare solo un semplice elenco di funzioni, e
senza addentrarmi in una complicata analisi di politica culturale che
pure sarebbe necessaria, e per rimanere nel ristretto perimetro delle
esperienze museali ebraiche italiane, la realtà ci racconta questo: 1.
Il museo è un potente veicolo di conoscenza, che presenta l’ebraismo
nelle sue molteplici sfaccettature contribuendo a combattere il
pregiudizio antisemita; 2. Il museo è un luogo di produzione culturale,
che promuove nuove riflessioni artistiche incentrate sull’ebraismo ed è
quindi motore di rinnovamento e non di mera conservazione; 3. Il museo
è un luogo di incontro, dove vengono presentati e discussi nuovi libri
e spesso film e dove quindi si ragiona sul presente e sul futuro, più
che sul passato; 4. Il museo conserva tracce artistiche e storiche del
glorioso passato delle comunità ebraiche italiane, spesso del tutto
sconosciuto agli iscritti stessi delle comunità: libri, oggetti
rituali, documenti di cui ci si gloria spesso senza conoscerli né
averli mai visti. È quindi veicolo educativo; 5. Il museo è un luogo di
lavoro, una delle poche occasioni in cui le giovani generazioni di
ebrei hanno l’opportunità (troppe volte non colta) di lavorare gestendo
la propria storia e il proprio futuro ebraico; 6. Il museo è luogo di
incontro con i cittadini non ebrei (turisti, scolaresche ecc.),
un’occasione per spiegarsi e per raccontarsi, e uno straordinario
osservatorio sulle domande della società all’ebraismo contemporaneo.
|
|
Leggi
|
|
|
dopo parigi 2015 - il sociologo shmuel Trigano
"Svegliamoci. E in fretta"
Il
2015 si chiude con alcuni grandi interrogativi lasciati in eredità dai
fatti di Parigi in questo anno terribile. Dagli attentati a Charlie
Hebdo e all'Hypercacher dei primi di gennaio, fino alle stragi del 13
novembre, ci si chiede: Cosa è cambiato? Dove stiamo andando? A
rispondere a queste domande profondamente attuali per l'Europa e per la
sua minoranza ebraica, il sociologo francese Shmuel Trigano, grande
protagonista dell’intervista del numero di gennaio di Pagine Ebraiche
attualmente in distribuzione.
Ci hanno detto che siamo in guerra. Ci hanno detto
che ognuno di noi è un bersaglio. Ci hanno detto che siamo a una
svolta, che la Storia sta scrivendo una nuova drammatica pagina sotto i
nostri occhi. Ci hanno detto che un nuovo continente, sconosciuto e
pericoloso, sta per emergere. Dobbiamo crederci o dobbiamo continuare
come se niente fosse le nostre esistenze? Quali misure dobbiamo
adottare, cosa dobbiamo attenderci dal futuro?
Sono questi in effetti tempi difficili e pericolosi. Ma soprattutto
sono tempi difficili da interpretare. Molti intellettuali ebrei
francesi, soprattutto il filosofo Alain Finkielkraut e lo storico
Georges Bensoussan, come riferisce Pagine Ebraiche di dicembre, li
avevano preannunciati tentando di rompere un muro di incoscienza e di
malafede, o forse solo di fastidio nei confronti di chi vuole chiamare
le cose con il proprio nome. Ma pochissimi hanno analizzato le cause
delle ferite di Parigi e della solitudine degli ebrei in Europa nelle
loro radici profonde come il sociologo Shmuel Trigano. Pochi sono oggi
in grado di dire cosa sta davvero cambiando, cosa non sarà mai più come
prima e cosa ci attende.
Le stragi di Parigi che
hanno costellato questo terribile 2015 ormai al termine conferiscono ai
suoi ultimi studi un carattere drammaticamente profetico. Mai come oggi
è apparso così chiaro che dietro la facciata dell’antisionismo si
nasconde la minaccia di un antisemitismo bestiale ed estremamente
pericoloso, una minaccia non solo allo Stato di Israele, ma
all’ebraismo nel suo insieme.
È vero, c’è un continente sommerso che comincia a emergere sotto i
nostri piedi. Questo 2015 si era aperto a gennaio sotto il segno della
compassione per le vittime delle stragi nella redazione di Charlie
Hebdo e con la riaffermazione dell’ideale europeo della libertà di
pensiero...
Una reazione inadeguata? Ingenua?
Evidentemente, come hanno dimostrato le stragi di novembre. Non ci
siamo trovati di fronte a forze che minacciassero esclusivamente la
libertà di pensiero o la sicurezza delle persone coinvolte, ma di un
vero e proprio atto di guerra contro la società francese. Ci siamo
ingannati riguardo alla natura di quello che sta avvenendo e la
compassione, la reazione che poggia sulla sensibilità e i buoni
sentimenti, non possono bastareOggi quella stessa compassione che passa
attraverso l’emozionalità collettiva manifesta non solo la propria
inadeguatezza, ma anche un effetto fortemente depressivo. Forse per la
società formata dall’ideologia dominante, il postmodernismo, la realtà
è troppo dura per essere conosciuta. E il sogno in qualche modo deve
continuare. Ma mi domando cosa succederà la prossima volta. Se basterà
ancora la compassione.
(L'illustrazione è di Giorgio Albertini)
Leggi
|
israele - i rabbini contro il gruppo 'tag mehir'
"Estremisti, la vostra violenza
è in contrasto con la Torah"
Decine
di rabbini del mondo sionista religioso israeliano hanno pubblicato in queste ore
una lettera in cui si condanna in modo fermo ogni manifestazione di
odio e violenza, in particolare in riferimento al gruppo estremista
legato ai cosiddetti attacchi 'Tag Mehir', le azioni violente contro la
popolazione araba. "Noi affermiamo che queste azioni sono in netto
contrasto con la Torah di Israele e con l'etica ebraica," scrivono i
rabbini. "Esortiamo educatori e rabbini di tutto il mondo a continuare
a insegnare la via della Torah di Israele ai loro studenti”. Nella
lettera si esprime inoltre sostegno allo Shin Bet, il servizio di
intelligence israeliano impegnato in queste settimane a trovare i
responsabili dell'attentato incendiario al villaggio palestinese di Duma, dove lo scorso luglio
una casa era stata data alle fiamme uccidendo tre persone, tra cui un
bambino di 18 mesi. “Noi siamo al fianco dello Shin Bet e delle
autorità impegnate nel mantenimento della sicurezza del nostro paese,
tra cui (si annovera) lo sradicamento di tutti i segni del terrorismo
ebraico”, affermano i firmatari del documento, tra cui il rabbino capo
ashkenazita di Gerusalemme Aryeh Stern; rav Yuval Cherlow membro
dell'Israel Press Council e tra i fondatori dell'organizzazione
rabbinica ortodossa progressista Tzohar; rav David Stav, presidente di
Tzohar; il rabbino capo di Efrat Shlomo Riskin.
Leggi
|
il presidente della fondazione mario venezia
I fondi per il Museo della Shoah: "Speriamo sia una ripartenza"
“Un
segnale positivo, una ripartenza”. Così il presidente della Fondazione
Museo della Shoah di Roma Mario Venezia, parlando con Pagine Ebraiche,
commenta la notizia dello stanziamento di tre milioni di euro per la
realizzazione del museo capitolino dedicato alla memoria della Shoah.
Governo e Parlamento hanno infatti approvato negli scorsi giorni un
emendamento alla legge di Stabilità per permettere al Comune di Roma di
finanziare la realizzazione del progetto museale di Villa Torlonia,
ideato dall'architetto Luca Zevi. “Si tratta di un provvedimento già
adottato in precedenza – ricorda il presidente Venezia, in riferimento
alla deroga al Patto di Stabilità decisa nel 2013 dall'allora Governo
Monti – È un segnale positivo ma la nostra speranza è che non accada
come la scorsa volta e che le somme stanziante vengano effettivamente
utilizzate. Queste deroghe infatti sono a tempo”. Ora la palla passa
nuovamente al Comune di Roma, dunque, per procedere al completamento
dell'iter amministrativo. Intanto, sottolinea Venezia, la Fondazione –
che dallo scorso 16 ottobre ha trovato posto nella sede situata
all’interno della Casina dei Vallati - continua nella sua attività
didattica legata alla Memoria. “Le nostre iniziative sono svincolate
dalla presenza di una struttura museale e abbiamo in calendario per il
2016 diverse attività. Ad esempio abbiamo organizzato, assieme al
ministero degli Esteri olandese, una mostra su Anna Frank che sarà
inaugurata alla Casina dei Vallati il prossimo 27 gennaio. E a seguire
avremo diversi altri impegni in agenda”.
Leggi
|
Nomi, e non altro |
Dai
brindisi e festeggiamenti di allievi e colleghi per la fine della
scuola alla triste compostezza del bet ha-keneset dove si legge la
lunga lista dei nomi dei torinesi scomparsi nella Shoah. Un salto
brusco, quello di martedì scorso, ma noi ebrei siamo abituati a questi
contrasti. Il 10 di Tevet cade spesso in questo periodo che per gli
altri è festivo. In fin dei conti ci aiuta a ricordare che la Shoah è
stata una lacerazione. Un salto brusco e violento. Qualcosa che ha
segnato un prima e un dopo. Senza tutte le persone di cui si leggono i
nomi le nostre famiglie e le nostre Comunità non sono state più le
stesse di prima, e, soprattutto, non sono state e non sono quello che
avrebbero potuto essere. Per questo ricordare la Shoah è una necessità
prima di tutto nostra, non un cedimento a interessi e priorità altrui.
Anna Segre, insegnante
Leggi
|
|
Mangiare cinese |
“Un
uomo entra in un ristorante ebraico. Si siede a un tavolo, prende il
menu, lo studia per decidere cosa vuol mangiare, e quando torna ad
alzare lo sguardo davanti a lui c'è il cameriere, che è cinese. Il
cameriere dice: "Vos vilt ihr essen?". In perfetto yiddish, cioè, il
cameriere gli domanda "Cosa vuole mangiare?" Il cliente rimane
sbalordito ma vincendo lo stupore ordina e, a ogni piatto che arriva,
il cameriere cinese dice in perfetto yiddish: "Ecco quello che ha
ordinato", e: "Spero che le sia piaciuto". Quando il pasto è finito, il
cliente prende il conto e va alla cassa, dove sta seduto il
proprietario […]. Il proprietario dice al cliente: « Tutto a posto?
Tutto bene?» E il cliente risponde , entusiasta: "Perfetto, era tutto
buonissimo. E il cameriere – questa è la cosa più straordinaria – il
cameriere è cinese ma parla uno yiddish assolutamente perfetto". "Shah,
ssst, - gli fa il padrone, - non così forte: lui crede di stare
imparando l'inglese".
Francesco Moises Bassano, studente
Leggi
|
|
|