…musei

Vorrei spezzare una lancia in difesa dei musei. Troppo spesso infatti – specie in ambito ebraico – ci si riferisce a queste realtà per contrapporle in senso negativo alle esperienze di vitalità sociale, culturale e religiosa di una comunità. Meno musei più scuole! In una lettera aperta di pochi giorni fa (che contiene una allarmata riflessione che in parte condivido sul futuro dell’ebraismo italiano) il rabbino Giuseppe Laras scrive una frase in questo senso emblematica: “Si impongono, allora, con urgenza, riflessioni e progettualità su come salvare il nostro futuro, ossia su come consegnare al futuro – e non unicamente ai musei- l’ebraismo italiano”. Bene, il discorso dovrebbe essere accolto con entusiasmo se fosse valida l’idea di museo come fredda collezione di oggetti del passato da mettere in mostra e preservare a futura memoria. Si tratta però di un’idea di museo un po’ vecchia, che non corrisponde in nulla a ciò che oggi si intende con quella parola, per cui la polemica è diretta all’obiettivo sbagliato. Nella fattispecie del museo ebraico, poi, la vecchia visione è due volte sbagliata, perché non tiene conto della funzione di motore aggregativo e di punto di riferimento sociale che questa realtà ricopre in moltissime situazioni, anche qui in Italia. Per fare solo un semplice elenco di funzioni, e senza addentrarmi in una complicata analisi di politica culturale che pure sarebbe necessaria, e per rimanere nel ristretto perimetro delle esperienze museali ebraiche italiane, la realtà ci racconta questo: 1. Il museo è un potente veicolo di conoscenza, che presenta l’ebraismo nelle sue molteplici sfaccettature contribuendo a combattere il pregiudizio antisemita; 2. Il museo è un luogo di produzione culturale, che promuove nuove riflessioni artistiche incentrate sull’ebraismo ed è quindi motore di rinnovamento e non di mera conservazione; 3. Il museo è un luogo di incontro, dove vengono presentati e discussi nuovi libri e spesso film e dove quindi si ragiona sul presente e sul futuro, più che sul passato; 4. Il museo conserva tracce artistiche e storiche del glorioso passato delle comunità ebraiche italiane, spesso del tutto sconosciuto agli iscritti stessi delle comunità: libri, oggetti rituali, documenti di cui ci si gloria spesso senza conoscerli né averli mai visti. È quindi veicolo educativo; 5. Il museo è un luogo di lavoro, una delle poche occasioni in cui le giovani generazioni di ebrei hanno l’opportunità (troppe volte non colta) di lavorare gestendo la propria storia e il proprio futuro ebraico; 6. Il museo è luogo di incontro con i cittadini non ebrei (turisti, scolaresche ecc.), un’occasione per spiegarsi e per raccontarsi, e uno straordinario osservatorio sulle domande della società all’ebraismo contemporaneo. Se poi facciamo un conto economico, sono più che certo che gli investimenti sui musei (se intesi nel senso che ho appena descritto) ritornano sotto forma di entrate, contributi volontari e offerte all’Otto per Mille e forniscono risorse da investire in tutte quelle attività (insegnamento, Torah, servizi) che fanno di una comunità ebraica un qualcosa di vivo. È rarissimo che una comunità ebraica spenda denaro per creare o mantenere un museo o per attività di restauro di cimiteri (altro luogo adatto a raccontare ai più una lunga storia misconosciuta). Quasi sempre le spese effettuate sono frutto di contributi di varia provenienza e non si tratta di fondi propri provenienti dalle disastrate casse delle comunità ebraiche. Si smetta quindi una volta per tutte di stabilire contrapposizioni artificiose e si assegni il giusto valore alle realtà museali ebraiche italiane, che sono un vero e proprio fiore all’occhiello della cultura italiana.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(25 dicembre 2015)