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28 dicembre 2015 - 16 Tevet 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Paolo Sciunnach,
insegnante
Il Chasid (da “chesed”, cioè amore, benevolenza, carità e misericordia), e lo Tzaddik (da “tzedek”, giustizia, rettitudine), sono nomi comuni già nella Torah Scritta, e designano l'uomo pio, dedito all'osservanza della Torah.
 
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Anna
Foa,
storica
Mi è impossibile questa settimana parlare d’altro che di questo.
Ormai molti anni fa, in una riunione in Normandia fra ebrei israeliani e ebrei della Diaspora, organizzato da Diana Pinto, ci fu un acceso confronto tra il giornalista di Haaretz Gideon Levy e André Glucksmann, il filosofo francese recentemente scomparso. Levy sosteneva di essere molto più colpito dalle violenze degli ebrei che da quelle dei palestinesi proprio perché i primi erano ebrei e si sentiva ‘parte', li sentiva come sentiva se stesso, a lui vicini. Glucksmann respingeva la sua posizione in nome dell’universalismo, in nome di tutta l’umanità. Allora, mi sentivo più vicina a Levy da un punto di vista emotivo, benché convinta delle idee di Glucksmann dal punto di vista razionale. Una suggestione di Carlo Ginzburg mi ha aiutata a sciogliere questa matassa: l’identità, l’appartenenza nazionale sono sentite soprattutto attraverso la vergogna. Mi sento italiano soprattutto quando mi vergogno della politica italiana, ad esempio. Verso gli altri paesi, il sentimento della vergogna non c’è, ce ne possono essere molti altri ma non questo.
Allora, è vergogna che provo per l’oscenità della festa di matrimonio a Gerusalemme che esaltava l’assassinio della famiglia Dawabsha. Mi vergogno, come altri miei correligionari - italiani e israeliani - che hanno denunciato con forza il fatto, non ultimo lo stesso premier Netanyahu. Non abbiamo nulla da spartire con questi estremisti, né pensieri, né percorsi di vita, né emozioni, né comportamenti politici. Nel groviglio di identità plurime in cui tutti siamo avviluppati, questo fatto, come tanti altri prima, fanno però emergere la mia identità ebraica, ammesso che questa parola “identità” abbia un senso. Mi vergogno e sono certa che molti altri ebrei proveranno questa vergogna e la diranno a voce alta. Perché anche loro, gli estremisti, imparino a vergognarsi.
 
L'Isis sconfitto a Ramadi
Ci sono voluti 30mila uomini e sette mesi di assedio per far cadere la città sunnita di Ramadi, situata nel centro dell’Iraq e a lungo nelle mani dei miliziani dell’Isis. La vittoria riportata dalle forze governative sul Califfato a Ramadi, spiega il Corriere della Sera, ha un particolare significato per il carattere della città: le tribù locali, dal dopo Saddam, hanno sempre combattuto contro il governo di Baghdad, guidato dagli sciiti, e più volte hanno dato il loro supporto agli estremisti sunniti, di Al Qaeda prima dell’Isis poi. Ora, anche grazie alla loro collaborazione, il sedicente Califfo è stato sconfitto in una delle sue città chiave. “Quella di Ramadi non è una battaglia risolutiva – l’analisi di Jason Burke, esperto di terrorismo internazionale, che compare oggi su Repubblica – ma invertire la tendenza espansiva del Califfo vuol dire minare i meccanismi propagandistici ed economici del suo Stato”. Le prossime città da liberare, scrive La Stampa, sono “Falluja, a soli 50 chilometri da Baghdad. Poi Mosul, una metropoli di due milioni di abitanti, cinque volte Ramadi, dove un anno e mezzo faè nato il Califfato”.

Italia, la propaganda islamista da non sottovalutare. “La Libia è la porta aperta verso Roma”, questo il messaggio fatto rimbalzare sul web da organi legati allo Stato islamico. Un messaggio che ha fatto alzare i livelli di guardia delle forze di sicurezza italiane. Secondo gli analisti “I rischi maggiori per la sicurezza sono connessi ad azioni condotte da terroristi autoctoni ricettori degli appelli lanciati dall’apparto propagandistico del Califfato, o da foreign fighters europei reduci dal conflitto siroiracheno” (La Stampa). Pacificare la Libia dunque servirà a controllare eventuali minacce terroristiche all’Europa. E per ridare stabilità al paese africano dilaniato da una guerra civile, è stato creato un governo di unità nazionale in chiave anti-Isis. L’Italia si è fatta promotrice di questa iniziativa, bloccando il progetto francese di avviare dei raid in Libia, sottolineando che prima bisognava garantire un governo stabile a Tripoli (La Stampa).

L’inchiesta su Sara Netanyahu. Repubblica riporta la notizia dell’indagine da parte della polizia israeliana riguardante la moglie dell’attuale Primo ministro Benjamin Netanyahu, Sara. L’inchiesta sarebbe legata alle “spese e la gestione delle due case della coppia, quella ufficiale di Balfour Street a Gerusalemme e la villa ( privata) sul mare a Cesarea”. Secondo il quotidiano, il caso potrebbe arrivare a scuotere il governo Netanyahu.
 
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  davar
ferrara - dal mibact la nomina del presidente  
Dario Disegni alla guida del Meis
Il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo ha comunicato in una nota la nomina di Dario Disegni come nuovo presidente del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. “Il ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini – si legge nella nota - ha rinnovato il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara (MEIS), confermando Carla di Francesco (nominata dal Mibact), Renzo Gattegna (presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), Massimo Maisto (dal Comune di Ferrara) e Massimo Mezzetti (dalla Regione Emilia Romagna) e nominando alla Presidenza Dario Disegni che succede a Riccardo Calimani, alla guida della istituzione sin dagli esordi nel 2008”. “La nomina del Presidente e la conferma del Consiglio di Amministrazione – ha dichiarato il Ministro Franceschini – è un altro importante passo in avanti verso la concreta realizzazione del MEIS di Ferrara che si aggiunge alle significative risorse, 7 milioni di euro per i prossimi due anni, stanziate con il Piano Strategico Grandi Progetti Culturali. Nel ringraziare Riccardo Calimani per la preziosa opera svolta alla guida del Meis dal 2008 a oggi, esprimo al Presidente Disegni e a tutto il Cda i miei migliori auguri di buon lavoro nel completamento di questa importante realtà culturale”.
Dario Disegni, attivo da oltre vent’anni in posizioni di responsabilità nel mondo delle fondazioni e delle istituzioni culturali e museali, è presidente della Fondazione Beni culturali ebraici in Italia e della Comunità ebraica di Torino. È inoltre membro degli organi direttivi di varie istituzioni culturali e museali, tra le quali la Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino e il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano. 

brasilia non accredita l'ambasciatore dayan 
Israele-Brasile, gelo diplomatico
Il governo israeliano userà tutti i canali a sua disposizione per far sì che Dani Dayan venga confermato ambasciatore in Brasile. A dichiararlo, nel corso della riunione di inizio settimana a Gerusalemme dell'esecutivo, il viceministro degli Esteri Tzipi Hotovely. Nessun altro nome verrà presentato a Brasilia, ha dichiarato Hotovely, scegliendo dunque la strada dello scontro con il governo brasiliano. Dall'altra parte dell'oceano il nome di Dayan, noto come uno dei leader del movimento che rappresenta gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, non piace. Il presidente brasiliano Dilma Rousseff l'aveva fatto sapere a Gerusalemme sin dall'inizio ma il Premier Benjamin Netanyahu auspicava in una risoluzione pacifica della questione. Invece, dal giorno della nomina (in agosto) di Dayan ad ambasciatore, la Rousseff si è trincerata dietro al silenzio, optando  per non dare nessuna risposta in merito all'accreditamento dell'ambasciatore indicato da Gerusalemme. Secondo Brasilia – e i movimenti di sinistra (sia israeliani che brasiliani) che si sono mobilitati contro la nomina – accettare Dayan significherebbe approvare indirettamente la politica degli insediamenti israeliani. “Lo Stato di Israele non accetterà il rifiuto di un ambasciatore per ragioni ideologiche e useremo i mezzi diplomatici per ribadirlo nel modo più chiaro possibile”, ha dichiarato Hotovely. Tra le questioni che preoccupano Gerusalemme, la possibilità che, in caso di mancata conferma di Dayan, la scelta di Brasilia crei un precedente contro le persone che vivono negli insediamente e la loro possibilità di rappresentare Israele all'estero.
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i giovani ebrei italiani e la vita in francia  
'La nostra scelta si chiama Parigi'
Sul numero di gennaio del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, attualmente in distribuzione, il reportage a firma di Ada Treves che dipinge un quadro della Francia attraverso le parole e impressioni di giovani ebrei italiani arrivati a Parigi per motivi di studio o di lavoro. Michela, Sara, Claudio, Noemi, Rachele, Shemuel e Michele ripercorrono i drammatici fatti del 13 novembre scorso e al contempo raccontano le loro speranze e i progetti per il futuro.
Non è stata l’idea di essere senza altre possibilità, a spingerli a lasciare l’Italia, e neppure un senso di claustrofobia nei confronti della propria comunità ebraica: i giovani ebrei italiani sono più pragmatici. Che siano partiti per conseguire una laurea valida in più paesi, per imparare meglio la lingua, o che Parigi fosse il sogno della città delle luci e dell’amore, all’estero hanno trovato una vita soddisfacente, spesso piena di soddisfazioni. Un amore realizzatosi in un matrimonio, l’obiettivo accademico, un progetto lavorativo chiaro, tutto parla di ragazzi determinati e con idee ben definite, molto solidi e soprattutto capaci di resistere agli inevitabili momenti di sconforto. E che non si sono fatti intimorire né dagli attentati che a gennaio 2015 hanno colpito la redazione di Charlie Hebdo e l’Hypercacher, né dagli attacchi terroristici di novembre.
La più giovane, Sara, partita a 18 anni per iscriversi a filosofia a Parigi, è anche quella che forse proprio per la sua formazione si è messa più in discussione durante gli anni passati a Parigi. Ed è ancora lei, a 22 anni, la più critica verso una società che forse non ha saputo cogliere i molti segnali e che ancora oggi non riesce a mettere in discussione un modello sociale che “evidentemente non funziona così bene”. Dopo la laurea, alla Sorbonne, Sara ha deciso di restare, investendo dodici mesi in un servizio civile dedicato ad avvicinare i più piccoli alla lettura, e collabora da tempo a laboratori di filosofia per bambini. L’idea di prendersi 12 mesi per decidere cosa fare non è stata messa in discussione dagli attentati che - almeno in queste settimane - hanno un impatto notevole sulla vita quotidiana dei parigini, ma qualche dubbio c’è: “È mancata la capacità di capire che questo era il momento di affrontare la situazione con coraggio, e forse anche di mettersi in discussione”.
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USA - LO PSICHIATRA CHE COMBATTè I PREGIUDIZI
Robert Spitzer (1932-2015)
Il suo contributo alla psichiatria è legato a uno dei suoi angoli più ignorati, come scrive il New York Times, ovvero la misurazione. Robert Spitzer è considerato uno dei più grandi luminari della disciplina, proprio per suo lavoro sulla redazione di standard universalmente riconosciuti per la diagnosi dei disordini mentali. Spitzer è scomparso venerdì all’età di 83 anni a causa delle complicazioni di un problema al cuore a Seattle, dove viveva con la moglie Janet Williams. Lo psichiatra statunitense è conosciuto per due fondamentali traguardi: la creazione dei moderni parametri di diagnosi, da una parte; dall’altra, è grazie a lui se oggi l’omosessualità non è più considerata una malattia.
Robert Leopold Spitzer era nato a White Plains (New York) nel 1932, figlio di immigrati ebrei dall’Est Europa. Il rapporto tormentato con i genitori ne ha segnato la carriera da psichiatra: descrisse suo padre come freddo e distante mentre la madre era in un lutto perpetuo per la morte di meningite di un’altra figlia. Appassionato di psicologia già da adolescente, studiò alla Cornell e alla New York University, lavorando poi come ricercatore principalmente alla Columbia.
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spotlight - la donazione del comico inglese
Borat e la mano tesa ai siriani
Questa volta Sacha Baron Cohen è serio. Smessi i panni dell’assai sgradevole reporter kazako sbarcato in America Borat, del dittatore alla Gheddafi che fa il verso alle prove più raffinate di Charlie Chaplin e Woody Allen, e dell’improbabile rapper Ali G. che lo hanno reso celebre, l’attore assieme alla moglie e collega Isla Fischer ha deciso di donare un milione di dollari per i civili siriani.
Una somma consistente equamente divisa tra l’organizzazione mondiale Save the Children e l’International Rescue Commettee.
Grazie all’assegno devoluto dalla coppia, Save the Children, attraverso il programma lanciato in partnership con il Sunday Times, potrà vaccinare oltre 250mila bambini siriani per fronteggiare il virus di morbillo esploso a nord del paese.
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SPOTLIGHT- lA BAND BULLETPROOF STOCKINGS
Il rock hassidico per sole donne
Non è una shtick (dall’yiddish, ‘sceneggiata’). È una band alt-rock di ragazze devote ad Hashem e funziona. Funziona perché è reale”.
Si descrivono così le Bulletproof Stockings, il gruppo creato nel 2011 da due donne lubavitch, Perl Wolfe e Dalia Shusterman, acclamato dai critici come uno tra i più interessanti esperimenti nel panorama underground di Brooklyn.
La band, il cui nome deriva dalle calze opache indossate dalle ebree ultra-ortodosse, arricchito da due nuove componenti, è ora pronta a lanciare il primo disco loro al 100%, Homeland Call Stomp, realizzato grazie ad una campagna di raccolta fondi su Kickstarter.
“Ci eravamo imposte come cifra da raggiungere – spiegano – 36mila dollari perché il 36 è un multiplo di 18 che per l’ebraismo significa chai ovvero ‘vita’, e alla fine abbiamo addirittura superato l’obiettivo”.
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INFORMAZIONE – INTERNATIONAL EDITION
Giustizia, nel nome di Edgardo
Un nuovo libro per fare luce sul caso di Edgardo Mortara, il bambino ebreo bolognese strappato alla famiglia dalla Chiesa nel 1858. A firmare Writing for Justice pubblicato dalla Dartmouth College Press, è Elèna Mortara, studiosa di letteratura angloamericana e docente all’Università di Tor Vergata, oltre che discendente della famiglia di Edgardo. Recensito dagli storici Alberto Cavaglion e Anna Foa per il numero di gennaio di Pagine Ebraiche, attualmente in distribuzione, il volume è presentato al pubblico internazionale del giornale dell’ebraismo italiano.
Al centro dell’opera è la figura di Victor Séjour, americano creolo originario di New Orleans che costruì la sua carriera a Parigi come scrittore teatrale e paladino delle libertà, che alle vicende di Edgardo dedicò una pièce la cui prima fu seguita dall’imperatore Napoleone III in persona.
Su Pagine Ebraiche International Edition, anche il resoconto dell’ultima riunione del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con l’approvazione del bilancio a vastissima maggioranza (solo tre astenuti, nessun contrario). Mentre la cucina giudaico-romanesca sarà al centro di un programma su Gambero Rosso Channel condotto dalla chef Laura Ravaioli. Ad annunciarlo, Giorgia Calò, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Roma.
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pilpul
 Oltremare - Storie di cinema
A Tel Aviv ci sono due cinema che, quando menzionati in conversazioni conviviali, causano onde concentriche di nostalgia: l'Eden e il Mugrabi. Due luoghi che certificano il fatto che persino Tel Aviv, una città che ha da poco finito di festeggiare i cento anni dalla fondazione, ha una sua storia.
Nel 1914, Tel Aviv aveva cinque anni, i palazzi più alti avevano due o tre piani, erano costruiti sulla sabbia e il piano regolatore era una linea retta tracciata a vista a perpendicolo del mare. L'attuale Sderot Rothschild. Non c'erano ancora alberi, nessuno aveva ancora piantato l'erba ai bordi delle strade.
Nella bianca luce del Medio Oriente, Moshe Abarbanel e Mordechai Weiser costruirono il Cinema Eden su di un angolo di Neve Tzedek, il quartiere fuori Jafo dove erano fuoriusciti gli ebrei prima di fondare Tel Aviv. I vicini fecero rimostranze: la notte era illuminata dallo schermo e disturbata dall’orchestra che suonava sul palco. I film arrivavano da Alessandria d'Egitto, uno o due alla settimana. D’estate, prima dell’avvento di rivoluzionari ventilatori, sul pubblico veniva spruzzata acqua di rose. A Tel Aviv si suda, è un fatto.


Daniela Fubini, Tel Aviv
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