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5 Gennaio 2016 - 24 Tevet 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Roberto
Della Rocca,
rabbino
La Torah ci dice che gli ebrei in Egitto non danno ascolto a Moshè "...a causa del fiato corto e del duro lavoro..." (Shemòt, 6; 9). L’uscita dall’Egitto rappresenta, ancora oggi, il recupero di quel respiro etico e culturale che consente una visione per un futuro da costruire con una leadership autorevole che guida e che non si fa guidare dalle circostanze.
 
Dario
Calimani,
anglista
Heidegger cita Evola: a nessuno dei due piace “il mondo della casualità”. E non piace loro il mondo del calcolo, del compromesso, forse anche degli espedienti per salvarsi la vita, tipicamente 'ebraici'. A Heidegger e a Evola piaceva invece, come si sa, il mondo della certezza autoritaria, del potere forte ed elitario, quello che tiene ben sottomesse le masse informi e ignoranti e che esclude i diversi, specie se ebrei. A loro piaceva l'idea apocalittica, della guerra necessaria e rigeneratrice. L'idea del destino da seguire fino all'autodistruzione e alla morte.Si ripropone la domanda su che cosa si debba fare con questi pensatori proclivi a un pensiero antiumanitario e, per quel che ci riguarda, all’antisemitismo. Liberarsene gettandoli nel trogolo assieme all’acqua sporca sarebbe la tentazione più facile. Tenerli, invece, e prendersi cura del loro pensiero insalubre è forse la soluzione più utile, per portarli a esempio a coloro che si lasciano affascinare dalle invettive dei profeti populisti e dei tribuni del nostro tempo, che infiammano le folle giocando sui bassi istinti, sulla paura dell’altro e su idee di facile presa – l’élite nazionale, la razza pura, il pericolo del diverso e dell’eterogeneità. Anche perché le idee insalubri sanno riprodursi da sole, per partenogenesi, o crescono come i funghi dove meno te l'aspetti.
Del resto, esiste un pensiero che insegna le opposizioni, e un pensiero che insegna la coesistenza e la convivenza. A saper scegliere ci vuole coraggio. Sempre.
 
 

 
Lo scontro si allarga
Nuove tensioni al confine tra Libano e Israele dove ieri miliziani di Hezbollah hanno fatto esplodere un potente ordigno al passaggio di una pattuglia militare israeliana. Non si registrano vittime, ma la situazione appare di estrema gravità. Come ricorda il Quotidiano Nazionale, l’area è infatti limitrofa al Golan siriano dove Hezbollah libanesi e militari iraniani sostengono energicamente le forze di Bashar Assad contro milizie ribelli sunnite, “che in parte si ispirano ad al Qaida o allo Stato islamico”.
Nel frattempo le monarchie sunnite del Golfo appaiono sempre più compatte al fianco dell’Arabia Saudita nello scontro frontale con il comune nemico, lo sciita Iran. “Gli schieramenti – scrive la Stampa – ricalcano quelli della guerra per procura in Yemen, ma questa volta Riad e Teheran rischiano di scontrarsi in Bahrein, dove ieri mattina violente manifestazioni hanno squassato i sobborghi della capitale Manana”.

Di fronte all’emergenza immigrazione drastico intervento del governo svedese, che ha ripristinato i controlli con la Danimarca. Copenaghen a sua volta ha risposto con una stretta sui confini con la Germania. Si tratta di una svolta storica per Stoccolma, che spaventa i vertici dell’Unione Europea ed è così raccontata dalla Stampa: “La socialdemocratica Svezia, prima in Europa per numero di rifugiati, aveva resistito fino all’ultimo alla chiusura delle frontiere auspicate dalla destra radicale, terza forza politica in Parlamento. Ma il Paese che dal 2013 garantisce asilo e residenza a tutti i siriani, che offre un lavoro, sussidi e una casa a circa 110 mila profughi all’anno e che nel solo 2015 ha ricevuto 163 mila richieste di asilo, ora ha alzato bandiera bianca”.
 
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  davar
IL MESSAGGIO DEL RAV JONATHAN SACKS
Cinque regole per il nuovo anno

Sognare a occhi aperti, seguire le proprie passioni, mettersi a disposizione degli altri, dare peso alle cose che contano, lavorare duramente. Sono le cinque regole di vita indicate da rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo d'Inghilterra e del Commonwealth e tra le voci più autorevoli dell'ebraismo mondiale.
Cinque regole da tenere sempre in mente e ancora più valide, sottolinea il rav in una sua riflessione, all'inizio di un nuovo percorso. Come l'ingresso in un nuovo anno civile.
“Tutti i grandi leader religiosi sono stati dei sognatori. Mosè ad esempio, che ha sognato una terra stillante latte e miele. Oppure Isaia, che ha sognato un mondo di pace. Oppure penso ancora a Martin Luther King e al suo 'I have a dream', uno dei più bei discorsi del ventesimo secolo. Se dovessi scrivere un breviario per la felicità – osserva il rav – la capacità di sognare sarebbe ai primi posti della lista”.
Venendo al secondo punto, rav Sacks osserva come niente (salute, successo, fama) giustifichi una vita spesa a fare cose che non ci piacciono. “Ho visto troppe persone che hanno abbracciato determinate carriere per dare ai propri partner e ai propri figli anche più del dovuto e che si sono ritrovate abbandonate o sono state viste come estranee in casa perché non hanno mai avuto del tempo da dedicare agli affetti. Chi vive a pieno le proprie passioni – sottolinea il rav – conduce invece delle esistenze benedette”.
La terza regola il rav dice di averla appresa da Viktor Frankl, neurologo, psichiatra e filosofo austriaco che sopravvisse ad Auschwitz. “Frankl – scrive rav Sacks – era solito affermare: non chiederti cosa vuoi dalla vita, ma invece chiediti cosa la stessa vuole da te. Anche grazie alle sue parole ho maturato questa convinzione: le vite più belle sono quelle di coloro che un giorno avvertono una chiamata o hanno una vocazione”.
Centrale, per quanto concerne il quarto punto, l'insegnamento dello Shabbat. “Nessuna cultura o identità religiosa ha un giorno come questo nel proprio calendario. Ma il suo è comunque un messaggio universale. Una vita senza del tempo dedicato al rinnovamento, al pari di una vita senza attività fisica, buona musica e senso dell'umorismo, è infatti una vita più povera”.
La quinta regola nasce da una constatazione. Nessun risultato, anche quelli apparentemente più semplici, può essere conquistato senza impegno. D'altronde, riflette rav Sacks,  la parola ebraica che indica il proprio servizio al Signore, avodah, “significa essa stessa 'duro lavoro'”. 


a.s twitter @asmulevichmoked
Insediato il nuovo ambasciatore del cairo
Egitto-Israele, l'asse si rafforza
Mentre si interrompono i rapporti diplomatici tra Teheran e Riad e i funzionari iraniani vengono rispediti in patria, a Tel Aviv arriva, dopo tre anni di assenza, il nuovo ambasciatore che rappresenterà l’Egitto in Israele: è Hazem Khairat, investito dell’incarico lo scorso giugno dal presidente al Fattah al Sisi. Una nomina fortemente simbolica, quella di Khairat, che dimostra concretamente i passi da gigante fatti dalla diplomazia dei due Paesi dopo anni di conflitti e tensioni e che ridisegna in maniera imprevedibile lo scacchiere mediorientale. “Do il benvenuto al nuovo ambasciatore d’Egitto – ha dichiarato il Premier israeliano Benjamin Netanyahu, durante l’ultima riunione di gabinetto – attraverso il quale rafforzeremo ancora di più le relazioni con un Paese arabo importante e centrale”. A condividere il proprio saluto caloroso, anche l’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni: “L’arrivo del nuovo ambasciatore egiziano – ha scritto dal proprio profilo Twitter – esprime in pieno gli accordi di pace tra i due Paesi e le sfide che condividiamo con l’Egitto”. Prima fra tutti, a unirli, la lotta al terrorismo estremista dei Fratelli Musulmani che nell’ultimo anno ha macchiato il Sinai di scontri sanguinosi e attentati e la cui vicinanza al confine rappresenta una minaccia costante per Israele. Il posto assunto da Khairat, in precedenza ambasciatore in Cile e rappresentante dell’Egitto nella Lega Araba, era vacante in Israele dal 2012 dopo che l’allora presidente Morsi aveva richiamato Atef Salem per protesta contro l’operazione israeliana a Gaza 'Pilastro di difesa'.
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ISRAELE
Tel Aviv, una birra in Dizengoff per sconfiggere traumi e paure
In situazioni di crisi, quando una città viene ferita nel suo cuore più pulsante e mentre ancora si stringe nel ricordo di due vite giovanissime si domanda un po’ spaesata come comportarsi sapendo che l’autore di quella strage è ancora in circolazione, c’è un’unica soluzione: birra gratis. O almeno è quello che hanno pensato i gestori di una ventina di bar della via Dizengoff – la stessa del Simta, il locale di fronte al quale ha avuto luogo l’attentato terroristico del primo dell’anno – che hanno preso l’iniziativa di offrire una birra per ogni bevanda acquistata con l’intramontabile ma sempre apprezzata formula 1+1. Una misura straordinaria, perché questa volta la Tel Aviv che di solito dorme meno di New York sembra fare ancora un po’ di fatica a risvegliarsi. Leggi
pilpul

Un patrimonio da tutelare
L’arco del Tempio di Bel, a Palmira, piazzato tra Trafalgar e Times Square? Che storia è questa? La notizia è della scorsa settimana, e si riferisce al progetto finanziato dall’Istituto per l’Archeologia digitale, a cui partecipano gli atenei di Oxford e Harvard. In sostanza, una riproduzione dell’arco verrà stampata con la più grande stampante 3D del mondo e poi esposta in questi due luoghi celeberrimi. La ragione? Il monumento, in parte scampato alla furia del Daesh, è un simbolo del patrimonio culturale umano, e quindi viene esposto per ricordare gli enormi rischi che corre lo stesso patrimonio.
Le collocazioni tradiscono un approccio più cinematografico che elegante, forse. Mi pare però che l’iniziativa sia importante – insieme a misure più sistematiche quali l’istituzione presso l’Unesco dei Caschi blu della cultura – e che annunci un’evoluzione notevole nell’ambito della storia della civiltà. Possono storcere il naso gli studiosi, come hanno fatto in corrispondenza di ipotesi analoghe. Ma devono arrendersi a un dato di fatto: la tecnologia e l’innovazione non possono arrestarsi sul limitare della scienza, neanche di quella umanistica.
Chi conserva, tutela o ristruttura il patrimonio archeologico non può pensarsi immune dalla rivoluzione epocale in cui tutti siamo immersi. A un secolo dalla riflessione di Walter Benjamin (“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”) il progresso compie un salto di qualità ulteriore e sfida il senso comune, le certezze consolidate e anche una dose di comprensibile scetticismo. Ed è un bene che a lanciare questo esperimento siano istituzioni accademiche di chiara fama: o loro, o il parco a tema. Tertium non datur. Non mi sfuggono i rischi, le contraddizioni, le distorsioni che inevitabilmente potranno verificarsi (del resto, già esiste una Venezia a Las Vegas!). Ma trovo che affrontare questa sfida – anche nella ricostruzione della vera Palmira, di cui mi sono occupato su queste colonne alcuni mesi fa! – sia un’ipotesi affascinante, piena di significato e del tutto coerente con l’insegnamento ebraico di “innovare nella tradizione”.


Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas 


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