Roberto
Della Rocca,
rabbino
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La
Torah ci dice che gli ebrei in Egitto non danno ascolto a Moshè "...a
causa del fiato corto e del duro lavoro..." (Shemòt, 6; 9). L’uscita
dall’Egitto rappresenta, ancora oggi, il recupero di quel respiro etico
e culturale che consente una visione per un futuro da costruire con una
leadership autorevole che guida e che non si fa guidare dalle
circostanze.
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Dario
Calimani,
anglista
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Heidegger
cita Evola: a nessuno dei due piace “il mondo della casualità”. E non
piace loro il mondo del calcolo, del compromesso, forse anche degli
espedienti per salvarsi la vita, tipicamente 'ebraici'. A Heidegger e a
Evola piaceva invece, come si sa, il mondo della certezza autoritaria,
del potere forte ed elitario, quello che tiene ben sottomesse le masse
informi e ignoranti e che esclude i diversi, specie se ebrei. A loro
piaceva l'idea apocalittica, della guerra necessaria e rigeneratrice.
L'idea del destino da seguire fino all'autodistruzione e alla morte.Si
ripropone la domanda su che cosa si debba fare con questi pensatori
proclivi a un pensiero antiumanitario e, per quel che ci riguarda,
all’antisemitismo. Liberarsene gettandoli nel trogolo assieme all’acqua
sporca sarebbe la tentazione più facile. Tenerli, invece, e prendersi
cura del loro pensiero insalubre è forse la soluzione più utile, per
portarli a esempio a coloro che si lasciano affascinare dalle invettive
dei profeti populisti e dei tribuni del nostro tempo, che infiammano le
folle giocando sui bassi istinti, sulla paura dell’altro e su idee di
facile presa – l’élite nazionale, la razza pura, il pericolo del
diverso e dell’eterogeneità. Anche perché le idee insalubri sanno
riprodursi da sole, per partenogenesi, o crescono come i funghi dove
meno te l'aspetti.
Del resto, esiste un pensiero che insegna le opposizioni, e un pensiero
che insegna la coesistenza e la convivenza. A saper scegliere ci vuole
coraggio. Sempre.
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Lo scontro si allarga
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Nuove
tensioni al confine tra Libano e Israele dove ieri miliziani di
Hezbollah hanno fatto esplodere un potente ordigno al passaggio di una
pattuglia militare israeliana. Non si registrano vittime, ma la
situazione appare di estrema gravità. Come ricorda il Quotidiano
Nazionale, l’area è infatti limitrofa al Golan siriano dove Hezbollah
libanesi e militari iraniani sostengono energicamente le forze di
Bashar Assad contro milizie ribelli sunnite, “che in parte si ispirano
ad al Qaida o allo Stato islamico”.
Nel frattempo le monarchie sunnite del Golfo appaiono sempre più
compatte al fianco dell’Arabia Saudita nello scontro frontale con il
comune nemico, lo sciita Iran. “Gli schieramenti – scrive la Stampa –
ricalcano quelli della guerra per procura in Yemen, ma questa volta
Riad e Teheran rischiano di scontrarsi in Bahrein, dove ieri mattina
violente manifestazioni hanno squassato i sobborghi della capitale
Manana”.
Di fronte all’emergenza immigrazione drastico intervento del governo
svedese, che ha ripristinato i controlli con la Danimarca. Copenaghen a
sua volta ha risposto con una stretta sui confini con la Germania. Si
tratta di una svolta storica per Stoccolma, che spaventa i vertici
dell’Unione Europea ed è così raccontata dalla Stampa: “La
socialdemocratica Svezia, prima in Europa per numero di rifugiati,
aveva resistito fino all’ultimo alla chiusura delle frontiere auspicate
dalla destra radicale, terza forza politica in Parlamento. Ma il Paese
che dal 2013 garantisce asilo e residenza a tutti i siriani, che offre
un lavoro, sussidi e una casa a circa 110 mila profughi all’anno e che
nel solo 2015 ha ricevuto 163 mila richieste di asilo, ora ha alzato
bandiera bianca”.
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IL MESSAGGIO DEL RAV JONATHAN SACKS
Cinque regole per il nuovo anno
Sognare
a occhi aperti, seguire le proprie passioni, mettersi a disposizione
degli altri, dare peso alle cose che contano, lavorare duramente. Sono
le cinque regole di vita indicate da rav Jonathan Sacks, ex rabbino
capo d'Inghilterra e del Commonwealth e tra le voci più autorevoli
dell'ebraismo mondiale.
Cinque regole da tenere sempre in mente e ancora più valide, sottolinea
il rav in una sua riflessione, all'inizio di un nuovo percorso. Come
l'ingresso in un nuovo anno civile.
“Tutti i grandi leader religiosi sono stati dei sognatori. Mosè ad
esempio, che ha sognato una terra stillante latte e miele. Oppure
Isaia, che ha sognato un mondo di pace. Oppure penso ancora a Martin
Luther King e al suo 'I have a dream', uno dei più bei discorsi del
ventesimo secolo. Se dovessi scrivere un breviario per la felicità –
osserva il rav – la capacità di sognare sarebbe ai primi posti della
lista”.
Venendo al secondo punto, rav Sacks osserva come niente (salute,
successo, fama) giustifichi una vita spesa a fare cose che non ci
piacciono. “Ho visto troppe persone che hanno abbracciato determinate
carriere per dare ai propri partner e ai propri figli anche più del
dovuto e che si sono ritrovate abbandonate o sono state viste come
estranee in casa perché non hanno mai avuto del tempo da dedicare agli
affetti. Chi vive a pieno le proprie passioni – sottolinea il rav –
conduce invece delle esistenze benedette”.
La terza regola il rav dice di averla appresa da Viktor Frankl,
neurologo, psichiatra e filosofo austriaco che sopravvisse ad
Auschwitz. “Frankl – scrive rav Sacks – era solito affermare: non
chiederti cosa vuoi dalla vita, ma invece chiediti cosa la stessa vuole
da te. Anche grazie alle sue parole ho maturato questa convinzione: le
vite più belle sono quelle di coloro che un giorno avvertono una
chiamata o hanno una vocazione”.
Centrale, per quanto concerne il quarto punto, l'insegnamento dello
Shabbat. “Nessuna cultura o identità religiosa ha un giorno come questo
nel proprio calendario. Ma il suo è comunque un messaggio universale.
Una vita senza del tempo dedicato al rinnovamento, al pari di una vita
senza attività fisica, buona musica e senso dell'umorismo, è infatti
una vita più povera”.
La quinta regola nasce da una constatazione. Nessun risultato, anche
quelli apparentemente più semplici, può essere conquistato senza
impegno. D'altronde, riflette rav Sacks, la parola ebraica che
indica il proprio servizio al Signore, avodah, “significa essa stessa
'duro lavoro'”.
a.s twitter @asmulevichmoked
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Insediato il nuovo ambasciatore del cairo
Egitto-Israele, l'asse si rafforza
Mentre
si interrompono i rapporti diplomatici tra Teheran e Riad e i
funzionari iraniani vengono rispediti in patria, a Tel Aviv arriva,
dopo tre anni di assenza, il nuovo ambasciatore che rappresenterà
l’Egitto in Israele: è Hazem Khairat, investito dell’incarico lo scorso
giugno dal presidente al Fattah al Sisi. Una nomina fortemente
simbolica, quella di Khairat, che dimostra concretamente i passi da
gigante fatti dalla diplomazia dei due Paesi dopo anni di conflitti e
tensioni e che ridisegna in maniera imprevedibile lo scacchiere
mediorientale. “Do il benvenuto al nuovo ambasciatore d’Egitto – ha
dichiarato il Premier israeliano Benjamin Netanyahu, durante l’ultima
riunione di gabinetto – attraverso il quale rafforzeremo ancora di più
le relazioni con un Paese arabo importante e centrale”. A condividere
il proprio saluto caloroso, anche l’ex ministro degli Esteri Tzipi
Livni: “L’arrivo del nuovo ambasciatore egiziano – ha scritto dal
proprio profilo Twitter – esprime in pieno gli accordi di pace tra i
due Paesi e le sfide che condividiamo con l’Egitto”. Prima fra tutti, a
unirli, la lotta al terrorismo estremista dei Fratelli Musulmani che
nell’ultimo anno ha macchiato il Sinai di scontri sanguinosi e
attentati e la cui vicinanza al confine rappresenta una minaccia
costante per Israele. Il posto assunto da Khairat, in precedenza
ambasciatore in Cile e rappresentante dell’Egitto nella Lega Araba, era
vacante in Israele dal 2012 dopo che l’allora presidente Morsi aveva
richiamato Atef Salem per protesta contro l’operazione israeliana a
Gaza 'Pilastro di difesa'.
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Un patrimonio da tutelare
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L’arco
del Tempio di Bel, a Palmira, piazzato tra Trafalgar e Times Square?
Che storia è questa? La notizia è della scorsa settimana, e si
riferisce al progetto finanziato dall’Istituto per l’Archeologia
digitale, a cui partecipano gli atenei di Oxford e Harvard. In
sostanza, una riproduzione dell’arco verrà stampata con la più grande
stampante 3D del mondo e poi esposta in questi due luoghi celeberrimi.
La ragione? Il monumento, in parte scampato alla furia del Daesh, è un
simbolo del patrimonio culturale umano, e quindi viene esposto per
ricordare gli enormi rischi che corre lo stesso patrimonio.
Le collocazioni tradiscono un approccio più cinematografico che
elegante, forse. Mi pare però che l’iniziativa sia importante – insieme
a misure più sistematiche quali l’istituzione presso l’Unesco dei
Caschi blu della cultura – e che annunci un’evoluzione notevole
nell’ambito della storia della civiltà. Possono storcere il naso gli
studiosi, come hanno fatto in corrispondenza di ipotesi analoghe. Ma
devono arrendersi a un dato di fatto: la tecnologia e l’innovazione non
possono arrestarsi sul limitare della scienza, neanche di quella
umanistica.
Chi conserva, tutela o ristruttura il patrimonio archeologico non può
pensarsi immune dalla rivoluzione epocale in cui tutti siamo immersi. A
un secolo dalla riflessione di Walter Benjamin (“L’opera d’arte
nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”) il progresso compie un
salto di qualità ulteriore e sfida il senso comune, le certezze
consolidate e anche una dose di comprensibile scetticismo. Ed è un bene
che a lanciare questo esperimento siano istituzioni accademiche di
chiara fama: o loro, o il parco a tema. Tertium non datur. Non mi
sfuggono i rischi, le contraddizioni, le distorsioni che
inevitabilmente potranno verificarsi (del resto, già esiste una Venezia
a Las Vegas!). Ma trovo che affrontare questa sfida – anche nella
ricostruzione della vera Palmira, di cui mi sono occupato su queste
colonne alcuni mesi fa! – sia un’ipotesi affascinante, piena di
significato e del tutto coerente con l’insegnamento ebraico di
“innovare nella tradizione”.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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