Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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"Ogni
inizio è difficile", dicono i Maestri. Se chi inizia si è preso un
impegno assoluto, ciò che segue sarà sicuramente più semplice.
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Anna
Foa,
storica
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Mi è impossibile questa settimana parlare d’altro che di questo.i
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Le parole del Dialogo
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È
una tipica formula di ringraziamento ebraica quella che Bergoglio
rivolge alla platea che assiste alla sua visita in sinagoga, terzo papa
nella storia a varcare la soglia del Tempio Maggiore. Parole scelte non
a caso e che si imprimono in una giornata che segna un capitolo
ulteriore, e decisamente positivo, nei rapporti tra ebrei e cristiani.
Dialogo, incontro, reciproco rispetto. I risultati raggiunti, gli
obiettivi da perseguire. Quello che unisce e quello che divide. Il
rispetto, innanzitutto. Anche nel solco dei valori testimoniati dalla
dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che 50 anni fa ha costituito un
vero e proprio spartiacque nelle relazioni e che è più volte evocata
negli interventi.
Molto positiva la lettura che i giornali fanno della visita di
Bergoglio al Tempio Maggiore di Roma, accolto in sinagoga dal rabbino
capo Riccardo Di Segni, dalla presidente Ruth Dureghello e dal
presidente UCEI Renzo Gattegna. “Al Tempio Maggiore ebrei e cristiani
fanno un nuovo passo verso la conoscenza. E nonostante le differenze,
le diffidenze, il passato e le divisioni, la terza visita di un
pontefice nella sinagoga romana diventa, ammette rav Di Segni,
‘chazaqà’, cioè consuetudine fissa” sottolinea Repubblica.
“Dopo l’abbraccio con il rabbino capo, Bergoglio entra in sinagoga. La
percorre in lungo e in largo, senza fretta, stringendo mani e
restituendo abbracci. Nessuna formalità – scrive la Stampa – solo il
desiderio di testimoniare amicizia”.
Nel merito ampia intervista del Corriere della sera al presidente
dell’Unione. La visita, afferma, è stata molto importante “come segno
di continuità”. Un rapporto positivo, riflette Gattegna, che è
cominciato cinquant’anni fa con il Concilio Vaticano II, è avanzato con
la visita in sinagoga di Giovanni Paolo II ed è “fortunatamente in
continuo progredire”. Il Corriere mette inoltre in rilievo il giudizio
positivo del numero di Pagine Ebraiche andato in stampa questa notte.
Ancora terrorismo palestinese. Una donna israeliana, Dafna Meir, è
stata accoltellata a morte da un terrorista palestinese nella sua
abitazione nell’insediamento di Otniel, in Cisgiordania, alla presenza
di tre dei suoi sei figli. Secondo le ricostruzioni dei media
israeliani, la donna ha combattuto con l’aggressore nel tentativo di
proteggere i propri figli ed è stata colpita più volte. L’attentatore è
in fuga ed è ricercato dall’esercito israeliano. Ancora una volta la
notizia sulla stampa italiana passa praticamente inosservata (solo il
Tempo riporta dell’attentato).
Nuova strage in Siria. È Deir Ezzor il nuovo teatro della guerra in
Siria, città da mesi sotto assedio intorno a cui si combattono le
battaglie più dure tra i miliziani dell’Isis e l’esercito di Assad
sostenuto dai bombardamenti russi. E dopo un rapimento di almeno 400
persone portate a Raqqa, diventata la capitale dello Stato Islamico,
l’agenzia di Stato siriana denuncia un massacro di 300 civili
decapitati secondo il governatore della provincia “per aver aiutato
l’esercito siriano” a portare aiuti nel loro distretto. A fare un punto
della situazione è il Corriere della sera.
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PAGINE EBRAICHE - SPECIALE VISITA BERGOGLIO
Il Dialogo prende Forza
A
poche ore dalla visita di Bergoglio al Tempio Maggiore di Roma il
giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche è andato in stampa con
al suo interno uno speciale con commenti, riflessioni e servizi sul
significato dell'evento.
Le parole del nuovo Dialogo
È
una tipica formula di ringraziamento ebraica quella che Bergoglio
rivolge alla platea che assiste alla sua visita in sinagoga, terzo papa
nella storia a varcare la soglia del Tempio Maggiore. Parole scelte non
a caso e che si imprimono in una giornata che segna un capitolo
ulteriore, e decisamente positivo, nei rapporti tra ebrei e cristiani.
Dialogo, incontro, reciproco rispetto. I risultati raggiunti, gli
obiettivi da perseguire. Quello che unisce e quello che divide. Il
rispetto, innanzitutto. Anche nel solco dei valori testimoniati dalla
dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che 50 anni fa ha costituito un
vero e proprio spartiacque nelle relazioni e che è più volte evocata
negli interventi. “Già a Buenos Aires – ha esordito Bergoglio – ero
solito andare nelle sinagoghe e incontrare le comunità là riunite,
seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche e rendere
grazie al Signore, che ci dona la vita e che ci accompagna nel cammino
della storia”. Un cammino che è fondamentale proseguire e arricchire di
sempre nuovi contenuti, anche tenendo presente “l'inscindibile legame”
che unisce gli ebrei ai cristiani.
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Fianco a fianco per difendere la pace e la vita
Questa
visita giunge a rinsaldare ancor di più il cammino di dialogo, di
amicizia e di fratellanza tra il popolo ebraico, il popolo
dell’Alleanza, e la Chiesa cattolica”. Così il presidente dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, che ha esordito con un
ricordo delle due precedenti visite e riconoscendo la continuità
affermata nel nuovo incontro con Bergoglio. “Sono indelebili nella
nostra memoria – le sue parole – le immagini dello storico abbraccio
che trent’anni fa, il 13 aprile 1986, vide uniti papa Giovanni Paolo II
e il rav Elio Toaff. Ero presente e vidi con i miei occhi le loro
figure avvicinarsi l’una all’altra, stringersi prima le mani e poi
lasciarsi andare in quel gesto, uno appoggiato all’altro, come per
sostenersi a vicenda e annullare quella distanza che per secoli era
stata incolmabile”.
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“Siamo italiani e parte del popolo di Israele” 
“Più
di mezzo secolo fa incontri come questo sarebbero stati difficili da
immaginare”. Così la presidente della Comunità Ruth Dureghello
nell'accogliere Bergoglio. “La sua visita non porta con sé il segno dei
ritualismi. È una tappa importante, in un momento delicato in cui le
religioni devono rivendicare uno spazio nella discussione pubblica per
contribuire alla crescita morale e civile della società”. In questa
prospettiva, ha rilevato, “mi sento di poter dire che ebrei e
cattolici, a partire da Roma, debbono sforzarsi di trovare assieme
soluzioni condivise per combattere i mali del nostro tempo”.
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Lavorare insieme per battere i fanatismi
Un
caldo abbraccio che ripete quello che assurse trent’anni fa a simbolo
della visita di Giovanni Paolo II in Sinagoga e dell’accoglienza
fattagli da rav Toaff e quello che fu al centro della seconda visita,
quella di papa Benedetto, sei anni fa esatti. Un atto che si ripete per
tre volte diventa per il diritto rabbinico una consuetudine, “chazaqà”,
ricorda rav Di Segni. Una visita divenuta una consuetudine, ma senza
l’ovvietà dei rituali usati, che vuole essere soprattutto, sia per la
Comunità ebraica che lo accoglie che per l’illustre visitatore, un
gesto di amicizia, un simbolo forte del calore del rapporto tra
cristiani ed ebrei, della loro fratellanza, della crescita avvenuta nel
dialogo in questi anni. La forza e il calore che devono aver provato,
nel lontano 1959, quando ancora non c’erano stati il Concilio e i suoi
cambiamenti, gli ebrei romani che all’uscita dalla Sinagoga di Sabato
videro il corteo delle macchine di Giovanni XXIII arrestarsi
inaspettatamente sul Lungotevere e il Papa impartir loro la sua
benedizione. Gesti simbolici, certo, ma spesso sono i simboli a
smuovere le montagne.
Anna Foa, storica
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La stagione dei frutti più dolci
Nell’aprile
del 1986, alla vigilia della prima visita di un papa alla sinagoga di
Roma, il rabbino capo della Capitale Elio Toaff mi annunciava in
un’intervista “Una rivoluzione radicale, una rinuncia alla tentazione
di emarginare il popolo ebraico, un gesto che farà nascere rapporti
nuovi fra due fedi che hanno le stesse, comuni radici storiche. Nasce –
aggiungeva il Rav – un nuovo rapporto, su un piede di parità e di
collaborazione.
dede.
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Oltremare
- Gatti |
Ho
controllato, e ieri era il Primo novembre, non il Primo di aprile. Non
che al ministro dello Stato d’Israele Uri Ariel la cosa possa
importare, perchè lui, da buon ebreo, vede solo il calendario ebraico,
e le sue priorità nella vita e nella politica sono dettate
esclusivamente dalla Halakhah, la legge ebraica. Io invece, nella mia
natura imperfetta di cittadina doppia, con passaporti multipli e
multiple nazionalità, ho pensato che il suo ministero dell’Agricoltura
avesse fatto un bel pesce d’aprile fuori stagione. Invece no,
pubblicato con sigilli e firme ufficiali: siccome l’esuberanza
riproduttiva di gatti (e cani) in Israele costringe ad atti di crudeltà
quali la castrazione chimica, che secondo opinioni rabbiniche sono
contro la Halakhah, propone di “trasferire” i suddetti animali in un
paese estero che ne accetti la transumanza. Proposte? Non pare che ci
sia la fila di ambasciatori fuori dal ministero.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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In
cornice - contro a Roma
con il ministro Kyenge |
Dal
testo della Torah e dal commento di Rashì sulla parashà di Kòrach non è
chiaro se la rivolta sia stata determinata da problemi ideologici
(tutto il popolo ebraico è santo e non ha bisogno di leader)...
dfdf e non ha bisogno di leader)...
dfdf e
non ha bisogno di leader)...
dfdfe
non ha bisogno di leader)...
dfdfe
non ha bisogno di leader)...
Daniele Liberanome, critico d'arte
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