Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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"Ogni
inizio è difficile", dicono i Maestri. Se chi inizia si è preso un
impegno assoluto, ciò che segue sarà sicuramente più semplice.
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Anna
Foa,
storica
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"La
violenza dell'uomo sull'uomo è incompatibile con qualunque
religione, tantomeno con le tre grandi fedi monoteisticher"
(Papa Francesco alla Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2016)
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Le parole del Dialogo
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È
una tipica formula di ringraziamento ebraica quella che Bergoglio
rivolge alla platea che assiste alla sua visita in sinagoga, terzo papa
nella storia a varcare la soglia del Tempio Maggiore. Parole scelte non
a caso e che si imprimono in una giornata che segna un capitolo
ulteriore, e decisamente positivo, nei rapporti tra ebrei e cristiani.
Dialogo, incontro, reciproco rispetto. I risultati raggiunti, gli
obiettivi da perseguire. Quello che unisce e quello che divide. Il
rispetto, innanzitutto. Anche nel solco dei valori testimoniati dalla
dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che 50 anni fa ha costituito un
vero e proprio spartiacque nelle relazioni e che è più volte evocata
negli interventi.
Molto positiva la lettura che i giornali fanno della visita di
Bergoglio al Tempio Maggiore di Roma, accolto in sinagoga dal rabbino
capo Riccardo Di Segni, dalla presidente Ruth Dureghello e dal
presidente UCEI Renzo Gattegna. “Al Tempio Maggiore ebrei e cristiani
fanno un nuovo passo verso la conoscenza. E nonostante le differenze,
le diffidenze, il passato e le divisioni, la terza visita di un
pontefice nella sinagoga romana diventa, ammette rav Di Segni,
‘chazaqà’, cioè consuetudine fissa” sottolinea Repubblica.
“Dopo l’abbraccio con il rabbino capo, Bergoglio entra in sinagoga. La
percorre in lungo e in largo, senza fretta, stringendo mani e
restituendo abbracci. Nessuna formalità – scrive la Stampa – solo il
desiderio di testimoniare amicizia”.
Nel merito ampia intervista del Corriere della sera al presidente
dell’Unione. La visita, afferma, è stata molto importante “come segno
di continuità”. Un rapporto positivo, riflette Gattegna, che è
cominciato cinquant’anni fa con il Concilio Vaticano II, è avanzato con
la visita in sinagoga di Giovanni Paolo II ed è “fortunatamente in
continuo progredire”. Il Corriere mette inoltre in rilievo il giudizio
positivo del numero di Pagine Ebraiche andato in stampa questa notte.
Ancora terrorismo palestinese. Una donna israeliana, Dafna Meir, è
stata accoltellata a morte da un terrorista palestinese nella sua
abitazione nell’insediamento di Otniel, in Cisgiordania, alla presenza
di tre dei suoi sei figli. Secondo le ricostruzioni dei media
israeliani, la donna ha combattuto con l’aggressore nel tentativo di
proteggere i propri figli ed è stata colpita più volte. L’attentatore è
in fuga ed è ricercato dall’esercito israeliano. Ancora una volta la
notizia sulla stampa italiana passa praticamente inosservata (solo il
Tempo riporta dell’attentato).
Nuova strage in Siria. È Deir Ezzor il nuovo teatro della guerra in
Siria, città da mesi sotto assedio intorno a cui si combattono le
battaglie più dure tra i miliziani dell’Isis e l’esercito di Assad
sostenuto dai bombardamenti russi. E dopo un rapimento di almeno 400
persone portate a Raqqa, diventata la capitale dello Stato Islamico,
l’agenzia di Stato siriana denuncia un massacro di 300 civili
decapitati secondo il governatore della provincia “per aver aiutato
l’esercito siriano” a portare aiuti nel loro distretto. A fare un punto
della situazione è il Corriere della sera.
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PAGINE EBRAICHE - SPECIALE VISITA BERGOGLIO
Il Dialogo prende forza
A
poche ore dalla terza visita di un papa alla sinagoga di Roma, il
giornale dell'ebraismo italiano è da oggi in distribuzione con molte
pagine di commenti, riflessioni e servizi dedicate all'evento. Sfoglia in anteprima le prime pagine del numero di Febbraio.
Le parole del nuovo Dialogo
È
una tipica formula di ringraziamento ebraica quella che Bergoglio
rivolge alla platea che assiste alla sua visita in sinagoga, terzo papa
nella storia a varcare la soglia del Tempio Maggiore. Parole scelte non
a caso e che si imprimono in una giornata che segna un capitolo
ulteriore, e decisamente positivo, nei rapporti tra ebrei e cristiani.
Dialogo, incontro, reciproco rispetto.
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"Fianco a fianco per difendere la pace e la vita"
Questa
visita giunge a rinsaldare ancor di più il cammino di dialogo, di
amicizia e di fratellanza tra il popolo ebraico, il popolo
dell’Alleanza, e la Chiesa cattolica”. Così il presidente dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, che ha esordito con un
ricordo delle due precedenti visite e riconoscendo la continuità
affermata nel nuovo incontro con Bergoglio.
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“Siamo italiani e parte del popolo di Israele”
“Più
di mezzo secolo fa incontri come questo sarebbero stati difficili da
immaginare”. Così la presidente della Comunità Ruth Dureghello
nell'accogliere Bergoglio. “La sua visita non porta con sé il segno dei
ritualismi. È una tappa importante, in un momento delicato in cui le
religioni devono rivendicare uno spazio nella discussione pubblica per
contribuire alla crescita morale e civile della società”.
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Lavorare insieme per battere i fanatismi
Un
caldo abbraccio che ripete quello che assurse trent’anni fa a simbolo
della visita di Giovanni Paolo II in Sinagoga e dell’accoglienza
fattagli da rav Toaff e quello che fu al centro della seconda visita,
quella di papa Benedetto, sei anni fa esatti. Un atto che si ripete per
tre volte diventa per il diritto rabbinico una consuetudine, “chazaqà”,
ricorda rav Di Segni. Una visita divenuta una consuetudine, ma senza
l’ovvietà dei rituali usati, che vuole essere soprattutto, sia per la
Comunità ebraica che lo accoglie che per l’illustre visitatore, un
gesto di amicizia, un simbolo forte del calore del rapporto tra
cristiani ed ebrei, della loro fratellanza, della crescita avvenuta nel
dialogo in questi anni. La forza e il calore che devono aver provato,
nel lontano 1959, quando ancora non c’erano stati il Concilio e i suoi
cambiamenti, gli ebrei romani che all’uscita dalla Sinagoga di Sabato
videro il corteo delle macchine di Giovanni XXIII arrestarsi
inaspettatamente sul Lungotevere e il Papa impartir loro la sua
benedizione. Gesti simbolici, certo, ma spesso sono i simboli a
smuovere le montagne.
Anna Foa, storica
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La stagione dei frutti più dolci
Nell’aprile
del 1986, alla vigilia della prima visita di un papa alla sinagoga di
Roma, il rabbino capo della Capitale Elio Toaff mi annunciava in
un’intervista “Una rivoluzione radicale, una rinuncia alla tentazione
di emarginare il popolo ebraico, un gesto che farà nascere rapporti
nuovi fra due fedi che hanno le stesse, comuni radici storiche. Nasce –
aggiungeva il Rav – un nuovo rapporto, su un piede di parità e di
collaborazione.
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“Ha richiamato i sentimenti”
“Volendo
operare una sintesi, si potrebbe dire così. Che da parte ebraica ci
sono stati più contenuti, mentre il papa si è espresso facendo
maggiormente leva sui sentimenti”. Questa l’impressione ricavata dal
presidente dei rabbini italiani, rav Giuseppe Momigliano, che al pari
di altri Maestri ha potuto assistere allo svolgimento della cerimonia
da una prospettiva ravvicinatissima. Molto apprezzabile, dice,
“l’ottima strutturazione di tutti i discorsi”.
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“Molto calore, poca sostanza”
“Non
posso dire di essere rimasto deluso, perché in genere non mi creo
aspettative, ma mi sembra che il discorso di Bergoglio in sinagoga sia
stato uno dei meno entusiasmanti che gli ho sentito pronunciare”.
Questa l’impressione
a caldo di Sergio Minerbi, diplomatico, scrittore, considerato fra i
massimi esperti delle relazioni fra Israele e il Vaticano, in visita
del pontefice al Tempio Maggiore di Roma. “Non si può dire che la sua
presenza sia stata una novità assoluta – sottolinea Minerbi – visto
che prima di lui già altri due pontefici avevano varcato la stessa
soglia, Wojtyla e Ratzinger”.
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“L’affermazione di un’Alleanza irrevocabile”
"Sono
molte le ragioni di fondato ottimismo, a partire dalla conferma del
comune impegno di ebrei e cristiani contro le forze avverse dei nostri
tempi. Il più significativo dei presupposti per lavorare bene
insieme”. Bilancio della visita decisamente positivo per Lisa Billig,
rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell’American Jewish Committee.
“Siamo minacciati da un nemico terribile, che agisce nel solco di
terrorismo ed estremismo ideologico e religioso. Le parole pronunciate
in sinagoga – osserva – costituiscono un eccellente argine comune”. “È
fondamentale che gli ebrei si rendano conto che in questa situazione vi
sono complicazioni interne molto forti, di cui Bergoglio ha
evidentemente tenuto conto” dice Alberto Melloni, storico del
Cristianesimo.
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L'INIZIATIVA MIUR-UCEI
In viaggio per la Memoria
Parte
ancora una volta da Cracovia il tradizionale Viaggio della Memoria
organizzato dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della
Ricerca con il supporto dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Coinvolti oltre un centinaio da tutto il paese, che nel pomeriggio
odierno visiteranno i resti del ghetto nazista della città polacca e
domani si confronteranno invece con l'orrore di Auschwitz-Birkenau. Al
loro fianco il ministro Stefania Giannini, il presidente UCEI Renzo
Gattegna e il presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini. E
soprattutto tre Testimoni diretti dell'inferno – Sami Modiano e le
sorelle Andra e Tatiana Bucci – che ancora una volta si prestano con
straordinaria generosità a questa iniziativa.
Partecipano al viaggio, tra gli altri, anche l'assessore UCEI Victor
Magiar; il rabbino Roberto Della Rocca; l'ambasciatore Sandro De
Bernardin; il direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma
Marcello Pezzetti; lo storico Alberto Melloni; Marika Venezia, moglie
dell'indimenticato Testimone Shlomo; Anna Nardini, coordinatrice delle
iniziative per il Giorno della Memoria di Palazzo Chigi.
(Nell'immagine, Marika Venezia assieme al presidente Gattegna
e a rav Roberto Della Rocca al momento della partenza)
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vittima del terrorismo palestinese
Dafna Meir (1978-2016)
Fino all’ultimo Dafna Meir è stata una madre coraggio.
Aggredita e accoltellata sulla porta di casa a Otniel, in Cisgiordania,
da un terrorista palestinese, ha combattuto con tutte le sue forze per
proteggere i suoi figli.
Le ferite infertegli dall’attentatore, poi fuggito, sono state letali,
ma Dafna, 38 anni, è riuscita a difendere i suoi bambini; una delle
quali ha assistito terrorizzata alla scena. Infermiera al Soroka
Medical di Beer Sheba, Dafna Meir era anche naturopata, specializzata
in cure per favorire la fertilità. Aveva decine di studenti che
l’ammiravano e rispondeva a domande di medicina e Halakha, la legge
ebraica, su un sito dedicato.
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qui milano - il ricordo dell'attentato di parigi
Yoav, l’eroe dell’Hypercacher:
una vita per non dimenticare
Questa
sera nelle sale del cinema Anteo di Milano sarà proiettato Io sono
Yoav, la pellicola che racconta la storia di Yoav Hattab eroe
dell'Hypercascher assassinato un anno fa dai terroristi islamici mentre
tentava di salvare i molti ostaggi presenti. Prima della proiezione -
organizzata dalla Comunità ebraica milanese -, una tavola rotonda (ore
20.30) che vedrà protagonisti rav Benjamin Hattab, rabbino capo di
Tunisi e padre di Yoav, e il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib. A
confrontarsi con loro, in una serata condotta dal direttore della
redazione giornalistica dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Guido Vitale, anche il giornalista Ricardo Franco Levi, il direttore
del programma DOC 3 di Rai 3 Fabio Mancini, che ha trasmesso il
documentario, e le realizzatrici Stefania Miretti e Sabina Fedeli.
“Affrontare la morte di mio figlio Yoav è stato un dolore immenso per
tutta la famiglia, e rivedere le sue foto in un film non è stato certo
facile”. Racconta così l’ultimo anno Benjamin Hattab, rabbino capo di
Tunisi e padre di Yoav, una delle quattro vittime dell’attacco di un
terrorista islamico all’Hypercacher di Porte de Vincennes nel gennaio
scorso. Il film di cui parla è il documentario Io sono Yoav, girato e
autoprodotto dalle giornaliste Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amelia
Visintini e montato da Mescalito Sangiovanni, andato in onda su Rai
Tre. Leggi
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Oltremare
- Periferia |
Di
recente il bisogno di distrazione è aumentato. Le notizie cui ogni
israeliano è assuefatto, nello stillicidio del notiziario orario o
(forse peggio) nel ricapitolo serale delle otto, sono sempre meno
edificanti. E anche grazie ad uno stile giornalistico piuttosto
aggressivo, grazie al quale ormai si mostra tutto e subito, quasi senza
filtri, ci sono giorni in cui bisogna alzare le difese.
Io, come tutti sanno, per alzare le difese e per distrarmi vado al
cinema. Poi finisco spesso per preferire il cinema israeliano, che
ammettiamolo è un po’ un tirarsi la zappa sui piedi: per distrarsi
forse sarebbe meglio una commedia inglese o un noir francese. Ma ho
ancora il riflesso dell’ulpan, dove l’insegnante ci spingeva ad andare
al cinema per assorbire la cultura israeliana al di lá della
grammatica. Quindi ho visto di recente in sequenza “Hayored lemala
(Colui che scende verso l’alto)” e “Chatuna mi-niyar (Matrimonio di
carta).
Daniela Fubini, Tel Aviv
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