Il presidente Ucei al Corriere della Sera
“La visita, un inno alla vita”

Schermata 01-2457406 alle 12.11.20Un incontro nel “segno della continuità”. Questa l’impressione del presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, raccolta in un ampia intervista apparsa oggi sul Corriere della Sera, all’indomani della visita di papa Bergoglio al Tempio maggiore di Roma.
Un rapporto positivo, riflette Gattegna, che è cominciato cinquant’anni fa con il Concilio Vaticano II, è avanzato con la visita in sinagoga di Giovanni Paolo II ed è “fortunatamente in continuo progredire”. Il Corriere mette inoltre in rilievo il giudizio positivo del numero di Pagine Ebraiche andato in stampa questa notte.

Renzo Gattegna è il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Ha partecipato a tutte e tre le visite dei papi al tempio Maggiore di Roma.
«Devo dire che si è trattato sempre di gesti compiuti da uomini molto coraggiosi, e parlo sia degli ospiti che degli ospitanti. Non hanno avuto timore di separarsi da un passato che hanno riconosciuto come negativo, e hanno avuto la coerenza eccezionale di avviare un’epoca nuova, che doveva essere iniziata».

In che cosa si è distinta la visita di papa Francesco dalle precedenti due?
«È stata molto importante come segno di continuità del dialogo tra ebrei e cristiani. Un rapporto positivo cominciato cinquant’anni fa con il Concilio Vaticano II e avanzato con la visita in sinagoga di Giovanni Paolo II e che fortunatamente è in continuo progredire. Le frasi pronunciate dagli ultimi papi hanno completamente capovolto la posizione della Chiesa verso gli ebrei».

Non vi aspettavate dal Pontefice qualche parola più forte contro l’idea della conversione degli ebrei?
«Dal 2013 Bergoglio ha sancito chiaramente che la conversione che la Chiesa chiede agli idolatri non è applicabile agli ebrei. Non ci sono equivoci su questo. E adesso ha anche sgombrato il campo da un’altra polemica. Perché ha spiegato che la definizione di “fratelli maggiori” non ha connotazioni negative, né comporta un’idea di conglobazione de gli ebrei nel cristianesimo».

Da un punto di vista laico, ritiene che questa visita abbia lanciato anche un messaggio politico?
«La Chiesa cattolica, oltre a rappresentare la cristianità, svolge anche un ruolo politico. Questo ruolo può essere molto utile se facilita il dialogo tra parti contrapposte, con azioni diplomatiche. In passato l’intervento cattolico ha risolto guerre tribali in Africa».

E oggi?
«In questo momento storico vengono colpiti sia gli ebrei che i cristiani. Entrambi sono considerati nemici da quelle forze che vogliono governare con i l caos e con il terrore. Ebrei e cristiani sono ritenuti in fedeli, miscredenti, nemici della loro divinità, e quindi da uccidere anche attraverso azioni suicide di donne e bambini inconsapevoli. Potrei dire che questo incontro in Sinagoga è stato un inno alla vita in contrapposizione all’inno alla morte».

Che cosa pensa della facilità con cui spesso si attribuisce a un presunto difetto di integrazione la responsabilità della guerra lanciata dal radicalismo islamico?
«In Italia ci sono comunità ebraiche da 22 secoli, cioè da prima dell’epoca della Roma imperiale. E gli ebrei italiani sono veramente italiani, perché hanno sempre rispettato scrupolosamente le leggi e le tradizioni del Paese in cui vivono. È questa la chiave dell’integrazione e della convivenza».

Il mensile dell’Ucei «Pagine ebraiche» pubblica un numero speciale per raccontare la visita di papa Francesco, e ne dà un giudizio molto positivo. Come può progredire ulteriormente il dialogo tra cristiani ed ebrei?
«I vertici teologici ecclesiastici riconoscono ripetutamente che l’ebraismo è “radice sacra” dell’identità cristiana e che l’Alleanza del popolo ebraico con Dio è irrevocabile. Credo che questi messaggi vadano trasmessi meglio a tutta la popolazione, così come quello che l’antisionismo è una forma mascherata di antisemitismo. E poi: finora abbi amo e messo dichiarazioni separate. Spero che presto ci sia un messaggio comune. Sempre nel rispetto della reciproca diversità, ma comune».

Daria Gorodisky, Corriere della sera

(Nell’immagine papa Bergoglio saluta Piero Terracina, Testimone della Shoah)

(18 gennaio 2016)