Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Zav,
"comanda" - parola che dà nome alla parashà letta ieri - è espressione
inusuale che invita alla sollecitudine. Un'indicazione di comportamento
e di reazione all'Europa confusa e incerta?
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Ogni
volta che leggo o ascolto leggere la Meghillath Ester, penso che ciò si
che mette in scena è l’utopia come mondo alla rovescia. Per un giorno
s’inverte la relazione tra oppressi e oppressori. Gli oppressori vi
fanno una figura miseranda, mentre il passato viene rappresentato dal
punto di vista dei vinti e degli oppressi che appaiono come i veri
vincitori della storia. Poi la storia riprende il suo corso. Fino
all’anno dopo.
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Catturato il terzo terrorista delle stragi di Bruxelles
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La
polizia belga ha arrestato il “killer con il cappello”, il terzo
terrorista catturato dalle videocamere dell’aeroporto Zaventem di
Bruxelles. Si tratta di Faysal Cheffou, giornalista, fortemente
radicalizzato, proveniente dal quartiere di Maelbeek e riconosciuto da
un tassista. Come già altri terroristi della strage della capitale
belga, il Corriere spiega che Cheffou era già noto alla polizia locali.
“Uscito di prigione era diventato una sorta di agit-prop accanto a una
tendopoli per rifugiati”, riporta Repubblica, spiegando che il sindaco
di Bruxelles aveva denunciato Cheffou alla polizia perché ritenuto un
reclutatore di nuove leve per la jihad ma alla denuncia non aveva fatto
seguito nessuna iniziativa. A Salerno intanto è stato arrestato un
uomo, Djamal Eddine Ouali, accusato di far parte di un organizzazione
criminale dedita alla produzione di carte d’identità e passaporti
falsi, forniti, tra gli altri, alla cellula terroristica dell’Isis di
Bruxelles (Repubblica).
Come combattere il terrorismo dell’Isis. Su La Stampa il direttore
Maurizio Molinari scrive dell’importanza del contributo dei civili
nella lotta al terrorismo prendendo ad esempio la denuncia del tassista
belga del terzo uomo della strage di Bruxelles. “Si tratta di
consolidare dal basso un patto sociale fra abitanti e forze di
sicurezza dove la collaborazione sta nel rilevare comportamenti in
stridente contrasto con la normalità”, scrive Molinari. Su Repubblica
invece Federico Rampini cita l’analista Olivier Roy e invita a non
porre il problema del radicalismo in relazione alle condizioni
socioeconomico ma a un problema di politiche di integrazione. Rampini
invita anche a usare cautela quando si parla di ghetto di Maelbeek: “I
ghetti – scrive il giornalista – nella storia furono quartieri dove
venivano confinate comunità come quella ebraica in tempi di
discriminazioni e persecuzioni. Non è questo che descrive il Belgio di
oggi, né la parabola esistenziale dei suoi terroristi”.
Alfano, la verità su Regeni e l’impegno antiterrorismo. “Voglio
ribadire ai genitori di Giulio e ai cittadini che il governo italiano
avrà il nome degli assassini”, la promessa del ministro degli Interni
Angelino Alfano alla famiglia dell’italiano rapito, torturato e ucciso
in Egitto e di cui non sono ancora stati trovati i responsabili.
Intervistato dal Corriere, Alfano vuole che le autorità egiziane
lascino spazio agli investigatori italiani per trovare chi ha ucciso
Regeni (soprattutto dopo che nelle scorse era uscita una ricostruzione
dei fatti ritenuta poco credibile). Sul fronte del terrorismo e la
differenza tra la situazione italiana e quella belga, il ministro
spiega che in Italia c’è la collaborazione da parte della realtà
islamica: “nelle ultime settimane abbiamo eseguito un arresto e
un’espulsione di persone segnalate proprio dalle loro comunità. In
Italia i cattolici fanno il Giubileo, i musulmani si sentono integrati
e gli ebrei sono al sicuro. Questa è la verità, finora”.
Il giusto tributo al Talmud. Sull’inserto domenicale del Sole 24 Ore
Giulio Busi spiega l’importanza del progetto di di Traduzione del
Talmud Babilonese in italiano avviato nel 2011 grazie alla firma del
protocollo d’intesa da parte della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, il Miur, il Cnr, e l’UCEI. “È il libro più vilipeso,
cancellato e bruciato della storia occidentale. Portato al rogo a
carrettate, imbrattato d’inchiostro per renderne illeggibili le carte,
letteralmente strappato di mano ai suoi lettori”, scrive Busi,
ricordando il trattamento riservato al Talmud nel corso dei secoli e
definendo la traduzione una “giusta seppur tardiva riparazione”.
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venezia - i 500 anni del ghetto La Storia secondo Simon Schama "Saperla raccontare è un'arte"
Si
apriranno ufficialmente martedì sera, al Teatro La Fenice, le
iniziative per il Cinquecentenario del Ghetto di Venezia. In scena la
Sinfonia n.1 in re maggiore Titano di Gustav Mahler, eseguita
dall'orchestra diretta da Omer Meir Wellber. Mentre il compito di
raccontare il Ghetto, la sua storia e le sue complessità, è stato
affidato allo storico Simon Schama.
Un appuntamento molto
atteso che segna l'avvio di un fitto calendario di eventi che
renderanno la città lagunare e la sua comunità ebraica autentiche
protagoniste della stagione culturale europea.
Temi e sfide cui è
dedicato un ampio dosser che appare sul numero di marzo del mensile
UCEI Pagine Ebraiche sotto il titolo "Quando la storia vale una presa
di coscienza".
Curato da Ada Treves, il
dossier sarà distribuito a tutti i presenti. Tra i protagonisti di
queste pagine, proprio Simon Schama. Tra le voci più autorevoli della
storiografia moderna e docente in alcune delle università più
prestigiose del mondo, Schama ha raccontato al direttore di Pagine
Ebraiche Guido Vitale la sua prospettiva sul senso dell'insegnamento e
sull'ebraismo.
Harvard, un’intera classe con il fiato sospeso. Il docente non rinuncia
al suo inconfondibile aplomb britannico e vola sulla grande Storia e
sulle storie di tutti, spiega l’arte e l’eroismo, l’identità e la
politica. Tutto si frammenta e si ricompone in un caleidoscopio
prodigioso, sbalorditivo. Poi, come talvolta accade di fronte a ciò che
è enormemente complesso ed estremamente semplice allo stesso tempo, uno
studente rompe l’incanto: “Professor Schama, i miei genitori non pagano
volentieri una retta di decine di migliaia di dollari per farmi uscire
dalle sue lezioni più confuso di quanto non ci sia entrato”. Simon
Schama si interrompe giusto un attimo, gli rivolge senza scomporsi uno
sguardo intenerito: “Caro amico, questo è esattamente l’unico motivo
per cui valga la pena di pagare una retta. Un fenomeno che si chiama
educazione”. Da allora lo storico londinese ha continuato la sua ascesa
ai vertici dell’accademia internazionale e oggi è considerato una delle
voci più autorevoli della Columbia University. Una combinazione
inestricabile di enorme erudizione e di straordinarie capacità
comunicative ne fanno un punto di riferimento per il mondo accademico
come per milioni di comuni cittadini. Per lui la Storia è per tutti, è
di tutti. E va raccontata con ogni a disposizione. Con l’università e
con i libri. Con la conoscenza dell’arte e con il linguaggio della
televisione. Ora Simon Schama si appresta a sbarcare a Venezia. Venti
minuti per raccontare cinque secoli. I 500 anni che ci separano
dall’istituzione da parte della Serenissima di quello che è divenuto
l’archetipo di tutti i ghetti, di tutte le separazioni. Appena un
bagliore in Laguna, forse la sua prova più difficile, per spiegare il
segreto del simbolo che ha reso immediatamente riconoscibili in tutto
il mondo le tormentate, bimillenarie vicende dell’ebraismo italiano.
Professor Schama, lei è
considerato il più autorevole fra gli studiosi che vogliono mettere le
chiavi della Storia nelle mani della gente. L’accademia le va stretta?
La conoscenza della Storia – spiega – non risponde solo alle esigenze
degli accademici. Perché è uno studio che ci consente di capire davvero
non solo quello che è accaduto, ma anche quello che sta accadendo e
quello che ci riserva il futuro. È un modo per scandagliare l’animo
umano. Per capire l’energia che sta alla base della sua capacità
creativa.
Il primo volume della sua Storia degli
ebrei (In cerca delle parole, Mondadori editore per l’edizione
italiana) ci accompagna dalle origini del popolo ebraico al 1492. Il
secondo, attesissimo, libro dovrà condurci fino ai giorni nostri. Ma
sono in molti a chiedersi come, e da dove, riaprirà il dialogo con i
suoi milioni di lettori.
Si aprirà proprio a Venezia, e proprio con le vicende del primo ghetto.
È quello il punto di svolta, il nostro inizio per comprendere il
presente. Vorrei attraversare questi ultimi cinque secoli e rendere
visibile il percorso. Il Rinascimento ebraico, l’affermazione della
parola stampata, i Lumi, il graduale, faticoso ritorno degli ebrei
nelle terre da cui erano stati cacciati, l’emigrazione dal vecchio
mondo al nuovo, Hollywood, gli orrori della Shoah, il ristabilimento
dello Stato di Israele.
Guido Vitale
(Disegno di Giorgio Albertini)
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Venezia - I 500 anni del Ghetto
Una storia di carta e di vetro
È
un rincorrersi di ricordi, a Cannaregio, da un lato all'altro del calle
dove si specchiano l'una nell'altra le vetrine di Enzo Aboaf e di Diego
Baruch Fusetti. A pochi passi dal Campo di Ghetto Nuovo "La stamperia
del Ghetto" è ora un locale luminoso, dominato dalle immagini di Lele
Luzzati appese ovunque e dalla vecchia pressa, non più in uso da anni.
"Ne sono passati quasi venti da quando abbiamo iniziato questa
attività, ci conoscono in tutto il mondo... ma è tutto cambiato: una
volta c'erano le crociere che per noi erano importantissime, a ogni
arrivo frotte di stranieri, americani soprattutto, venivano subito da
me e compravano di tutto. Ora in pratica sono le stampe di Luzzati che
mi garantiscono la sopravvivenza". Eppure il negozio nasconde tesori,
stampe antiche di grande pregio, da sempre la grande passione di Enzo
Aboaf, i cui aneddoti sono storia anche della fatica di una comunità,
che è contemporaneamente viva e vitale e svuotata da un drammatico calo
demografico.
Ada Treves Leggi
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venezia - i 500 anni del ghetto
Rav Scialom Bahbout: "Una data
che interroga la nostra società"
In
principio furono gli ebrei tedeschi e quelli italiani che abitavano
nelle zone limitrofe di Venezia, poi gli spagnoli e infine i levantini.
Una popolazione che al suo picco massimo raggiunse i 5000 individui
concentrati in uno stretto spazio vitale. Questo è il Ghetto di
Venezia, un luogo concepito come strumento di controllo sociale dalla
Serenissima e poi di fatto divenuto, con tutti i limiti del caso, luogo
di incontro tra popoli e culture. Un laboratorio sperimentale di genti
dalle origini e tradizioni diverse che, proprio nello storico crocevia
fra Oriente e Occidente, dovettero imparare a convivere scendendo
spesso a compromessi per affrontare unitamente le condizioni ostili in
cui versavano.
Da questa fucina multiculturale nella segregazione emersero personaggi
decisamente singolari: Leon da Modena in primis, rabbino brillante che
giocava a dadi, che oltre a scrivere libri dissipò enormi quantità di
denaro. Simone Luzzatto, prominente rabbino e straordinario polemista,
che in un momento di crisi scrisse un testo a difesa dell'importanza
economica degli ebrei a Venezia, facendo rientrare un’espulsione ormai
annunciata. Infine Sara Copio Sullam poetessa e figura singolare che
ospitò nel suo salotto letterario nobili veneziani e che a causa del
suo anticonformismo fu accusata di aver negato l’immortalità
dell’anima. Un mosaico di esperienze personali e condivise che per
secoli attraversarono e si intrecciarono alla storia della Serenissima
ben oltre quelle porte entro le quali erano rinchiuse.
A distanza di 500 anni ci si interroga ora se del Ghetto degli ebrei
sia rimasto solo un museo a cielo aperto o se persistano ancora le
radici di quello spirito identitario che Simone Luzzatto definiva
“l’identità dell’essenzialità”.
“Un quesito di non facile soluzione” ammette Rav Scialom Bahbout,
rabbino capo della Comunità ebraica di Venezia da meno di due anni, ma
che all’apparir del vero conosce profondamente le consuetudini e le
persone che da sempre hanno caratterizzato il microcosmo dell’ebraismo
veneziano.
Michael Calimani
(Foto di Paolo Della Corte) Leggi
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Il messaggio in ebraico dei ribelli siriani
“Combattiamo per la democrazia
e chiediamo l'aiuto di Israele”
"Noi
del movimento Ghad al-Suri esortiamo tutte le forze nazionali a
rovesciare la tirannia e a mettere in piedi una democrazia. Poi
costruiremo il governo su cui si accorderanno tutte le forze nazionali
siriane e i movimenti, un governo che garantisca i diritti di tutti”. È
questo il messaggio, redatto in ebraico, inviato attraverso le pagine
del giornale israeliano Ma’ariv Hashavua al pubblico di Israele, con
l’intenzione del neonato gruppo di opposizione al regime siriano di
Bashar Assad di sensibilizzarne l’opinione pubblica. Ghad al-Suri ha
anche agito nella speranza di mettersi in contatto con l’ufficio del
Primo ministro e organizzare un incontro con un rappresentante della
diplomazia israeliana. E mentre nel paese continuano a confluire
attraverso il confine migliaia di persone rimaste ferite nella guerra
civile che infiamma la Siria, Israele viene visto sempre di più come un
alleato nella difesa dei valori della democrazia e dei diritti umani.
La diplomazia israeliana, dal canto suo, continua a professarsi
neutrale nel conflitto, e gli ufficiali della sicurezza sono pessimisti
sul fatto che una risoluzione possa mai essere positiva per lo Stato
ebraico.
(Nell'immagine, un medico israeliano cura un giovane siriano ricoverato allo Ziv Hospital di Safed, nel nord d'Israele) Leggi
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Il mio Purim
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Purim Keppurim!
Sono le sei del pomeriggio, lo annuncia il cucù svizzero sopra la ghiacciaia, o forse già il nostro primo frigorifero.
Mio fratellino è a balia presso una coppia di ambulanti ebrei a
Noisy-le Grande, vicino a Parigi. Nella grande cucina è indaffarata
Wanda, la cameriera polacca che lavora e dorme in casa nostra. La
grande cucina? È l’unica grande delle tre stanze del nostro
appartamento in rue Vieille du Temple. Grande allo sguardo di un
bambino di otto anni, figlio di reduci dai campi di sterminio polacchi
approdati a Parigi all’inizio del 1946. Wanda non ha impiegato molto
tempo per compormi il piattino della cena fredda. Oggi posso dire che a
casa la mamma era decisamente una salutista ante tempo, per cena, lo
elenco in francese: aricots verds, tomate, e Petit Suisse. Per me cena
infame e indigesta. Il pane non si magia perché fa ingrassare. Ho
probabilmente dato un’occhiata distratta alla ghiacciaia-forse
frigorifero, e constatato che dopo l’estrazione della mia cena era
rimasta vuota. È la sera di Purim.
Haim Baharier
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L’economia della paura |
Continueranno,
se ne può stare certi. Il come, il quanto e il dove è una variabile
dipendente dalle circostanze, in sé mutevoli, dello scenario
geopolitico internazionale così come delle dinamiche interne ai gruppi
del radicalismo islamista. Ma è certo che continueranno a distribuire
terrore e a dispensare panico poiché senza l’uno e in mancanza
dell’altro non esisterebbero. Il nocciolo stesso del fondamentalismo a
base religiosa, nella sua versione islamista, sta nel ricorso esibito,
rivendicato, ripetuto alla violenza contro i civili indifesi. Si
legittima in tali termini. In Europa come nel resto del mondo, laddove
si trova ad operare. Il resto, lo usa come mero strumento di corredo.
Non c’è uno straccio di programma politico, al di là delle strologate
sul “califfato”, che non sia quindi quello condensabile nell’esercizio
sistematico della forza. La vera “grande Umma”, la chiamata a raccolta
di tutti i credenti, contro la persistenza degli infedeli e
dell’apostasia, si basa sulla forza di attrazione che il ricorso alle
“vie di fatto” esercitata su una parte del pubblico.
Claudio Vercelli
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Il settimanAle - Lupi e pastori
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Un
affare che macina centinaia di milioni di dollari, impiegando migliaia
di persone che cinicamente imbrogliano ingenui aspiranti investitori
sparsi per il mondo con una serie di raggiri. Sta causando danni
terribili alle sue vittime, e rischia di fare lo stesso all’immagine
d’Israele”. Questo il sottotitolo del duro articolo di Simona Weinglass
su Times of Israel del 23 marzo, che racconta della truffa delle
‘binary options’. Un’attività nota a Tel Aviv anche come ‘forex’ e
molto cresciuta negli ultimi anni, che sfrutta la credulità di persone
spesso anziane o non sufficientemente smaliziate, le quali si lasciano
convincere a ‘giuocare sul mercato’ sotto la guida degli ‘esperti
brokers’ che li hanno raggiunti telefonicamente, ma loro non lo sanno,
da Israele. Secondo l’articolo, i telefonisti sono frequentemente
giovani immigrati, che possono così mettere la lingua madre a molto
miglior frutto che non trovando lavoro come barista o muratore.
Alessandro Treves, neuroscienziato
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