Il messaggio in ebraico dei ribelli siriani
“Lottiamo per la democrazia
chiediamo aiuto a Israele”
Noi del movimento Ghad al-Suri esortiamo tutte le forze nazionali a rovesciare la tirannia e a mettere in piedi una democrazia. Poi costruiremo il governo su cui si accorderanno tutte le forze nazionali siriane e i movimenti, un governo che garantisca i diritti di tutti”. È questo il messaggio, redatto in ebraico, inviato attraverso le pagine del giornale israeliano Ma’ariv Hashavua al pubblico di Israele, con l’intenzione del neonato gruppo di opposizione al regime siriano di Bashar Assad di sensibilizzarne l’opinione pubblica. Ghad al-Suri ha anche agito nella speranza di mettersi in contatto con l’ufficio del Primo ministro e organizzare un incontro con un rappresentante della diplomazia israeliana. E mentre nel paese continuano a confluire attraverso il confine migliaia di persone rimaste ferite nella guerra civile che infiamma la Siria, Israele viene visto sempre di più come un alleato nella difesa dei valori della democrazia e dei diritti umani. La diplomazia israeliana, dal canto suo, continua a professarsi neutrale nel conflitto, e gli ufficiali della sicurezza sono pessimisti sul fatto che una risoluzione possa mai essere positiva per lo Stato ebraico.
Il movimento Ghad al-Suri – che tradotto significa “Il domani della Siria” – è stato fondato al Cairo la scorsa settimana, e il suo presidente Ahmad Jarba (ex presidente della Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione), ha voluto immediatamente comunicarne la nascita ai cittadini dello Stato d’Israele. La traduzione del messaggio in ebraico è stata affidata a una donna araba-israeliana che vive a Londra. Inoltre, si riporta che il movimento ha anche operato più dietro le quinte al fine di intraprendere un dibattito, indifferentemente in forma pubblica o privata, con il governo israeliano. Il Jerusalem Post scrive che la richiesta di Jarba all’ufficio del Primo ministro è stata inviata “discretamente al fine di evitare una perdita di credibilità di fronte al pubblico siriano e tra i potenziali sostenitori nel mondo arabo”.
“Il regime tirannico, attraverso il suo controllo sulla società siriana, è riuscito a disintegrare tutta la Siria”, si legge nel messaggio, che accusa il governo di aver operato con la corruzione, con l’isolamento ai margini della società e la repressione degli oppositori, e sobillando i conflitti tra gruppi minoritari nei suoi interessi. “Così facendo – continua il messaggio in ebraico – ha trasformato la Siria in un vulcano, pronto a eruttare e a seguire il suo corso nazionale, intellettuale, politico e sociale, unificando popoli e terre. Così è iniziata la rivoluzione, sventolando la bandiera dell’unità di tutto il popolo siriano”. Una rivoluzione, si sottolinea, che non ha tuttavia lo scopo di imporre una determinata nuova forma di governo – sia esso centrale, federale o di altro tipo – ma si pone l’obiettivo di lasciare questa scelta al popolo siriano, a differenza di molti altri stati e federazioni intervenuti militarmente e politicamente nel conflitto. I quali, si legge, “hanno approfittato del vuoto di potere e della guerra civile per imporre una soluzione senza l’accordo del popolo, che può essere espresso solo attraverso un referendum”. Al contrario, il movimento Ghad al-Suri crede “nei diritti politici, nazionali, culturali e dell’istruzione per tutta la società siriana, basati su una dottrina di uguaglianza, con un’amministrazione equa, e non centralizzata. Un simile regime – si conclude – garantirebbe alle province, alle regioni e ai distretti amministrativi il pieno diritto di gestire i loro problemi civili, religiosi e culturali, nel rispetto delle norme internazionali sui diritti umani”.
Una risposta da parte del governo israeliana a questo messaggio non è ancora stata diffusa. Lo Stato ebraico dall’inizio del conflitto ha scelto di mantenersi più o meno neutrale nella guerra civile siriana. Tutela i suoi confini e la sua sicurezza da eventuali aggressioni (intervenendo anche con raid contro rifornimenti ai terroristi di Hezbollah in territorio siriano) e osserva il pericoloso quanto ingestibile disintegrarsi dei vicini. Ciononostante – riporta il Times of Israel – è stato confermato che Tsahal ha contatti con i ribelli al di là del confine, anche se è ancora chiaro con quali gruppi.
A confermare questo rapporto è l’afflusso di circa duemila siriani negli ospedali israeliani dal dicembre 2013, tra cui molte donne e bambini. Seicento di essi sono arrivati all’ospedale Ziv Medical Center di Safed, a circa 30 chilometri dal confine. La linea ufficiale dell’esercito israeliana è quella di curare qualunque siriano necessiti di assistenza medica urgente. Nessuna importanza all’identità della persona poiché si tratta di una “iniziativa umanitaria”. I feriti siriani qualche volta possono scegliere se andare a curarsi in Giordania o in Israele, ma la gran parte sceglie il secondo nonostante sia uno stato “nemico” poiché sa di poter contare su un’assistenza medica di alta qualità e in breve tempo. Dei circa seicento pazienti curati allo Ziv Medical Center – l’80 percento dei quali è arrivato con gravi traumi ortopedici – solo nove sono deceduti. Molti tornano in Siria capaci di camminare nuovamente, grazie a dispositivi ortopedici che possono costare anche fino a 3 mila dollari l’uno. Ogni paziente – riporta sempre il Times of Israel – costa a un cittadino israeliano che paga le tasse circa 15 mila dollari. Lo staff dell’ospedale, ha spiegato una dei suoi dirigenti Channa Bikel, non conosce l’identità dei siriani che cura, nota esclusivamente all’esercito. “Adottiamo una politica di deontologia professionale medica, non facciamo differenze. Curiamo chiunque ne abbia necessità urgente, perché se una persona arriva al confine senza gambe – conclude – semplicemente non è possibile lasciarlo lì”.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(Nell’immagine, alcuni edifici distrutti dai bombardamenti ad Al-Zabadani in Siria)
(27 marzo 2015)