Jonathan Sacks,
rabbino
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È l'autentico, l'unico, il diverso che ci fa sentire arricchiti quando lo incontriamo
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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"Nelle
nostre preghiere delle grandi feste imploriamo il Signore di ricordarsi
del mancato sacrificio di Isacco. Il Dio di Abramo, un semplice
smemorato, è concepibile? In verità noi gli indirizziamo le nostre
richieste in nome del ricordo per dimostrarGli che anche noi ce ne
ricordiamo” (Elie Wiesel, Oblio, Bompiani 1991, p. 154). Il rapporto
tra oblio e memoria è sempre molto complicato, e non è mai a somma zero.
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Dacca, orrore jihadista Inviati gli ispettori
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Lutto
nazionale per i nove civili italiani trucidati a Dakka da terroristi
islamici. Di fronte alla strage di italiani più grave dopo quella del
novembre 2003 a Nassiriya in Iraq, il governo sceglie di essere in
prima linea al fianco delle autorità bengalesi contro i fondamentalisti
dell’Isis. Il primo ministro Matteo Renzi, per dare il segno del cambio
di strategia, ha deciso di inviare sul posto un team investigativo. Una
decisione, scrive tra gli altri il Corriere (Fiorenza Sarzanini), che
arriva al termine di una notte di consultazioni tra lo stesso Renzi, il
ministro degli Esteri Gentiloni e il sottosegretario all’intelligence
Minniti.
“Siamo come una famiglia – ha detto Renzi, intervenendo a Palazzo Chigi
– che ha subito una perdita dolorosa ma che non ha nessuna intenzione
di darla vinta a chi pensa che la distruzione dei nostri valori sia
l’obiettivo al quale consacrare la propria esistenza. Noi siamo più
forti”.
Di ritorno in Italia il capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha
interrotto la sua visita in America Latina e, nella giornata di ieri,
si è limitato a incontri strettamente istituzionali a Città del Messico
“per partecipare al lutto della nazione e rendere omaggio alle vittime”.
Intervenendo al termine dello Shabbat, il presidente UCEI Renzo
Gattegna ha definito l’azione terroristica “un’azione sconvolgente che
conferma la gravità di questa minaccia, in qualsiasi forma essa si
manifesti, contro chiunque sia rivolta, e che non può che trovarci
uniti in una risposta ferma e determinata”.
“C’è chi vuole sconvolgere la nostra quotidianità, facendoci
precipitare in un abisso di paura, barbarie, violenza. C’è chi vuole
distruggere tutti i nostri valori e tutte le nostre conquiste
democratiche. Ma noi, istituzioni e comuni cittadini – ha sottolineato
Gattegna – non glielo permetteremo”.
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il voto del nuovo consiglio Unione delle Comunità Ebraiche, Noemi Di Segni alla presidenza
Nata
a Gerusalemme, romana d'adozione, 47 anni, Noemi Di Segni è da oggi il
nuovo presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Assessore
al Bilancio nel passato quadriennio di governo UCEI, Di Segni ha
ottenuto l'incarico nel corso della prima riunione del nuovo Consiglio
dell'Unione, formatosi in seguito alle designazioni dei singoli
Consigli comunitari e dalle consultazioni elettorali svoltesi nelle
Comunità di Roma, Milano, Firenze, Livorno e Trieste in data 19 giugno.
“Rimarcare
ancora di più il contributo valoriale che l'ebraismo italiano offre e
condivide con la società esterna e il modo in cui l’ebraismo stesso è
riconosciuto e tutelato. Ma la sfida è anche verso l'interno, il
reciproco rispetto e la capacità di ascolto. È fondamentale – ha
spiegato Di Segni in un recente intervento sul mensile UCEI Pagine
Ebraiche – mantenersi ed evolversi nel rispetto e nella valorizzazione
delle peculiarità culturali e ritualistiche di ogni comunità esistente,
dell’emergente presenza ebraica nel Meridione, al contempo ridefinendo
modelli di gestione e di governance che siano in grado di offrire e
sostenere le molteplici esigenze”.
Presentatasi
al voto in qualità di capolista del gruppo “Benè Binah”, formazione che
un significativo consenso ha ottenuto tra gli ebrei romani, Noemi Di
Segni succede a Renzo Gattegna, per 10 anni al vertice dell'ebraismo
italiano.
Intervenendo tra l'altro nel corso della mattinata, Noemi Di Segni aveva affermato:
"Con grande commozione e con profonda consapevolezza di quanto sia
importante questo momento e questo snodo istituzionale, rivolgo un
saluto a tutti, e in particolare ai Consiglieri che per la prima volta
partecipano a questa assise.
E allora il mio primo pensiero va alle parole di una canzone di Sarit
Hadad, cantante Israeliana, bellissima e innovatrice della musica
orientale:
“Un albero si trova solo nell’autunno
Non ha calore né ombra
Anche lui a volte vuole sentirsi al sicuro
E non come un fiore che appassisce
E a volte i tempi ci mettono sotto esame
Ci pongono le loro sfide e i loro intralci
Ma noi abbiamo le nostre forze. Facciamo vedere che noi possiamo.
Vedere il dolore e guardarlo negli occhi
Attaccarsi alla vista forte e non arrendersi
Credere con tutto il cuore che andrà bene “yehye tov” e che nonostante tutto noi ce la faremo.
Si rivolge a noi - come singoli - come Popolo. Forse anche come Comunità.
Essere una cittadina italiana
L’essere ebrea cresciuta in un ambiente religioso
L’essere israeliana, di Gerusalemme, e con l’incisiva esperienza del servizio militare
L’essere donna. Madre di tre figli, avviati due di loro ad una vita in Israele
L’essere figlia di italiani e parte di una comunità antica e proiettata con energia verso il futuro
Mi portano a stare qui con voi oggi e a condividere un percorso, anzi il percorso, che abbiamo tutti intrapreso assieme.
"Viviamo
la nostra vita quotidiana correndo e curando i nostri affetti
personali, ma sappiamo già - dai più piccoli ai più grandi - che la
densa nuvola nera è arrivata anche sui cieli dell’Europa. E le sfide
che abbiamo da anni imparato ad affrontare, come israeliani, come ebrei
e come Comunità, sono divenute sfide anche dei Governi e delle
Istituzioni europee.
L'Europa, dopo la tragica esperienza della seconda guerra mondiale,
aveva finalmente capito la necessità di agire all'unisono per difendere
i valori fondamentali di libertà, democrazia, uguaglianza e rispetto
dei diritti umani. La cronaca di questi giorni dimostra purtroppo che è
entrata in crisi la stessa identità dell'Unione Europea, all'interno
della quale, ormai, nessuno può più dirsi al sicuro.
Oggi più che mai dobbiamo riaffermare i valori di democrazia e
convivenza civile e sviluppare una strategia vincente per difendere le
nostre Comunità dalla minaccia terroristica e da un antisemitismo
sempre più aggressivo e subdolo. Sicurezza che va “gestita” –
informando ma senza generare panico e terrore di vivere le nostre vite.
Approntando ulteriori sistemi e misure di prevenzione con attenzione e
di raccordo con le Forze dell’Ordine.
L’Europa e Israele. Israele e l’Italia. Un rapporto a cui tutti noi teniamo immensamente.
Lo Stato di Israele si difende con la sua anima, con le sue istituzioni
democratiche con e il suo incredibile esercito ed afferma il suo
diritto ad esistere, difendendo l’esistenza fisica e combattendo la
distorsione mediatica, i tentativi di boicottaggio e i continui
attacchi ed isolamento. Sappiamo quanto la sopravvivenza di Israele
rappresenti una garanzia per l’esistenza e aggiungerei oggi,
resistenza, dell’Intera compagine europea. Siamo e dobbiamo essere al
suo fianco, come sempre. Continueremo a difenderlo, mirando a farlo
conoscere nelle sue molteplici realtà, come un luogo di eccellenza
nello sviluppo etico, scientifico e tecnologico, culturale e sociale,
unico nel Medioriente e con una sola capitale – Gerusalemme.
I nostri giovani: le Comunità che domani lasceremo loro dipende dalle
nostre scelte di oggi. Tutti, ne sono certa, ci rendiamo conto di
quanto sia urgente affrontare il tema dell’identità ebraica, da
maturare e rafforzare in tutte le fasi evolutive. Con la formazione
religiosa, con la scuola e con la socializzazione. Con l’ascolto dei
giovani e con l’attenzione a coinvolgerli nelle scelte rendendoli
capaci di rapportarsi con un mondo sempre più complesso e pieno di
sfide. Trasmettiamo loro fiducia tenendoli per mano o a volte facendoci
anche guidare da loro. Trasmettiamo, con l’ausilio dei nostri Rabanim e
Maestri, i valori e la conoscenza della nostra millenaria cultura.
Della nostra storia, la memoria e il vissuto della shoa. C’è un rischio
di una banalizzazione di quanto appartiene alla nostra memoria, di
volgarizzazione della cultura ebraica e dei suoi simboli portati
all’esterno e vissuti come festival. Pensiamo in primis noi stessi, per
noi e per i nostri figli, a costruire una forte identità ebraica,
conoscere i nostri testi scari e saper bene la nostra lingua (pare
siano 80.000 i vocaboli, molti ma meno di altre lingue). Ritengo varati
gli articoli 29 e 30 dello Statuto, condivisi dal precedente Consiglio
con tutta la Rabanut, e quindi ribadisco mio auspicio a darne concreta
attuazione.
Le 21 Comunità, rappresentate tutte dall’Unione, formano il tessuto
dell’Ebraismo Italiano, con propri Minaghim, tradizioni ed impronte
culturali, arricchite inoltre, negli anni, dalla presenza di iscritti
provenienti da altre parti del mondo, in particolare dalla Libia e
della Persia; ogni Comunità sia essa grande, media, piccola o minuscola
ha una specifica esigenza da soddisfare, una peculiare capacità e
ricchezza culturale da valorizzare. Nel riaffermare la piena autonomia
gestionale di ogni Comunità, credo si debbano definire modelli nuovi,
di networking per una organizzazione sostenibile e sinergica dei
servizi intra-comunitari. Il sistema di riparto dell’Ottopermille
attualmente adottato è solo una parte di un’articolazione finanziaria
che va ulteriormente rafforzata.
Le nostre Comunità risentono faticosamente della crisi economica del
Paese e dell’Europa: nuove povertà e nuovi bisogni si affiancano a
quelli del passato. E’ necessario che l’Ebraismo intero si mobiliti
perché questa situazione d'emergenza venga affrontata e superata.
Questo Ente, è governato in base allo Statuto dal suo Consiglio. Sarà
governato da questo Consiglio neo eletto, organizzato in diverse
Commissioni, che ritengo debbano essere ridotte da dieci a sei, e
concretamente amministrato da una Giunta. Ma tutti i nostri progetti e
le nostre iniziative prenderanno corpo e concretezza grazie alle
persone che ci lavorano. Sono 30 dipendenti e collaboratori che ho
avuto l’onore di conoscere e con i quali ho lavorato in questi anni. A
tutti i livelli ho riscontrato non solo il senso di responsabilità e
impegno, rispetto alla posizione lavorativa ricoperta, ma
consapevolezza e rispetto per l’Ente in quanto ente ebraico. Per la
missione che siamo chiamati a realizzare, guardando vicino ma anche
lontano.
A loro va la mia stima, il mio ringraziamento per quanto fatto e per quanto si adopereranno di fare affiancando tutti noi.
Per far fronte con efficacia a quanto appena accennato e che farà parte
del nostro impegnativo percorso, è fondamentale che all’interno
dell’ebraismo italiano, e dell’UCEI stessa vi sia unità, competenza,
tenacia, energia e volontà di agire con onestà e spirito di servizio.
Questo Ente, a cui tengo e al quale ho dedicato giornate, lunghe notti
di Giunte e riunioni assieme a tutti i Consiglieri uscenti e le loro
Comunità, deve essere a mio avviso governato con la consapevolezza che
la rappresentanza dell’Ebraismo intero, i rapporti con le Comunità e le
Istituzioni richiedono impegno quotidiano, fatica e serietà. Richiedono
ascolto attento e rispettoso. Pragmatismo abbinato ad una visione di
medio lungo termine. Richiedono vicinanza non solo con le parole.
Questo credo di poter fare mettendo a disposizione tutto il mio essere".
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LA SCOMPARSA DEL GRANDE testimone Elie Wiesel (1928-2016)
"Credo
nell’umanità contro l’umanità, credo in Dio contro Dio, perché
cos’altro mi resta? Il mio scetticismo non li può fermare. Ho dubbi in
molte certezze, ma poi mi dico ‘va bene’, ci sono bambini in tutto il
mondo, e, per il loro bene, devo continuare ad avere fede”. Elie Wiesel
non perse mai la sua fede, nonostante tutto. Non la perse in Dio e
nemmeno nell’umanità, ma la sua vita fu segnata da sofferti
interrogativi e non da certezze. Dov’era Dio ad Auschwitz? Dove era
l’uomo? Le domande senza risposta che Wiesel, Testimone della Shoah,
scrittore, voce morale del mondo contemporaneo, si è posto nel corso
della sua vita. Leggi
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elie wiesel (1928-2016) - parlano gli storici "Simbolo eterno del Novecento"
Non
solo le parole, ma anche l’azione e forse addirittura l’intera vita di
Elie Wiesel sono state un costante monito sulla necessità impellente
della trasmissione della Memoria e allo stesso tempo per renderla uno
stimolo a migliorare il mondo. La sua scomparsa pone dunque degli
interrogativi incalzanti su come il passaggio del testimone a una nuova
generazione ne cambierà il significato e farà evolvere i modi di
parlare della Shoah. “Spero che ci sbaglieremo così come si è sbagliato
lui”, la risposta di Marcello Pezzetti (immagine in alto), direttore
scientifico della Fondazione Museo della Shoah di Roma. “Wiesel
affermava che della Shoah non si potesse dire nulla, e invece poi ne ha
scritto cose incredibili – ha spiegato – e quindi spero che anche
quelli che oggi affermano che senza Testimoni non si possa parlare di
Shoah si sbaglino come lui”.
“Viviamo
un importante passaggio di generazione ma anche di responsabilità –
concorda Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Biblioteca Renato
Maestro di Venezia e direttore in pectore della Fondazione Centro di
Documentazione Ebraica Contemporanea – e mentre gli ultimi testimoni
scompaiono dobbiamo ragionare su una nuova azione e sui nuovi strumenti
che dovremo usare per non lasciare che anche la loro Memoria scompaia”.
“La sua visione della realtà passava sempre attraverso la lente di
ingrandimento della Shoah, e anche quando parlava di altri contesti,
dal Rwanda alla Bosnia, dai curdi a Israele, Elie Wiesel era la voce
della coscienza ebraica collettiva e sapevamo che non sarebbe rimasto
inascoltato”, sottolinea
infine la storica del Cdec Liliana Picciotto. “Il suo sguardo lucido e
la sua capacità di scrittura sono stati riconosciuti un tutto il mondo
– il suo commento – fino a diventare un simbolo del Novecento”.
“Di
certo non possiamo e non dobbiamo imitare i Testimoni – prosegue
Pezzetti – in quanto nessuno può essere un nuovo Testimone, e dobbiamo
dunque fare altro, a partire dall’opera di Elie Wiesel”. Pezzetti lo
conosceva di picciotto persona, e a Pagine Ebraiche ha raccontato di
averlo incontrato la prima volta nel 1995, al cinquantenario dalla
Liberazione di Auschwitz. “In quell’occasione – le sue parole – fece
capire a tutti molte cose, e cioè che l’Europa non aveva ancora preso
pienamente coscienza di quello che era avvenuto”.
Anche Picciotto ha conosciuto Elie Wiesel di persona, e con la sua
scomparsa afferma di sentirsi “orfana di una persona speciale, di un
intellettuale ebreo pronto a spendersi per la causa ebraica, per la
Memoria, per lo Stato di Israele e per la difesa di tutti i popoli
oppressi”.
“Wiesel ha riflettuto molto e raccontato spesso la sua vicenda –
conclude quindi Luzzatto Voghera – ma soprattutto ha fatto della
Memoria il centro della sua azione anche politica, lavorando sulle
ingiustizie nel mondo fino a ottenere il premio Nobel per la Pace e
sapendo fare della Memoria qualcosa di operativo e vivo”. Leggi
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elie wiesel (1928-2016) - la storia L'intuizione di un editore
Così nacque la Giuntina
Giaceva
anonimo su uno scaffale della Feltrinelli di via Cavour, nel reparto
offerte dei libri esteri. Un volume come tanti altri, almeno
apparentemente. E invece, tra quelle pagine scritte in francese, si
nascondevano storie terribili e sconvolgenti che avrebbero lasciato il
segno. Pagine sofferte di memoria, di verità e di coraggio che
avrebbero conquistato milioni di lettori nel mondo. Se Elie Wiesel, il
grande intellettuale, scrittore e Testimone della Shoah, il Premio
Nobel per la pace riconosciuto universalmente come ambasciatore di
umanità scomparso ieri sera all’età di 87 anni, ebbe così tanto
successo in Italia lo si deve anche e soprattutto all’intuizione di un
editore fiorentino di origine polacca, Daniel Vogelmann, che in questo
modo incontrò «La notte», la sua straziante narrazione autobiografica
dai campi di sterminio nazisti, un pomeriggio di 36 anni fa.
Adam Smulevich, Corriere Fiorentino
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QUI TORINO - FU EROE DELLA RESISTENZA Ugo Sacerdote (1924-2016)
L’impegno
per la Resistenza, nel partigiano Ugo Sacerdote, scomparso ieri a
Torino all’età di 92 anni, è nato pochi mesi dopo l’8 settembre 1943 e
da allora non si è mai più fermato. Negli anni successivi, a poco a
poco infatti ne è diventato la memoria storica, per la quale si è
sempre impegnato come presidente del Comitato di coordinamento delle
associazioni partigiane piemontesi, ma anche distinguendosi come punto
di riferimento per le giovani generazioni sui valori della libertà.
Nato nel capoluogo piemontese il 25 ottobre 1924 in una famiglia
ebraica, ingegnere di professione, dopo aver vissuto l’orrore delle
leggi razziste, fu tra le valli piemontesi che prese parte alla lotta
partigiana nelle brigate di Giustizia e Libertà, combattendo al fianco
di Emanuele Artom, che fu catturato durante un rastrellamento nel marzo
del 1944 proprio mentre era impegnato in un’azione con lui. Leggi
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Senza via d'uscita?
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Non
è che ci si possa dire contro un metodo e delle regole, altrimenti
sottoscritte e comunemente praticate, solo ed esclusivamente quando
l’uno e le altre non producono l’effetto desiderato. Al riguardo,
Bertold Brecht soleva dire sarcasticamente: "Il Comitato centrale ha
deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo
popolo". Si tratta della risposta che il drammaturgo tedesco aveva dato
alle parole del segretario generale dell’Unione degli scrittori della
Repubblica democratica tedesca il quale, di fronte alle rivolte degli
operai di Berlino Est nel 1953, aveva perentoriamente affermato: "La
classe operaia di Berlino ha tradito la fiducia che il Partito gli
aveva riposto. Ora dovrà lavorare duro per riguadagnarsela!". Così, per
venire a noi, anche nel caso della Brexit. Le spaccature territoriali e
generazionali nel voto, quanto la maggioranza ristretta di assensi
ottenuta alle urne da coloro che hanno perentoriamente sostenuto la
necessità per il Regno Unito di congedarsi dall’Unione, peraltro nulla
tolgono alla validità del risultato finale. In democrazia si contano le
teste, non il loro peso. Semmai sarebbe tartufesco, se non truffaldino,
trascinarla per le lunghe, trasformando la complessa ma comunque
necessaria uscita degli inglesi in un lungo congedo dai tratti agonici.
Claudio Vercelli
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Il settimanAle - Start Down
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Avi
Hasson è da oltre cinque anni Chief Scientist del ministero
dell’Industria israeliano e ha guidato col mitico Matimop, il suo
braccio operativo, il miracoloso sviluppo dell’hi-tech nella “start-up
nation”. Ha il titolo di scienziato (in Israele diversi ministeri hanno
il loro Chief Scientist, ed il più importante, quello che non ha
bisogno di ulteriori qualifiche, è proprio quello a capo del Matimop)
ma in realtà viene da una ventina d’anni come manager nell’industria; e
non è certo solito atteggiarsi a cassandra accademica.
Alessandro Treves, neuroscienziato
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