Paolo Sciunnach,
insegnante | Troppo
spesso, in questi giorni di grandi polemiche, mi sento ribattere che al
giorno d’oggi ci vorrebbe “buon senso” da parte dei Rabbanim
nell’applicare la Halachah. Sono convinto che questa affermazione sia
estremamente corretta. Abbiamo bisogno di guide spirituali di buon
senso e buona volontà. Abbiamo bisogno di Maestri veri, che parlano con
la voce del Chased e non solo con la voce del Din.
A questo scopo però dovremmo avere ben presente, a priori, la
metodologia dello studio delle fonti della Halachah in modo competente,
per poi poter esprimere un parere autorevole sulla applicazione della
Halachah in una specifica circostanza.
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Anna
Foa,
storica | Che
in Italia stiano crescendo gli episodi di razzismo, di violenza fisica
e verbale contro immigrati, persone colpevoli di avere un colore della
pelle diverso dal bianco, è evidente e ovvio, e l’assassinio del
giovane rifugiato di Fermo, sfuggito a Boko Haram per finire vittima di
un nazista di provincia è solo l’ultimo episodio, il più tragico. Fra
l’altro, mentre tutti alzano alte grida contro i massacri dei cristiani
in molti paesi islamici, pochi fra i media hanno sottolineato il fatto
che anche nel caso di Emmanuel e Chinyere si trattava di cristiani
perseguitati come cristiani, e che la loro bambina e le loro famiglie
erano morti nell’attacco ad una chiesa.
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“I grillini sottovalutano
il terrorismo”
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Da
parte del Movimento 5Stelle c’è una forte sottovalutazione del
terrorismo, in particolare della minaccia costituita dagli integralisti
di Hamas per Israele e per tutte le società progredite. A
sottolinearlo, in una ampia intervista a Repubblica, è la presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. “In Europa
si è vissuto per decenni in serenità – afferma Di Segni, che interviene
con fermezza a poche ore dalla boutade della delegazione grillina che
ieri ha tentato vanamente di entrare nella Striscia di Gaza, per poi
lanciare deliranti accuse al governo israeliano – ma sappiamo quanto
terrorismo c’è e quanto è pericoloso. Dobbiamo riconoscere il problema
prima delle soluzioni, e temo che nelle parole dei 5Stelle vi sia una
sottovalutazione del rischio terrorismo. La questione è italiana, non
solo di quel Movimento: c’è un disagio nel riconoscere il problema. Noi
possiamo essere d’aiuto nella soluzione, ma è arrivato il momento per
la società italiana di maturare questa consapevolezza. Si può scegliere
la strada della sicurezza oppure si può scegliere di riconoscere
soggetti deboli se tolti da quella violenza che li circonda. I
palestinesi starebbero meglio con una guida diversa da quella attuale”.
Al giornalista che le chiede un commento sull’intenzione manifestata
dal Movimento di mettere in discussione le intese tra la romana Acea e
l’israeliana Mekorot, Di Segni risponde: “Mekorot è una società a
partecipazione statale molto importante, affidataria della gestione
delle fonti idriche in Israele. Tutta la geografia della regione poggia
su queste limitatissime risorse. Temo che quella dei 5Stelle sia una
presa di posizione politica aprioristica, senza conoscere la topografia
e la tecnologia. Beneficiamo tutti del credito tecnologico anziché
etichettarlo politicamente. Poi colpisce che si metta in discussione
un’intesa tra Acea, che ha problemi di dispersione dell’acqua, e
Mekorot, specializzata nel valorizzare ogni goccia della risorsa”.
Proprio ieri il parlamentare grillino Manlio Di Stefano, da Gerusalemme
commentava: “Non facciamo accordi con chi opera nelle colonie, lo
abbiamo detto in Parlamento e lo confermiamo”. Una posizione condivisa
da non pochi colleghi di partito, improvvisati esperti di Medio Oriente
e geopolitica. E d’altronde, come ricorda La Stampa, non mancano tra
loro “antisionisti, complottisti e filo Hamas”.
Molteplici gli articoli di approfondimento e molteplici le voci che commentano oggi sui giornali la missione pentastellata.
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il presidente dell'unione a repubblica
"Terrorismo, ostacolo per la pace
I Cinque Stelle lo sottovalutano"
“Cosa
dovrebbe stare alla base di un eventuale riconoscimento dello Stato
palestinese da parte del governo italiano? Innanzitutto un
riconoscimento al pieno diritto di esistere in sicurezza per Israele da
parte della Palestina. Occorrerebbe una scelta esplicita e fattuale. Ma
mi pare molto difficile che un governo europeo possa compiere un simile
passo autonomamente”.
Noemi Di Segni – 47 anni, nata a Gerusalemme ma romana d’adozione – da
una settimana è la nuova presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche
italiane, dopo essere stata assessore al Bilancio nella giunta
precedente guidata da Renzo Gattegna. Di Segni non si sottrae a una
valutazione sulle posizioni assunte dai grillini nel viaggio in
Israele, sulla volontà di riconoscere lo Stato della Palestina ribadita
sabato da Luigi Di Maio.
Presidente, perché quelle parole non la convincono?
Ragioniamo su quanto accade in questi mesi in Europa e negli stessi
Territori: il gruppo palestinese è formalmente riconosciuto come
terroristico. Il nostro cuore piange le morti di chiunque, anche quelle
di Israele. Ma cercando di dare un segnale di stimolo a chi porta
avanti le politiche di integrazione europee – tema difficile di questi
tempi – ragioniamo su chi si invita e sui valori portati dagli invitati.
Cosa teme, presidente?
In Europa si è vissuto per decenni in serenità, ma sappiamo quanto
terrorismo c’è e quanto è pericoloso. Dobbiamo riconoscere il problema
prima delle soluzioni, e temo che nelle parole dei 5Stelle vi sia una
sottovalutazione del rischio terrorismo. La questione è italiana, non
solo di quel Movimento: c’è un disagio nel riconoscere il problema. Noi
possiamo essere d’aiuto nella soluzione, ma è arrivato il momento per
la società italiana di maturare questa consapevolezza. Si può scegliere
la strada della sicurezza oppure si può scegliere di riconoscere
soggetti deboli se tolti da quella violenza che li circonda. I
palestinesi starebbero meglio con una guida diversa da quella attuale.
Per lei la soluzione del conflitto israelo-palestinese può essere nella formula dei due popoli, due Stati?
È questa la strada verso cui si sta andando. Anche da parte del governo
israeliano c’è stata un’apertura in questo senso, ma il presupposto è
il riconoscimento reciproco del diritto all’esistenza in sicurezza. La
Carta nazionale palestinese non è una Costituzione matura, ma il grido
di chi cerca un’affermazione politica.
Gabriele Isman, La Repubblica Leggi
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la storica insegnante degli ebrei milanesi
Paola Sereni (1926 - 2016)
Sono
innumerevoli i messaggi di affetto e di stima che in queste ore
ricordano Paola Sereni, indimenticata docente di Lettere e preside
della Scuola ebraica di Milano, scomparsa questa notte all'età di 90
anni. Un punto di riferimento per generazioni di studenti e per i
colleghi, le parole più usate per descrivere il segno che Sereni ha
lasciato nella Comunità ebraica milanese. “La sua filosofia di vita era
racchiusa nelle parole che un giorno le disse rav David Schaumann z.l.
(a cui Sereni succederà come preside della scuola) – racconta a Pagine
Ebraiche Claudia Bagnarelli, attuale direttrice delle scuole elementari
della Keillah milanese, che con Sereni condivise un'amicizia - 'Non
affannarti a piacere a tutti. È impossibile. L'importante che tu riesca
a piacere a molti'. E sicuramente ci è riuscita”. Per 35 anni Paola
Sereni – o La Sereni come era conosciuta da molti - ha insegnato e
trasmesso ai suoi studenti l'amore per la letteratura. Le sue lezioni
su Dante sono ancora fresche nella memoria di chi ha avuto la fortuna
di ascoltarle. “Era una sola persona che lavorava per quattro o per
cinque, lucida e vitale fino alla fine, giusta e corretta”, il ricordo
di Anna Treves, docente della Scuola ebraica e assunta proprio da
Sereni (alla guida dell'istituto dal 1975 al 1998) nel settembre del
1980. “Una donna forte e risoluta, non sempre facile ma di grande
valore – sottolinea Roberto Jarach, assessore alla Scuola quando Sereni
ne era preside – diede continuità al lavoro dai suoi predecessori, rav
Colombo e rav Schaumann, ponendo al centro l'insegnamento dei
valori ebraici seppur da una posizione laica”. “In questa
giornata di lutto per la Comunità estendo a nome dell'Unione e dei suoi
organismi di rappresentanza il più sentito cordoglio ai familiari, ai
cari, alle molte migliaia di persone che, in molti decenni di impegno
in campo educativo e formativo, ne hanno potuto apprezzare le capacità,
la concretezza, l'amore per il proprio lavoro. - il messaggio del
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni
- Qualità messe a frutto anche all'interno dell'UCEI, come delegata
all'ultimo Congresso dell'ente a Roma nel 2010, e in numerose altre
occasioni di impegno fuori e dentro le istituzioni ebraiche”. Leggi
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paola sereni (1926-2016) e la liberazione
"Il 25 aprile ci restituì la scuola,
liberi di studiare e fare amicizie"
Campane,
rintocchi festanti da ogni luogo. Paola Sereni, indimenticabile preside
della Scuola ebraica di Milano, dove ha insegnato 35 anni, ne aveva 17
quando le note della libertà spezzarono la quiete della campagna dove
si era rifugiata. La famiglia Sereni era lontana da capoluogo lombardo
quando per Paola, i genitori e i fratelli la guerra finì, con quasi un
anno d’anticipo rispetto al Nord Italia. “Ci eravamo nascosti in un
piccolo centro delle Marche, Montottone, dove ci fingevamo semplici
sfollati, con l’aiuto di una famiglia di laggiù, Giuseppe e Lucia
Breccia, insieme ai loro figli – ricorda la professoressa – L’inverno
1943‐1944 era trascorso abbastanza serenamente. Avevamo anche fatto
amicizia con i ragazzini. Poi i partigiani della zona fecero un’azione
contro i tedeschi e loro decisero di colpire il paese per rappresaglia.
Solo per miracolo non si trasformò in un’altra Marzabotto: i nazisti
avevano già ucciso diverse persone, quando le suppliche del parroco
riuscirono a dissuaderli dal proseguire”. Il padre e i fratelli di
Paola, che come uomini rischiavano di più, nel frattempo erano rimasti
nascosti in una stanza segreta. Poi le due famiglie, dieci persone,
decisero che non era più sicuro stare in paese e si rifugiarono in un
casolare in campagna, isolati dal mondo. “Eravamo lì da diversi giorni,
non c’era luce, non c’era radio. Sapevamo che gli alleati stavano
arrivando, ma non quanto ci avrebbero impiegato. E poi all’improvviso,
il suono delle campane a festa, da ogni singola Chiesa del circondario.
Impazzimmo di gioia, ci furono baci, abbracci, congratulazioni”
ricorda, con commozione. “Bisogna esserci passati, per capire cosa
significhi vivere un momento del genere”. Come spesso accade la grande
Storia si intrecciò alle storie delle persone: il fratello più piccolo
di Paola scappa per andare incontro all’esercito liberatore e in
famiglia sale l’ansia. Leggi
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israele - il lavoro della commissione biton
A scuola di ebraismo sefardita
La
questione degli ebrei spagnoli e portoghesi che più di 500 anni fa
furono costretti dall’Inquisizione a convertirsi al cattolicesimo è
tornata alla ribalta negli ultimi tempi quando gli stessi paesi che li
cacciarono, hanno accolto i loro discendenti a braccia aperte con una
legge del ritorno, che da qualche mese permette loro di riacquisire la
cittadinanza persa nel corso dei secoli. E mentre negli uffici delle
Comunità di Madrid e Lisbona si moltiplicano le richieste, anche in
Israele si torna a parlare della questione proprio in questi giorni, in
cui sono state presentate le prime misure elaborate dalla commissione
Biton, guidata dal poeta di origine algerina Erez Biton e istituita dal
ministro dell’Istruzione Naftali Bennet per sopperire, attraverso
politiche scolastiche mirate, alla scarsa conoscenza sia del fenomeno
dei cosiddetti conversos (o bnai anusim in ebraico) sia più
genericamente della cultura degli ebrei sefarditi ma anche orientali in
Israele – quelli che vengono chiamati ‘mizrachi’ e negli anni sono
spesso rimasti ai margini della società del paese. Misure che
rispondono a un’esigenza più grande di quanto si pensi, sottolinea
Ashely Perry (nell’immagine), presidente dell’organizzazione
Reconectar, che si occupa per l’appunto di riconnettere i discendenti
dei conversos all’ebraismo. Nel corso di quasi un secolo, Reconectar ha
infatti calcolato che sono tra i 10 e i 20 mila gli individui convinti
di avere origini ebraiche e desiderosi di andare a fondo. Leggi
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informazione - international edition
Ghetto di Venezia, palcoscenico
per il Mercante di Shakespeare
Cinquecento
anni dall’istituzione del Ghetto di Venezia, quattrocento anni dalla
morte di William Shakespeare. Sarà una doppia occasione di ricordo e
riflessione quella che alla fine di luglio porterà in scena per la
prima volta nella piazza del quartiere ebraico della città lagunare “Il
mercante di Venezia”, una delle opere più conosciute del drammaturgo
vissuto tra il 1564 e il 1616. Questo il tema che apre l’odierna uscita
di Pagine Ebraiche International Edition.
A proposito di anniversari, in novembre ricorreranno i 50 anni
dall’alluvione di Firenze, che nel 1966 portò morte e devastazione nel
capoluogo toscano. Pesantemente colpita anche la comunità ebraica: tra
l’altro furono gravemente danneggiati oltre novanta Sefarim (rotoli
della Torah) e migliaia di libri e documenti appartenenti al Collegio
rabbinico della città. Diversi enti sono al lavoro per una grande
mostra che ripercorra l’accaduto in programma in autunno presso la
biblioteca nazionale (tra gli altri la Fondazione Beni Culturali
Ebraici Italiani, l’Opera del Tempio Ebraico di Firenze, realtà di
riferimento per la conservazione, il restauro e la valorizzazione di
sinagoghe e altri luoghi ebraici nel territorio, la Comunità, l’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane e in particolare il suo Centro
Bibliografico). Leggi
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Oltremare
- Sole |
Esco
di fretta un mattino molto presto, il sole ancora orizzontale filtra
fra i bassi palazzi della strada in cui vivo. Mentre faccio a mente il
conto della montagna di cose che devo fare entro sera, vedo che
qualcuno appoggia una bicicletta al lato di un muretto uscendo di casa.
Ma invece di andare nell’androne a prendere un bambino, o qualcosa che
deve trasportare, si ferma. Si mette esattamente nel punto in cui le
case sono separate da qualche metro di passaggio, chè qui in zona tanto
spazio non ce n’è. E lì, in piedi immobile, la fronte a uno spicchio di
sole, a mani giunte sotto il mento e ad occhi chiusi, ringrazia. Non so
dire se prega, sono certa che ringrazia.
Solo ora mi accorgo che l’uomo, dalle fattezze indiane, è vestito di
lino colorato, ha i capelli perfettamente neri racolti in una coda
ordinata che cola gocce d’acqua sulla camicia, segno che anche lui come
me è uscito da poco dalla doccia. Non ho avuto l’istinto di fare una
foto con il cellulare che pure avevo in mano, e che come ogni mattina
si stava già riempiendo di vita, sotto forma di messaggi di ogni forma
e urgenza. Quel fermarsi, appoggiare la bicicletta e dedicare qualche
secondo o minuto a pensieri che immagino più elevati del mio conto
delle email e commissioni da sbrigare, era qualcosa di intimo e
personale, e mi sarei poi pentita se ne avessi rubato l’anima con un
click.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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