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14 luglio 2016 - 8 Tamuz 5776
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L’età delle demagogie

Politica e leadership, rav Jonathan Sacks
mette in guardia contro i populismi

img headerÈ una delle grandi incognite che ha lasciato il referendum sulla Brexit (l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea), ma anche il risultato degli appuntamenti (o campagne) elettorali di tanti paesi negli ultimi anni: le democrazie occidentali rischiano di essere travolte da demagogia e populismi? I movimenti e leader che in forme diverse fanno politica attraverso l’anti-politica, e propongono soluzioni semplici a problemi complessi, richiamandosi alla pancia e agli istinti dell’elettorato sembrano infatti aumentare il consenso dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dalla Francia all’Italia. Aprendo profondi interrogativi in vista di importanti tappe che dal prossimo autunno porteranno alle urne milioni di cittadini su entrambe le sponde dell’Atlantico. Del tema si è occupato negli scorsi giorni anche rav Jonathan Sacks. In occasione della parashah di Korach (Bamidbar), il lord britannico già rabbino capo del Commonwealth ha raccontato manifestazioni e rischi del fenomeno. Con una noticina a margine del testo scritto come ogni settimana per commentare la porzione di Torah che si leggerà il sabato successivo: “Questo saggio è stato redatto nel periodo successivo al voto sulla Brexit nel Regno Unito, mentre si consuma una lotta per la leadership in entrambi i principali partiti. Sta al lettore dedurre qualsiasi parallelo sia con la politica dei primati (riferimento al volume ‘La politica degli scimpanzé. Potere e sesso tra le scimmie’ scritto da Frans de Waal nel 1984 e ampiamente citato da rav Sacks, ndr) o con la storia di Korach”.

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L’età delle demagogiE

Quando le ideologie avvelenano gli ideali

img headerPerché è proprio Korach il prototipo della ribellione e della discordia? In fondo le sue tesi sono ragionevoli e convincenti e oltretutto riconducibili a una profonda idea religiosa: “…tutta la Comunità è composta da persone sante…” (Bamidbar, 16; 3). La kedushà di Israele non può essere esclusivo appannaggio di pochi eletti, sostiene Korach! Spesso però la disgregazione nasce proprio quando una nobile causa si trasforma in un un’ideologia di partito, quando sotto al manto di una giusta idea si camuffa un disegno politico, populista e demagogico, che con la Torah ha poco a che vedere. Korach non è altro che il paradigma di quel “rivoluzionario” che, mosso da forti ambizioni personali, una volta raggiunto il potere si sarebbe probabilmente trasformato in un dittatore autoriferito.

Roberto Della Rocca, rabbino

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L’età delle demagogie

L’antipolitica abita sul web

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“Ho impiegato del tempo per capire che la novità che avevamo davanti, nelle sue grandi linee, era la replica di un film già visto molte volte. Nella storia italiana chi dice di essere il nuovo, il purissimo, l’incontaminato, lo fa per non far capire che è vecchio, anzi vecchissimo”. Apre con questa premessa il suo “I Purissimi: I nuovi vecchi italiani di Beppe Grillo” (Feltrinelli) lo storico David Bidussa. Sin dall'inizio ci chiarisce che la strada del “nuovo”, rivendicata a pieni polmoni e in ogni occasione dal Movimento Cinque Stelle e dalla sua guida politica, il comico Grillo, non è altro che un percorso già battuto da altri, più volte. E i puri, nella precisa narrazione di Bidussa, quelli del nuovo abito della politica, quelli che indossano vestiti bianchi e candidi, anzi i più bianchi e candidi, si rivelano come riproposizioni di altro che già c'era. Non basta la rete, non basta internet e la sua presunta democraticità per dimostrare la novità di un mondo nato sì a attorno a un blog, beppegrillo.it, e quindi nella realtà 2.0 ma che non sfugge alle regole e deformazioni della vita analogica. “Più che uno spazio di discussione - scrive Bidussa - beppegrillo.it sembra un ordine, con le sue regole non violabili, pena la sanzione di espulsione. Per i trasgressori, gli 'infedeli', i corruttibili o, più laicamente, i dubbiosi non c’è possibilità di recupero. Sono 'persi'. La salvezza è nella conversione, nel pentimento e nella sottomissione”.

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Orizzonti 

Una lettura solo economica del terrorismo è sbagliata, la religione resta centrale 

Dopo la strage di Dacca, abbiamo scoperto ancora una volta che i terroristi non sempre vengono dai ceti diseredati, non appartengono ai «dannati della terra». Lo abbiamo riscoperto nel senso che qualcosa, nella nostra cultura profonda, ci impedisce di prendere atto una volta per tutte del fatto che non è, o è solo in parte e neppure quella principale, il disagio sociale ad armare la mano del terrorismo jihadista. Nel caso del Bangladesh, uno dei Paesi più poveri del globo, i terroristi erano figli addirittura delle classi agiate; e ce ne siamo molto stupiti, quasi avessimo dimenticato che Salah Abdeslam, protagonista degli attentati parigini del novembre scorso, veniva pur sempre da una famiglia di ceto medio che abitava in un dignitosissimo palazzo borghese. Gli esempi ulteriori non mancherebbero, almeno da quando la strage dell’11 settembre fu guidata dall’ingegnere egiziano Mohamed Atta, agli ordini di Osama Bin Laden, figlio di un miliardario.Ma è come se fossimo rimasti tutti discepoli di Marx e della sua idea che ideologie e religioni (dunque anche il fondamentalismo islamista) appartengono al mondo della «sovrastruttura», laddove invece le cause vere dei fenomeni sociali e della storia in generale andrebbero cercate altrove, a livello della «struttura», cioè dei rapporti sociali di produzione e, in sostanza, dell’economia.

Giovanni Belardelli, Corriere della Sera
9 luglio 2016


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Orizzonti

Antisionisti, complottisti,  filo-Hamas: la politica mediorientale grillina   

Nel luglio del 2013, all’epoca della prima visita in Israele di una delegazione M5S, il neoeletto deputato del Movimento Manlio Di Stefano postò su facebook una suggestiva foto e, sotto, il commento: «Buongiorno Palestina». La foto però era Gerusalemme, non Ramallah.
Naturalmente quella missione fu assai diversa da quella di oggi; era una delegazione di neodeputati senza pressioni, quasi increduli di esser lì, anche allora c’era Manlio Di Stefano, e poi Stefano Vignaroli, Paola Carinelli e Maria Edera Spadoni. Quel viaggio segna un punto di partenza di una storia che in questi tre anni ha avuto diversi apici, la storia dei terzomondismi e della geopolitica mediorientale più spensierata che l’Italia recente ricordi. Nel Movimento cinque stelle, da molto prima dell’ascesa di Luigi Di Maio a candidato premier in pectore - con le conseguenti svolte sull’euro, sull’uso dei soldi, sulla tv, forse sul doppio mandato -, la politica estera è stata da sempre appaltata al gemello-rivale di Di Maio, Alessandro Di Battista, insediato nella commissione eteri, e a una cordata di parlamentari che non si sono fatti mancare ogni genere di spericolatezza verbale delle posizioni. Israele è spesso stato un loro bersaglio, ma si sono udite uscite scivolosissime sull’Isis, virtuosismi linguistici sull’Iraq, frasi non adeguatamente pesate su Hamas.


Jacopo Iacoboni, la Stampa
11 luglio 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

"Tu dormi"

img headerSi parla molto in questi ultimi mesi del fenomeno “Mizrahi”, il risveglio dei figli e dei nipoti di coloro che sono arrivati in Israele con le grandi immigrazioni, forzate dai paesi arabi, dall’Iraq e dal Libano fino al Maghreb. In questa rubrica abbiamo già citato tre grandi esponenti antichi e moderni dello spirito d’oriente che non ha nulla da vergognarsi davanti ai sionisti ashkenaziti. Ancora negli anni Ottanta mia nonna, arrivata lei stessa in Israele come profuga, li chiamava “schwarze”, i neri. Un pessimo epiteto, però allora tutti i rifugiati, di tutte le etnie ebraiche, coltivavano uno senso antropologico di ghettizzazione obsoleta. Per dire quanto lontano siamo arrivati dai tempi di Yehudah Halevi fino a Erez Biton, ho scelto una bellissima lirica d’amore scritta da Yossef Tzarfati (1470 – 1527), mentre il prossimo Shishi, presenterà una poesia di un giovane mizrahi. Tzarfati non è proprio sefardita e neanche ashkenazita, ma italiano: forse il vero figlio del piyyut dalla Terra di Israele.


Tu dormi, ma io sono sveglio e insonnolito

vago attorno alla tua casa, mio dolce amore.

Tu dormi, io le rocce invoco a testimonianza

del mio dolore e oscuro la luna.

Tu dormi, ma lo splendore del tuo volto ruba

sonno e riposo alle mie pupille.

Nella tua immagine si raccolgono tutti i miei pensieri,

e come cera nella tua fiamma si dissolvono.



Sarah Kaminski, Università di Torino

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