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28 luglio 2016 - 22 Tamuz 5776
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VENEZIA, GLI EBREI, L’EUROPA – IL PROCESSO

Shylock, la Corte rende giustizia

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"Complicata dalla storia dell’antisemitismo, la rappresentazione e la lettura del Mercante sono, oggi più che mai, una sfida alla capacità di comprensione e all’onestà degli interpreti. Nella figura dell’usuraio ebreo, che chiede al mercante cristiano una libbra di carne a garanzia di un prestito, Il mercante di Venezia compendia secoli di pregiudizio antiebraico: l’ebreo, discendente di deicidi, estraneo per eccellenza e disumano profittatore, è l’essere per il quale qualsiasi vessazione non è che giusta punizione”. Così ha scritto Dario Calimani introducendo la sua nuova traduzione del Mercante, edita da Marsilio. Ma questo è solo uno dei problemi che ha dovuto affrontare la giuria del processo d'appello intentato da Shylock contro Antonio e la Repubblica di Venezia, e contro Porzia. Presso la Scuola Grande di San Rocco, però, si è tenuto molto più che un processo simulato: la giuria, composta da Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti insieme alla giurista internazionalista Laura Picchio Forlati (Università di Padova), con John R. Philips, Ambasciatore americano in Italia, Richard Schneider (Wake Forest University), e con l’avvocato Fabio Moretti ha deliberato, dopo aver ascoltato gli avvocati dei contendenti, di annullare la richiesta della libbra di carne e rendere i tremila ducati a Shylock. Ma anche di rendere nulla la richiesta di conversione, e di punire Porzia per aver agito da giudice in un processo in cui era chiaramente parte in causa. Ma il pomeriggio ha mostrato chiaramente come le questioni aperte restino comunque moltissime. Riproponiamo qui tre testi tratti dal libretto prodotto dall’Università Ca’ Foscari insieme alla Compagnia de Colombari in occasione della rappresentazione del Mercante in Ghetto, pubblicati sul dossier Venezia - I 500 anni del ghetto", curato da Ada Treves e attualmente in distribuzione con il numero di agosto di Pagine Ebraiche.

"Chi è il mercante qui? E chi è l'ebreo?, chiede Porzia quando entra in aula travestita, ovviamente, da Baldassarre, dottore in legge. Il travestimento da uomo di Porzia è assimilabile alla sua confusione: possibile che non riesca a individuare l'ebreo a prima vista? Attraverso i testi, meravigliosamente sottili e impliciti, Shakespeare sta suggerendo che Porzia opera anche un travestimento religioso: parla forse in nome del Cristianesimo quando parla di misericordia, o in aula le sue manovre legali provengono dalle argomentazioni rabbiniche (o quantomeno così percepite dai cristiani) ma mascherate da ragionamenti cristiani? Porzia proclama quale deve essere la natura universale del perdono: La natura della misericordia non si può forzare, cade come la pioggia gentile dal cielo sulla terra in basso: è due volte benedetta; benedice colui che la esercita e colui che la riceve" (IV,1) Esaminando l'accordo di Shylock con Antonio, Porzia sembra sul punto di accordargli la sua libbra di carne. Shylock accoglie la sua sentenza con gioia: "O nobile giudice! O giovane eccellente! O saggio e retto giudice! O giudice colto!"

Susannah Heschel, Dartmouth College
Pagine Ebraiche, agosto 2016

(traduzione di Giulia Castelnovo, studentessa della Scuola Superiore per Traduttori di Trieste e tirocinante presso la redazione giornalistica UCEI. La fotografia è di Giovanni Montenero)

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VENEZIA, GLI EBREI, L’EUROPA – IL PROCESSO

Cosa applaudiamo, cosa ci fa sorridere

img headerC'è qualcosa di molto particolare nell'assistere a una rappresentazione de Il mercante di Venezia, sapendo che in qualche maniera la propria immaginazione verrà messa in discussione non solo nella storia romantica dell'eroe e dell'eroina ma anche, in misura ancora maggiore, in quella del suo personaggio negativo. Si ride quando il servo di Shylock, il pagliaccio di nome Gobbo, scappa dal suo avaro padrone. Si sorride quando la figlia di Shylock, Jessica, dopo essere fuggita dall'oscura casa paterna per rifugiarsi tra le braccia del suo amato, dichiara: "Ma sarò salvata grazie a mio marito. Ha fatto di me una cristiana". Si rabbrividisce quando l'implacabile Shylock affila il coltello sulla suola dello stivale. Si applaude alla risoluzione del dilemma, quando l'ingegnosa Porzia riesce a escogitare il cavillo legale che smonta il piano omicida messo a punto da Shylock. Colui che aveva insistito sulla necessità di applicare alla lettera la legge viene smontato dalla stessa lettera della legge. Ma, allo stesso tempo, ci si sente a disagio. Cosa stiamo applaudendo esattamente, cosa ci fa sorridere? Con che occhi osserviamo la figlia ebrea che deruba il proprio padre e affida il denaro al suo spasimante cristiano, che è un cacciatore di dote? Ci uniamo alla risata rauca dei cristiani che disprezzano l'ebreo e su di lui sputano? Da che parte stiamo, alla fine della tormentata scena nella corte d'appello, quando Porzia chiede all'uomo che ha rovinato se accetterà le condizioni da lei dettate, condizioni che prevedono che l'uomo diventi immediatamente cristiano:"Ti sta bene, giudeo? Che hai da dire?". E cosa pensiamo senta davvero l'ebreo quando risponde: "Mi sta bene"?

Stephen Greenblatt, Harvard University
Pagine Ebraiche, agosto 2016

(traduzione di Giulia Castelnovo, studentessa della Scuola Superiore per Traduttori di Trieste e tirocinante presso la redazione giornalistica UCEI. Nell'immagine scattata da Andrea Messana, un momento della rappresentazione de "Il Mercante di Venezia" nella piazza del Ghetto)

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VENEZIA, GLI EBREI, L’EUROPA – IL PROCESSO

Quelle domande che danno fastidio

img headerA quattro secoli dalla stesura e dalla sua prima rappresentazione, Il Mercante di Venezia continua ad essere un'opera complessa ed enigmatica, da cui scaturiscono più domande che risposte. Il quesito posto sotto mentite spoglie da Porzia al suo ingresso nel tribunale - "Chi è il mercante qui, e chi l'ebreo?"- deve essere inteso letteralmente o preso per una battuta? Seguiamo la versione in Folio del 1623, quando Gobbo dice a Jessica: “Se un cristiano non fa il furfante per prenderti, mi sbaglio di grosso” o il testo del 1632 dove il tempo verbale è diverso (“ha fatto”, invece di “fa”, la lettura preferita da molti editori moderni, suggerisce Shylock sia stato tradito e il vero padre di Jessica fosse un cristiano)? Porzia è razzista quando dice del suo corteggiatore deluso, un principe del Marocco musulmano e dalla pelle scura: “Che tutti coloro che sono del suo colore mi scelgano così”? Antonio è "così triste" a causa delle sue preoccupazioni per i soldi o perché il suo amore non autorizzato per Bassanio non è corrisposto? L'opera è problematica perché il ritratto di Shylock è brutalmente antisemita? O, invece, risulta sconcertante perché mostra come orrendi pregiudizi condizionano il pensiero o l'azione di coloro che hanno incertezze sulla propria identità - gentili o ebrei - quando si trovavano sotto minaccia? O, forse, lo è perché evidenzia come l'ostilità nei confronti di ogni tipo di differenza (razziale, nazionale, sessuale o religiosa) sfigura gli intolleranti e inasprisce qualsiasi società che la legittimi? Ogni produzione e ogni rilettura di quest'opera inquietante ci sfida a confrontarci con queste e molte altre domande che continuano a dare fastidio.

James Shapiro, Columbia University
Pagine Ebraiche, agosto 2016

(Traduzione di Ilaria Modena, studentessa della Scuola Superiore per Traduttori di Trieste
e tirocinante presso la redazione giornalistica UCEI. Nell’immagine un particolare del figurino di Shylock per Il mercante di Venezia 1934. Titina Rota, collezione di Silvia Blanchaert Rota, Milano)

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orizzonti 

"Chiedo ai musulmani
di mobilitarsi"  

Sinceramente, e lo scrivo col sorriso sulle labbra, mai avrei immaginato che un famigerato seguace del politicamente corretto come il sottoscritto si potesse trasformare con tanta rapidità in un emulo della Fallaci. Il mio articolo, vergato sull’onda emotiva dei fatti di Nizza, non era una chiamata di correo, ma una mano tesa e una richiesta di collaborazione. 
Mi spiace che le voci critiche, alcune intrise di un vittimismo francamente stucchevole, abbiano ignorato il riferimento storico alla vicenda delle Br. Neanche gli operai comunisti erano fiancheggiatori dei brigatisti. Anzi, è proprio perché non lo erano che riuscirono a isolarli. Ma cominciarono a farlo il giorno in cui smisero di usare formule generiche come l’attuale «Not in my name» per riconoscere che la malapianta non veniva da Marte, ma dal loro stesso giardino. Non dubito che la giornalista italiana di religione islamica che si rifiuta di considerarmi suo fratello sia in prima fila nel battersi per estirpare la pianta che uccide «infedeli» e musulmani in numero addirittura superiore. Ma non può affermare in coscienza che il giardino le sia estraneo (i seminatori di morte agiscono in nome di Allah) né che gli islamici d’Occidente impegnati con lei nella difesa dei nostri valori - in primis la laicità delle istituzioni e del diritto - siano già la maggioranza.

Massimo Gramellini, La Stampa
24 luglio 2016


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orizzonti

I volontari carnefici
del Califfo    

L’efferato attacco alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray nasce dall’ideologia apocalittica dei jihadisti, esalta l’identità peculiare del terrorismo che aggredisce l’Europa e cela la strategia dell’Isis di innescare una guerra civile nei nostri Paesi in maniera analoga a quanto gli è riuscito in Iraq e Siria. L’obiettivo prescelto e il brutale assassinio dell’84enne prete Jacques Hamel sono figli dell’ideologia jihadista che divide il mondo in «luce» e «oscurità» ovvero i sunniti salafiti che predicano la violenza e tutti gli altri esseri umani. Per gli assassini di Hamel non c’ è alcuna differenza fra chiese, moschee sciite, moschee sunnite non jihadiste, sinagoghe, templi buddisti, indù, shintoisti o altari animisti. Portare la distruzione nei luoghi di culto di «musulmani corrotti, infedeli, crociati ed ebrei» è la loro missione. Il piano rientra nel disegno escatologico della sottomissione del Pianeta a un grande Califfato. Gli autori dell’attacco sono due musulmani locali che hanno scelto di aderire a Isis. E’ una dinamica simile alle recenti stragi di Nizza ed Orlando: i «lupi solitari» sono dei singoli che scelgono di diventare «soldati dell’Islam» come li definisce Isis. Contagiati dal jihadismo per convergenze ideologiche o vulnerabilità personali diventano i volontari carnefici del Califfo.


Maurizio Molinari, La Stampa
27 luglio 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Tesoro

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Tal Nitzan è una poetessa dalle liriche penetranti le cui costruzioni poetiche sono tessute di parole terse e a volte durissime, che ci permettono di leggere a fondo la situazione intima di una donna impegnata e di ampia cultura, nata a Buenos Aires, vissuta a Bogotá, a New York e ora in Israele. È traduttrice di poesia latino-americana, ha pubblicato sei libri di poesia e lavora come redattrice per diverse riviste e case editrici. Nel mese di giugno era ospite del Festival di Poesia di Genova, “Parole spalancate”. La poesia Tesoro sembra scritta per i giorni nostri. Via il terrore, via l’uomo disumano e coloro che fomentano l’odio, via l’estate cocente e l’inverno gelido, chiede Nitzan. Il mondo fuori non capisce “Che tu sei il tesoro celato a loro inaccessibile e io sarò il tesoro celato per loro incomprensibile”. I veri tesori che abbiamo.
 
D’inverno le sentinelle strappavano coperte dalla pelle
dei residenti nel giardino.
Uno di loro non avrebbe superato il giorno.

In primavera furono lanciate bottiglie alla cieca
contro le case marchiate e il fuoco divampò.

Di notte cercai riparo nel tuo corpo
come un bimbo rifugiato in un gelso.

Nulla, a parte sentire il tuo respiro
e adagiarmi, distesa su di te
e per un istante
non vedere il nembo di veleno,
l’ultimo,
che incombe, pesante.

Cos’altro dirti

Che nella mia angustia tu sei il tesoro celato
a loro inaccessibile

Che nella tua angustia io sarò il tesoro celato
per loro incomprensibile.

Traduzione di S. Kaminski e M. T. Milano


Sarah Kaminski, Università di Torino

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