VENEZIA, GLI EBREI, L’EUROPA – IL PROCESSO Shylock, la Corte rende giustizia

scuola_grande_di_san_rocco-1“Complicata dalla storia dell’antisemitismo, la rappresentazione e la lettura del Mercante sono, oggi più che mai, una sfida alla capacità di comprensione e all’onestà degli interpreti. Nella figura dell’usuraio ebreo, che chiede al mercante cristiano una libbra di carne a garanzia di un prestito, Il mercante di Venezia compendia secoli di pregiudizio antiebraico: l’ebreo, discendente di deicidi, estraneo per eccellenza e disumano profittatore, è l’essere per il quale qualsiasi vessazione non è che giusta punizione”. Così ha scritto Dario Calimani introducendo la sua nuova traduzione del Mercante, edita da Marsilio. Ma questo è solo uno dei problemi che ha dovuto affrontare la giuria del processo d’appello intentato da Shylock contro Antonio e la Repubblica di Venezia, e contro Porzia. Presso la Scuola Grande di San Rocco, però, si è tenuto molto più che un processo simulato: la giuria, composta da Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti insieme alla giurista internazionalista Laura Picchio Forlati (Università di Padova), con John R. Philips, Ambasciatore americano in Italia, Richard Schneider (Wake Forest University), e con l’avvocato Fabio Moretti ha deliberato, dopo aver ascoltato gli avvocati dei contendenti, di annullare la richiesta della libbra di carne e rendere i tremila ducati a Shylock. Ma anche di rendere nulla la richiesta di conversione, e di punire Porzia per aver agito da giudice in un processo in cui era chiaramente parte in causa. Ma il pomeriggio ha mostrato chiaramente come le questioni aperte restino comunque moltissime. Riproponiamo i testi tratti dal libretto prodotto dall’Università Ca’ Foscari insieme alla Compagnia de Colombari in occasione della rappresentazione del Mercante in Ghetto, pubblicati sul dossier Venezia – I 500 anni del ghetto“, curato da Ada Treves e attualmente in distribuzione con il numero di agosto di Pagine Ebraiche.

“Chi è il mercante qui? E chi è l’ebreo?, chiede Porzia quando entra in aula travestita, ovviamente, da Baldassarre, dottore in legge. Il travestimento da uomo di Porzia è assimilabile alla sua confusione: possibile che non riesca a individuare l’ebreo a prima vista? Attraverso i testi, meravigliosamente sottili e impliciti, Shakespeare sta suggerendo che Porzia opera anche un travestimento religioso: parla forse in nome del Cristianesimo quando parla di misericordia, o in aula le sue manovre legali provengono dalle argomentazioni rabbiniche (o quantomeno così percepite dai cristiani) ma mascherate da ragionamenti cristiani? Porzia proclama quale deve essere la natura universale del perdono: “La natura della misericordia non si può forzare, cade come la pioggia gentile dal cielo sulla terra in basso: è due volte benedetta; benedice colui che la esercita e colui che la riceve” (IV,1) Esaminando l’accordo di Shylock con Antonio, Porzia sembra sul punto di accordargli la sua libbra di carne. Shylock accoglie la sua sentenza con gioia: “O nobile giudice! O giovane eccellente! O saggio e retto giudice! O giudice colto!” Ma arriva poi il climax quando Porzia annuncia, con voce indubitabilmente traboccante di sadica soddisfazione: “Aspetta un momento, c’è qualcos’altro: questa obbligazione non ti concede neanche una goccia di sangue; le parole dicono espressamente ‘una libbra di carne’. Prendi dunque la tua penale, prendi la tua libbra di carne; ma se, nel tagliarla, versi una goccia di sangue cristiano (le tue terre e i tuoi averi sono, per le leggi di Venezia, confiscati dallo stato di Venezia).” Il discorso di Porzia sulla misericordia è molto bello, ma ciò che la corte applica al caso di Shylock è legge, non misericordia. Shakespeare non sta svolgendo una funzione didattica dal punto di vista teologico, usa l’ironia per chiamare in causa le varie categorie. Porzia, il presunto avvocato della misericordia diventa l’ebreo intelligente e legalista – ma travestito, col suo abito da uomo. Sconfigge Shylock attraverso un metodo ebraico, non cristiana, utilizzando il pilpul, il meticoloso metodo talmudico capace di spaccare un capello in quattro, una strategia rabbinica utilizzata frequentemente. La meticolosità può rivelarsi uno strumento ottimale per vincere una causa legale, ma ha finito per esemplificare la critica che il cristianesimo fa all’ebraismo, visto come ossessionato dalla parola della Legge, che lo porterebbe a trascurare lo spirito della religione. Nel Vangelo e nelle lettere dell’Apostolo Paolo viene condannato il legalismo ebraico; ipocrisia, la chiama Gesù quando i Farisei – guai a loro! – si preoccupano della lunghezza delle frange rituali e dell’ampiezza dei loro filatteri. Shylock, in quanto uomo di religione ebraica, rappresenta la vecchia legge, mentre Porzia, donna cristiana, ritrae verosimilmente la nuova legge. Eppure, l’appello alla misericordia invocato da Porzia, in risposta alla vendetta di Shylock verso Antonio, si annulla nel momento in cui la corte cristiana esercita la propria rivalsa contro Shylock. Le tensioni esistenti tra vendetta e perdono, tra legge e amore: si tratta di clichés che Shakespeare sta forse chiedendo a noi di mettere in discussione. Dopotutto Porzia dimostra come lo spirito cristiano di cui si fa portavoce trasformi rapidamente la misericordia in pedanteria e vendetta contro l’ebreo. È veramente l’ebraismo una religione di legalismo, insensibile alla misericordia e desiderosa di vendetta? È vero, i profeti biblici urlano di rabbia, ma la loro è una forma d’indignazione nei riguardi dell’insensibilità e della crudeltà degli esseri umani. L’indignazione morale dei profeti è “bruciante compassione verso gli oppressi.” (Profeti, 256). Nel cuore della teologia ebraica risiede la fiducia nel pathos divino, nella consapevolezza che Dio ha bisogno di noi ed è profondamente toccato dall’agire umano. Abraham Joshua Heschel scrive: “Vivere da Ebreo significa vivere in armonia il rapporto tra la buona condotta di un essere umano e l’Infinita Santità, tra la compassione di un essere umano e la misericordia dell’Eterno.” Dio viene messo in discussione dai rapporti tra esseri umani. La battaglia all’interno della corte veneziana sorge perché la misericordia viene contrapposta alla giustizia, e nessuna delle due può esistere da sola. Heschel scrive che nell’ebraismo “Dio governa il mondo attraverso la giustizia e la compassione, attraverso l’amore.” (Profeti, 280). Giustizia senza misericordia può portare all’austerità etica ed arrivare a giustificare l’indifferenza con troppa facilità. D’altro canto, una misericordia senza giustizia può menare alla bontà, ma a una bontà che non allevia la sofferenza. Nell’ebraismo, Dio non è semplicemente conforto ma una sfida, e per un ebreo l’indifferenza è il più grande dei peccati. Così come gli stessi Vangeli, Il mercante di Venezia può essere interpretato come testo antisemita o come una critica dell’antisemitismo cristiano. Esplora le straordinariamente complesse risonanze che risultano dalla configurazione teologica idiosincratica del complicato intreccio esistente tra Cristianesimo ed Ebraismo. Siamo così chiamati, delicatamente, a non vedere le religioni come antagoniste ma, piuttosto, a condurre i differenti sguardi sul mondo verso l’armonia.

Susannah Heschel, Dartmouth College
Pagine Ebraiche, agosto 2016

(traduzione di Giulia Castelnovo, studentessa della Scuola Superiore per Traduttori di Trieste e tirocinante presso la redazione giornalistica UCEI. La fotografia è di Giovanni Montenero)