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2 Settembre 2016 -  29 Av 5776
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
La lontananza fisica mi permette di essere folle e di decidere che Alberta Levi Temin sia sempre lì, a casa sua, con la luce del mare di Napoli che entra nel suo salotto tra il tavolo da pranzo e la lampada dei Pardo.
Alberta è lì che risponde al telefono, organizza la sua fitta agenda di donna ebrea e non è mai stanca di insegnare, di testimoniare, di lavorare per il dialogo interreligioso e di costruire pace.
Una donna che, partendo dal terribile dolore del maledetto 16 ottobre del 1943, ha fatto della sua esperienza un impegno per il mondo.
Posso quindi decidere che Alberta non è in casa perché sta organizzando la propria partecipazione ad una giornata di studio, perché è invitata ad un convegno sulla pace ed è pronta a difendere le ragioni del dialogo, semplicemente dialogando, senza svendere le proprie convinzioni o il proprio sionismo, lei che è anche bisnonna di giovani israeliani.
Posso decidere che Alberta non è in casa perché impegnata con l’Adei di Napoli e sta organizzando la vendita di Channukkà, sta sistemando i guanti sui tavoli, sta preparando una degna accoglienza per il conferenziere di turno.
Follemente posso anche immaginare che Alberta abbia preparato il caffè e le pesche con gli amaretti e ti aspetta per parlare, consigliare ed ascoltare almeno fino al suo: “Senti.”
Un “senti” detto con un accento ferrarese più forte, un “senti” dopo il quale bisogna stare zitti ed imparare dalla sua saggezza ed esperienza.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Mia nonna, Bruna Levi, è nata nell’aprile del 1915, un mese prima dell’entrata in guerra dell’Italia, tempi difficili. Era la prima di quelle che sarebbero state le mitiche tre sorelle Levi (chissà come rodeva il nonno Carlo, neppure un maschietto). La seconda, Alberta, nacque nel 1919, subito dopo la Grande Guerra. Nel frattempo Carlo e Bianca (i genitori) si erano visti ben poco, Carlo al fronte, sul Carso, e Bianca a casa a Guastalla. Carlo se l’era fatta a piedi la ritirata di Caporetto, fino al suo paese in Emilia. Alberta – che è il soggetto di questa mia breve riflessione – era nata come segno dell’ottimismo, della fine di quella che avrebbe dovuto essere l’ultima guerra. E questo tratto rimase in lei caratteristico sempre: una visione positiva della vita, anche nelle situazioni più tragiche (e tante ne dovette affrontare). Poi, subito prima dell’avvento del fascismo, nacque anche Piera, la più giovane. Lei in seguito si innamorò di un cugino veneziano e alla fine decise di seguirlo in Palestina dopo la guerra e di generare con lui nella nuova terra d’Israele una miriade di figli e nipoti. Tutti i figli, i nipoti e i pronipoti di queste tre sorelle hanno fra loro un legame particolare, che si rinnova spesso in momenti di gioia, quando nascite e matrimoni puntellano le varie dinamiche famigliari. Da tre ragazze di Guastalla siamo diventati più di 50, sparsi un po’ ovunque nel mondo. Che poi se consideriamo anche i membri della famiglia cugina dei Ravenna e dei discendenti Pardo, beh, i numeri diventano da tribù.
Questa notte Alberta, per me la zia Alberta, ha deciso di seguire le sue sorelle e di andarsene, alla giovane età di novantasei anni. Intendiamoci, lo sapevamo. Era da tempo che ce lo diceva in tutti i modi. Ma lo faceva sempre con quella sua voce positiva e autorevole, dolce e convincente, che ci prospettava sempre e comunque un avvenire positivo a cui guardare con fiducia e verso il quale lavorare con l’impegno personale. Due giorni fa l’ho chiamata e sapevo che l’avrei sentita per l’ultima volta. La sua voce particolare stava ormai svanendo in percorsi che portavano lontano, nel passato della famiglia a cui tutti eravamo e siamo legati. Se ne potrebbero dire tante su Alberta, e tanti hanno scritto su di lei. La sua vita è finita in romanzi, in lunghi articoli, interviste. L’ultima uscita pubblica, per così dire, è stata offerta a tutti gli italiani quando è stata celebrata con altre dieci donne come una delle “ragazze del ’46”, le prime donne che votarono in Italia. Ma io di lei voglio ricordare principalmente il suo aspetto caratteriale, o per lo meno quello che mostrava a me. Lo faccio perché credo che sia importante dirlo forte: mia zia Alberta è stata un simbolo di resilienza e di resistenza. Ha saputo affrontare prove estreme e rielaborarle in forme sempre positive. Ha superato con coraggio l’epoca delle persecuzioni razziste e subito (subito!) dopo si è sposata, per rispondere con la generazione alla distruzione. Ha supportato fino all’ultimo il suo amatissimo marito, per me lo zio Fabio (Temin), che mi portava bambino sulla Cinquecento e mi faceva “guidare”. E quando è mancato, lo ha onorato di un amore devoto e continuo. Un amore che l’ha spinta a impegnarsi in un’attività di testimonianza mai lamentosa e sempre forte e positiva, che ha affascinato generazioni di studenti. Le sono grato, perché fra queste generazioni è riuscita ad affascinare anche mia moglie e i miei figli, dando un senso a quella continuità che è, in fondo, il grande dono che l’ebraismo porta con sé. Grazie.
 
Da Viale Jenner all'Isis
Tra i nomi più in vista del Califfato, come noto, anche un terrorista radicalizzatosi in Italia. Sfuggito all’arresto negli scorsi giorni, Abu Passim continua a costituire una minaccia molto significativa. Come ricorda oggi La Stampa: “Abdelkader Ben Moez Fezzani, noto anche come Abu Nassim, è ancora libero e guida i suoi compagni di jihad. E questo ci preoccupa. Perché Fezzani è innanzitutto un reclutatore, ma anche un pianificatore di attentati micidiali. Ed evidentemente non è un caso – si legge – se il pm Maurizio Romanelli, capo del pool Antiterrorismo, di recente ha ripreso in mano il suo caso”.

I giornali approfondiscono i molti lati oscuri della figura di Ryke Geerd Hamer, il medico-santone tedesco cui si devono le folli teorie seguite dai genitori di Eleonora Bottaro, la 18enne padovana morta per una leucemia non curata.
Scrive il Corriere: “È un guru, per chi gli crede e segue la Nuova medicina germanica. Un ciarlatano, per chi non gli crede, poiché non ha mai fornite prove scientifiche della sua teoria. Lui denuncia persecuzioni di ogni tipo, da casa Savoia alla P2, fino agli ebrei che sarebbero dietro all’egemonia della chemioterapia nella lotta al cancro. Posizioni deliranti, in perfetta armonia con l’idea che la Shoah non sia mai esistita”.
 
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  davar
FESTA DEL LIBRO EBRAICO - la sfida 
L
a nuova cultura dell'incontro
C’è stato un giorno, nella nostra storia recente, in cui le vicende degli ebrei italiani sono tornate in movimento, le nostre responsabilità sono tornate in gioco. Il giorno in cui si è cominciato a parlare di cultura, di storia e di Memoria in un modo nuovo. Quando siamo stati chiamati da Roma, da Ferrara e dalle mille voci della società civile a pensare a un museo dell’ebraismo italiano.
Era davvero un museo, quello che attendevamo, ciò di cui abbiamo bisogno? E che cosa si intende, in definitiva, quando si parla di un museo. In particolare quando pensiamo a un museo delle idee e delle cose ebraiche e in particolare quando parliamo di un ebraismo come quello italiano, che è ancora in cammino, ma ha alle spalle oltre due millenni di storia italiana da testimoniare?
Tutti sappiamo che nel dizionario ebraico il termine “museo” non esiste. Che il concetto può essere espresso solo ricorrendo a radici straniere o, peggio ancora, a goffi giri di parole. Per noi valgono altri itinerari, contano le idee vive, più che i reperti. Eppure contano, eccome, anche la Storia, le idee, la Memoria, le testimonianze, i libri. Contano ovviamente gli strumenti e i luoghi di preghiera. E sempre di più conta l’architettura, intesa come progetto per vivere assieme.
Costruire nuovi musei, ma soprattutto, con il sostegno del Governo italiano e dell’opinione pubblica, costruire a Ferrara il catalizzatore di tutti i musei ebraici italiani, conta. Anche se probabilmente non siamo capaci di pensare ai musei esattamente negli stessi termini di quelli proposti dalla cultura dominante. Non riusciamo a costruire ermetici forzieri dove allineare i tesori del passato. Celebrare un passato che ha perduto i suoi legami con il presente è un esercizio che non ci appartiene e non ci auguriamo. Un museo dell’ebraismo in questi termini lo voleva costruire a Praga, nemmeno tanti anni fa, una marionetta isterica e sanguinaria, cullandosi nell’illusione di cancellare con il genocidio ogni presenza ebraica viva in Europa.
No, non può assomigliare a questo, il museo di cui sentiamo il bisogno. Si rende quindi necessaria, per gli ebrei italiani, una riflessione seria.
Gli ingredienti per Ferrara e per la fitta rete di musei ebraici locali che hanno nel frattempo messo felicemente radici, spesso grazie all’eroico lavoro delle comunità e dei volontari locali, sono un’alchimia molto più complicata. I reperti e le testimonianze devono uscire dalle vetrine e tramutarsi in esperienze da vivere. I libri devono tornare oggetto di studio. Le sale conferenze devono essere luoghi di conoscenza, non d’accademia. Le porte d’ingresso devono aprirsi e accogliere una community di visitatori ricorrenti, italiani che assieme agli ebrei italiani si sentano a casa, non staccare biglietti ad anonimi visitatori sporadici. Se sarà così, se potranno realizzarsi i sogni di tutti coloro che con dedizione e professionalità lavorano oggi per i musei ebraici vivi, se i musei non saranno solo le istituzioni dove si contano le presenze e le visite guidate, ma i luoghi dell’incontro fra gli ebrei italiani e i cittadini di tutto il mondo, per l’ebraismo italiano potrà aprirsi un capitolo nuovo. E non solo perché costruire i luoghi dell’incontro è una sfida sempre appassionante. Ma perché da questi incontri, se ben impostati, se concepiti nel più rigoroso rispetto dell’identità e della religione ebraica, che gli ebrei italiani hanno la responsabilità di preservare prima di ogni altra cosa, può dipendere quella sicurezza e quel benessere di cui ogni minoranza ha bisogno per vivere serenamente in una società enormemente più grande, complessa e contrastata. Per raccogliere la sfida dei musei, gli ebrei italiani dovranno mettere da parte ogni tentazione di protagonismo, ogni sentimento di gelosia, ogni cedimento alla mancanza di professionalità. E potranno contare, se vorranno dare ascolto, su alleati preziosi. Le componenti, nazionali e locali, degli Esecutivi interessati. Il coinvolgimento delle popolazioni locali. L’esempio dei laboratori che il ministro della Cultura Dario Franceschini ha voluto aprire in tutti i maggiori musei italiani con la recente nomina di dirigenti preparati e ambiziosi, spesso chiamati dall’estero a proteggere e sviluppare la sola industria capace di salvare i destini italiani: quella della cultura e del turismo. Vincere questa scommessa non consentirà solo di aprire nuovi musei, ma sarà un modo per riprendere in mano il nostro destino segnato dalle mille ferite della storia. E il biglietto d’invito che potremo offrire a tutti i cittadini starà a significare che nei musei, nei nostri musei, potremo incontrarci e tornare ogni giorno per riscoprire in ogni stagione come l’Italia che amiamo, quella che appartiene a noi tutti, cittadini italiani e cittadini del mondo, non sarebbe la stessa se tralasciasse i destini degli ebrei italiani.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche Settembre 2016

(Nell’immagine visitatori in fila al museo Polin di Varsavia)

festa del libro ebraico - l'inaugurazione
Una notte tra musica e progetti
Il celebre trombettista jazz italiano Enrico Rava lo ha descritto come uno dei musicisti più talentuosi della nuova generazione. Sarà lui, l’israelo-americano Avishai Cohen (assieme a Yonathan Avishai al piano, Barak Mori al basso e Nasheet Waits alla batteria), a inaugurare la nuova edizione della Festa del Libro ebraico di Ferrara sabato 3 settembre (ore 21.30) nella cornice rinascimentale del Giardino di Palazzo Roverella. Prima delle note jazz del trombettista Cohen, saranno le autorità a portare il loro saluto al pubblico, con l’intervento tra gli altri della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni. Alla stessa ora, ingresso gratuito negli attuali spazi temporanei del Meis (Via Piangipane 81), tra la mostra Torah fonte di vita, dove è esposta parte della collezione del Museo della Comunità ebraica di Ferrara, e l’Omaggio a Giorgio Bassani di Ferrara Off, che fa tappa al bookshop del Museo con la propria biblioteca itinerante di letteratura. Infine, alle 21.45, un altro evento speciale, Aperto anche di notte: la visita al cantiere del Meis in notturna, per far toccare con mano al pubblico lo stato di avanzamento dei lavori (iniziativa a cura del Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per l’Emilia-Romagna).
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TERREMOTO - ENTI EBRAICI AL LAVORO
Solidarietà alle comunità colpite, un'azione rivolta su più fronti
Prosegue l'azione di sostegno del mondo ebraico italiano e internazionale alle popolazioni colpite dal terremoto. Quasi 30mila gli euro raccolti grazie alla raccolta fondi intrapresa dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e in sinergia con realtà quali European Jewish Congress e American Jewish Joint Distribuition Committee.
Significativi anche i risultati della raccolta sangue predisposta all'ospedale Fatebenefratelli di Roma, insieme alla Comunità ebraica locale, nelle ore immediatamente successive al sisma. Molte decine le persone che hanno fatto questa scelta.
L'UCEI, in stretto raccolto tra gli altri con l'Associazione Medica Ebraica, è inoltre al lavoro per formare un pool di professionisti da inviare nei comuni maggiormente interessati dal terremoto, dove già operano i volontari della ong IsraAid (realtà d'eccellenza della cooperazione israeliana, con cui proseguono intensi i contatti e gli scambi di informazioni).


mondiali 2018, verso israele-italia
Tal Banin, da Haifa alla Serie A:

"A Brescia gli anni più belli"
Ormai, da qualche mese a questa parte, c’è solo una pagina abilitata a decretare se appartieni al club. Se ci sei, sei leggenda. Se non ci sei, evidentemente no. Tal c’è. La pagina è naturalmente quella di “Serie A – Operazione Nostalgia”, il più bel prodotto di informazione sul calcio Anni Novanta mai realizzato sui social network.
Quasi quattrocentomila seguaci a sancire il successo di un’iniziativa che va oltre i grandi traguardi raggiunti dai club italiani in quell’epoca, per riscoprire l’emozione di una storia o di un gesto che hanno fatto innamorare i tifosi.
“Non ho mai dimenticato l’Italia, un paese che ho sempre nel cuore” spiega al portale dell’ebraismo italiano Tal Banin, guardiano del centrocampo del Brescia dal 1997 al 2000 e primo giocatore israeliano a militare in Serie A.
Accolto con un misto di scetticismo e curiosità, il suo acquisto avvenne otto anni dopo la triste vicenda relativa all’attaccante Ronny Rosenthal, che l’Udinese scelse all’ultimo di non tesserare a causa, la tesi più accreditata, dell’influenza negativa che ebbero alcune manifestazioni di odio antisemita dei supporter friulani.
“Ho sempre avuto l’Italia nel destino. O almeno da quando, 11enne, vidi la finale di Spagna ’82 tra gli Azzurri e la Germania. La corsa di Tardelli dopo il suo goal mi fece letteralmente emozionare e da allora ho sempre tifato per voi in ogni manifestazione. Arrivare in Serie A – spiega Banin – fu il coronamento di un sogno”.
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QUI FIRENZE
Balagan, la sfida a porte aperte

si chiude con un nuovo successo
La sfida a porte aperte è stata vinta ancora una volta. La quarta. Oltre seicento persone hanno infatti assistito alla serata conclusiva del Balagan Cafè, il festival organizzato dalla Comunità ebraica nei giardini della sinagoga che dal 2013 è appuntamento centrale dell’estate fiorentina‎.
Sul palco ieri l’artista Raiz e le sue musiche del mediterraneo. Ma stimoli e risposte positive dal pubblico non sono mai mancate in questa edizione, sottolinea l’assessore comunitario alla Cultura Laura Forti. “Il Balagan Cafè – afferma – si conferma un evento molto atteso dalla cittadinanza e un’occasione davvero preziosa per questa Comunità per aprirsi e raccontarsi. Un doppio binario su cui è costruita l’impalcatura di questa manifestazione”.
Tanti gli ospiti che hanno declinato il tema delle lingue e dei linguaggi di cui è permeato l’ebraismo, anche musicali artistici. Un filo conduttore che sarà presto preso in eredità dalla Giornata Europea della Cultura Ebraica, che tradizionalmente vede nella realtà fiorentina una delle Comunità piu’ vivaci e propositive. “Stiamo ultimando i preparativi per offrire una Giornata all’altezza delle aspettative di un tema così complesso e affascinante. E al tempo stesso – spiega Forti – lavoriamo per creare nuove occasioni di incontro anche durante l’autunno”.
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PASSO FALSO DELLA SETTIMANA ENIGMISTICA
Mosè e le Tavole, una vignetta che non fa per niente ridere

Se l'obiettivo era strappare una risata, è clamorosamente fallito. Di ironia ne vendiamo infatti assai poca, quanto un patetico e maldestro tentativo di giocare con pregiudizi che mal si prestano allo scopo. Lasciamo al lettore ogni ulteriore valutazione sulla vignetta pubblicata a pagina 33 sul numero da ieri in edicola della Settimana Enigmistica. Davvero un clamoroso passo falso per quella che si fregia di essere la più antica e gloriosa pubblicazione del settore.
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pilpul
Suggestive analogie
Una cultura millenaria, con una propria lingua e un proprio alfabeto, in cui la religione ha un ruolo determinante. Secoli di persecuzioni culminati in un genocidio che qualcuno si ostina a negare. L’orgoglio ma anche la responsabilità e il peso della memoria. L’interazione continua con una diaspora spesso ricca e influente.
Le analogie tra gli ebrei e gli armeni suonano suggestive, e a una prima impressione offuscano le altrettanto evidenti differenze nella politica, nell’economia, nel peso della diaspora (quella armena è in proporzione molto più consistente); senza contare la ben diversa capacità di assumersi le proprie responsabilità da parte della nazione che ha perpetrato il genocidio, cosa che forse consente a noi ebrei un rapporto con la memoria un po’ più pacificato. Dunque le differenze ci sono, e sono notevoli. Eppure in alcuni momenti percorrendo l’Armenia da turisti e ascoltando le spiegazioni delle guide si ha l’impressione di poter osservare una volta tanto dall’esterno dinamiche che noi ebrei siamo abituati a vivere dall’interno: la ricerca di un rapporto equilibrato con la memoria, l’urgenza, ma anche la difficoltà, di rendere i visitatori consapevoli di ciò che è stato, le reazioni dei visitatori stessi, in cui alla pietà e al desiderio di conoscere si mescola talvolta anche una punta di insofferenza per una storia che non fa piacere ascoltare.
Curiosamente queste somiglianze sembrano essere notate solo da me; o, per lo meno, nessuno tra i miei compagni di viaggio ne parla a voce alta. Sarà solo un caso o davvero a sentir parlare di genocidi alla gente non vengono più in mente gli ebrei? E, se così fosse, vorrebbe dire che ci si sta dimenticando della Shoah? Che ancora una volta le persecuzioni subite dagli ebrei vengono ignorate o rimosse? Oppure vorrebbe dire che gli ebrei non sono più percepiti come le vittime di un terribile passato ma come i portatori di una cultura viva e volta verso il futuro? Sarebbe bello poter credere a questa seconda ipotesi, anche se temo che la ragione ci spinga verso la prima.


Anna Segre, insegnante

L'ipocrisia turca
Come riportavano alcune testate, tra cui Haaretz, il ministro degli esteri turco ha condannato gli attacchi aerei di due settimane fa di Tzahal nella Striscia di Gaza – effettuati in risposta al lancio di alcuni razzi nell’area di Sderot – affermando: “Il fatto che i nostri legami con Israele si siano normalizzati non significa che rimarremo in silenzio di fronte a determinati attacchi che colpiscono il popolo palestinese”.
Trovo ipocrita e ridicolo che la Turchia possa criticare Israele, quando oltre a continuare a condurre una dura repressione contro i propri oppositori interni, sta da tempo bombardando le proprie regioni curde nel sud-est del paese, e da giorni, con il pretesto di combattere Daesh, è entrata in territorio siriano per minacciare le zone ad ovest dell’Eufrate controllate dalla regione curda del Rojava. Tra l’altro appoggiando i cosiddetti “ribelli”, ribattezzati ufficialmente Free Syrian Army, composti in realtà da milizie spesso intrise di salafismo con legami con gruppi come Al-Nusra o Ahrar al-Sham.


Francesco Moises Bassano
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Dura cervice
"Vedi dunque, Io pongo oggi davanti a te la benedizione e la maledizione" (Reè).  Per fare attenzione evidentemente non basta ascoltare, sentire o immaginare, ma tutto si deve palesare in un semplice e visibile presente. Sensazioni, pensieri e parole diventano eventi. L'essere umano d'altra parte è di dura cervice e passa la sua vita a scoprire ciò che non capisce.

Ilana Bahbout



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