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8 settembre 2016 - 5 elul 5776
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orizzonti

Tradizione ebraica e partecipazione politica
Al voto per rendere il mondo migliore

img headerQuella 2016 non è stata sicuramente un’estate all’insegna della spensieratezza. Attacchi terroristici, catastrofi naturali e terremoti politici hanno gettato un’ombra sul tradizionale tempo delle vacanze. Ad aprire la stagione delle incertezze è stato lo scorso giugno un appuntamento elettorale, il referendum sulla Brexit, che ha visto la vittoria di coloro che sostenevano l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Un preludio a quello che si preannuncia un anno di test importanti, dentro e fuori dai confini dall’Europa. Così mentre i cittadini italiani si preparano a votare per il referendum costituzionale, gli americani a eleggere un nuovo presidente, così come i francesi (la prossima primavera) e i tedeschi (nell’autunno 2017), ci si può chiedere, qual è l’approccio della tradizione ebraica al diritto-dovere di votare?
“Il contesto in cui la legge ebraica ha riconosciuto i diritti politici è quello della comunità locale” spiega Haim Shapira, docente della facoltà di legge dell’Università di Bar Ilan, in un articolo dedicato al tema del “Diritto alla partecipazione politica nella tradizione ebraica”. Nell’approfondimento, Shapira prende in considerazione diverse fonti, a partire dal Talmud, che si sono occupate nella questione, con una avvertenza: “il principale ostacolo di occuparsi di diritti nell’ambito dell’halakha (legge ebraica) è che essa si occupa di doveri. Di conseguenza per parlare di diritti è necessario farli discendere dai doveri”. La sua conclusione è quella che la tradizione ebraica abbia progressivamente introiettato ed enfatizzato il concetto di partecipazione politica, e che anzi, guardando a Israele “contrariamente alla diffusa affermazione che esista una contraddizione tra cultura democratica e valori ebraici, questi ultimi abbiano invece creato un’ampia base per l’accettazione dei principi della democrazia”.
A chiedersi se votare sia per gli ebrei equiparabile a un Comandamento, è stato il giornale ebraico Moment, che ha posto il quesito a diversi rabbini.

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ORIZZONTI

Né a destra, né a sinistra

img headerUno dei momenti più alti della poesia religiosa ebraica è rappresentato dalle Selichot (poesie penitenziali) e dalle Selichot di Ne’ilah in particolare. È il momento più saliente del Giorno di Kippur, quello che ci dà la Kapparah (espiazione). Possiamo dire il momento della verità, in cui emergono i messaggi definitivi che ci accompagneranno nel corso dell’anno entrante. La seconda Selichah di Ne’ilah (nel rito italiano seguito a Milano, Torino e Padova) è stata scritta da Moshe Ibn ‘Ezrà, lo stesso autore del Piyut (inno) con cui l’ultima Tefillah di Kippur esordisce: E-l norà ‘alilah. L’ultima strofa della Selichah Eloqim dàr meromèkha (“Dio che abiti nei cieli”) è significativa: qui la riportiamo nella pregevole versione rimata di Massimo Foa. “Chiudon del cielo le porte ed il sol tramonta già: / annunzia la nostra sorte, o Dio, con la Tua bontà. / Dovete, o porte, alzare le Vostre cime sante / al fin che possa entrare il popol mio trionfante. / Acque purificanti sul popol prediletto / per riscattare quanti loro Dio ti hanno eletto. / Questa è la strada da fare. Guidaci e sta’ a noi vicino” (Le Selichot in rima, Morashà 2008, p. 73). Il monito: “questa è la strada da fare” è tratto, come molte espressioni delle Selichot, da versetti del Tanakh avulsi dal loro contesto. In questo caso si tratta di Yesha’yahu 30,20-21. Il profeta preannuncia il regno fedele di Chizqiyahu con le parole: “I tuoi occhi guarderanno in viso i tuoi Maestri... Questa è la strada da fare, che vogliate andare a destra o a sinistra”. L’ultima parte contiene certamente allusioni politiche, ma non nel senso moderno dei termini. La sinistra era in antico il nord e allude alla potenza assira che in quegli anni, complice un giro di alleanze, dava filo da torcere ai re di Eretz Israel. La destra, d’altronde, era il sud e allude alla potenza egiziana, cui essi si erano rivolti per aiuto. Il profeta Yesha’yahu ammonisce dunque il regime a trascurare vane alleanze politico-militari e a guardare soltanto davanti a sè.

Alberto Moshe Somekh, rabbino

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ORIZZONTI

La République perde pezzi

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A inizio agosto quaranta personalità del mondo musulmano francese hanno pubblicato sul settimanale Journal du Dimanche un’accorata lettera in cui denunciavano il fondamentalismo islamista e il terrorismo. Parole arrivate dopo la brutale uccisione nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray di un parroco da parte di due musulmani, ritenuti legati all’Isis. Nel testo della lettera i f i r m a t a r i condannavano i vari attentati di stampo islamista che hanno insanguinato la Francia nel recente passato, dimenticandosi però di citare la strage alla scuola ebraica di Tolosa e al market casher di Parigi. “La memoria selettiva impedisce di comprendere tutte le dimensioni del terrorismo islamista con quali la Francia deve confrontarsi oggi”, ha denunciato il presidente del Conseil Représentatif des Intitution Juives Francis Khalifat. “Non dubito delle buone intenzioni degli autori di questo appello, ma non mi spiego la loro indifferenza nei confronti dell’antisemitismo, che invece è una componente essenziale dell’Islam radicale”, sottolineava il presidente dell’Union des Étudiants Juifs de France, l’unione giovanile ebraica francese, Sacha Reingewirtz. Alcuni dei firmatari si sono scusati per la dimenticanza ma, come ha rilevato il rabbino capo di Francia rav Haim Korsia, stupisce che in quaranta nessuno l’abbia notata e per questo “rimane grave e dolorosa”.

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CULTURA 

Milano, capitale degli ebrei

A voler dare i numeri, la Milano ebraica non sfigura certo. + 1.143 %, questo è il tasso di crescita demografica della comunità tra il 1871 e il 1938 . Decenni di storia in salita, da 700 persone a 8000, con la trasformazione di un piccolo nucleo, ancora legato all’antico centro egemone di Mantova, in grande, dinamica realtà di aggregazione nazionale e internazionale. Il sismografo della minoranza amplifica la curva dell’espansione del capoluogo lombardo. Gli anni dello splendore del l’ebraismo locale, quelli incuneati tra l’Italia unitaria e la promulgazione delle leggi razziali, corrispondono allo sviluppo tumultuoso della città. Cuochi, camerieri, sarte, letterati, pittori, artisti, e poi insegnanti, medici, avvocati, ingegneri, imprenditori e banchieri, il ventaglio delle professioni la dice lunga sul dinamismo e la capacità d’integrarsi di un gruppo ad altissimo tasso di alfabetizzazione. Anche la densità percentuale è significativa dell’impulso ebraico alla crescita milanese. Se si scorrono gli elenchi di personaggi famosi, dei filantropi, degli intellettuali, si rimane stupiti dell’impatto sulla vita cittadina di una minoranza che non ha mai superato lo 0,6 % della popolazione complessiva. In un libro ricco di dati e argomentato con passione, Rony Hamaui ricostruisce le tappe di una storia ancora giovane.

Giulio Busi, Sole 24 Ore
4 settembre 2016


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CULTURA

Non ingessare la memoria

C’è un vizio di forma in ogni tradizione, in ogni processo mentale che ha al cuore il tema della "conservazione". Noi non siamo gli eredi di un museo, non siamo venuti al mondo per spolverare pazientemente degli oggetti esposti, per lustrare delle vetrine e per condurre frotte di visitatori in punta di piedi da un reperto all'altro. Non esistiamo solo e soltanto per conservare: che si tratti di tradizione degli avi o meraviglie della natura, ricordi di infanzia o arredi sacri. Se co-sl fosse, la nostra vita sarebbe soltanto un atto di culto. Il mondo non è un museo. Neanche la natura è un museo. Non lo sono nemmeno le culture: è lecito toccare! E lecito spostare, avvicinare, allontanare, cambiare e imprimere il nostro segno. Toccare la pietra, la vita, toccare il nostro prossimo». Noemi Di Segni, neopresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche italiane, ha citato queste sagge parole di Amos Oz durante l'inaugurazione della Festa del Libro Ebraico a Ferrara, strappando un applauso a scena aperta al folto pubblico presente nel giardino di Palazzo Roverella che nel 1932, con tragica lungimiranza, l'ebreo ferrarese Federico Zamorani donò al Circolo dei Negozianti pur di non lasciarlo cadere nelle mani del fascio.


Elena Loewenthal, La Stampa
5 settembre 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Zelda davanti al mare

img headerDi lei ho già portato diverse poesie e tuttavia, come la linfa di una pianta e la rugiada sulle foglie, è sempre presente nei tornanti della mia mente.
Con questo titolo, Davanti al mare, uno dei più grandi scrittori ebrei di inizio secolo scorso, David Vogel, ha scritto nel 1934 un'aspra novella “alla francese”, la cui bellezza e decadenza si mescolano per scemare via come le onde.
Zelda, una cittadina di Gerusalemme, quando scrisse negli anni Settanta del suo mare, sicuramente non cercava la riviera dalle sabbie dorate, ma si era messa al cospetto del mare come se fosse rimasta sola al mondo davanti alla creazione. Una essenziale sensazione di fine estate.

Quando liberai il pesciolino rosso  
Il mare rise                   
e mi strinse al cuore.                
Al suo cuore libero                
che  fluiva.                         
Allora cantammo insieme
(io e lui).
               
Non morrà la mia anima.                             
Potrebbe forse il marcio dominare                   
la corrente viva?

Cantò così                                                                                             
della sua anima tempestosa,                                  
e io cantai                                                                
della mia, dolente.


Sarah Kaminski, Università di Torino

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