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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Yom
Kippur è un viaggio. Un viaggio attraverso acque che scorrono verso
Casa, che purificano portandoci a casa, che ci traghettano per una
rotta conosciuta eppure sempre nuova e sempre meravigliosa. Scrive il
poeta Yehud Amichai: “…Risuona il suono dello shofar: un’altra nave è
appena partita. Marinai dello Yom Kippur in uniforme bianca salgono fra
scale e cime di preghiera ben sperimentate…”. Ogni anno saliamo scale e
cime di preghiere salde ma il viaggio per il mare del Kippur ci porta
ad altre acque: “Insegna Rabbi Akiva: “Felice Israele, davanti a chi vi
purificate? E chi vi purifica? Il vostro padre che è nei cieli, come è
detto ( Ez. 36,25): “Spanderò quindi su di voi acqua pura e sarete
puri”. Ed è anche detto (Ger. 17, 13): “Il Mikve di Israele è l’Eterno.
Così come il mikve purifica gli impuri, Kadosh Baruch Hu purifica
Israele” (Yoma 88). Il nostro navigare per Kippur è per un mare
familiare, di gesti intimi, di bussole private, con una sola stella a
fare da cammino: il ritorno a noi stessi.
Buon viaggio.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Registro
una crescente voglia di escludere, di considerare al di fuori del
proprio gruppo religioso, etnico, sociale o politico chi non si allinea
a un’identità consolidata. Un’identità tuttavia spesso falsata,
precostituita e imposta, che magari tradisce una storia e una
tradizione che si pensa in buona fede di difendere. Capita anche fra
ebrei, tutto il mondo è paese. Ma nell’ebraismo la figura dell’altro,
del diverso, non solo è ben presente ma è spesso specchio necessario
per costruire un’intera tradizione. Nel Talmud, ad esempio, che ci
onoriamo di vedere tradotto ora in italiano con un’operazione culturale
tanto complessa quanto utile, compare la figura di Elisha Ben Abuya, un
maestro che si allontana dalla retta via tanto da violare lo Shabbath;
lo fa cogliendo un fiore per donarlo a una prostituta, la quale per
questo motivo lo definisce “altro”, ponendolo al di fuori del gruppo
ebraico.
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Aleppo, ultima chiamata
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“In
massimo due mesi, due mesi e mezzo, la città di Aleppo potrebbe essere
totalmente distrutta. E migliaia di persone, non terroristi, saranno
morte mentre festeggeremo il Natale”. L’allarme lanciato ieri
dall’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, è
forse il più drammatico tra i numerosi appelli fatti finora da tutti
coloro che invano hanno cercato di riportare ai negoziati i due
belligeranti, scrive il Sole 24 Ore. “Drammatico – viene spiegato –
perché nelle parole dell’esperto diplomatico si legge un’amara
constatazione: Aleppo sta per capitolare. E se le milizie
dell’opposizione, asserragliate tra gli edifici in macerie,
continueranno a resistere, a farne le spese saranno soprattutto i
275mila civili, tra cui 100mila bambini, ancora imprigionati nei
quartieri orientali della città, roccaforte dei ribelli, e ormai sotto
assedio da alcune settimane”.
Su Corriere Sette l’artista Brian Eno, noto per il suo coinvolgimento
nel movimento di boicottaggio dello Stato ebraico, illustra in una
lettera i motivi della sua militanza. Consueti strali di odio e
accostamenti impropri. E un indecente riferimento alla “pulizia etnica”
che lo Stato di Israele starebbe praticando nei confronti dei
palestinesi.
Alle provocazioni di Eno risponde magistralmente Aldo Grasso in un
breve intervento in cui si ricorda l’importanza di non lasciare solo
Israele, primo bersaglio oggi dei terroristi di Hamas e di tanti Stati
canaglia che minacciano i valori fondamentali dell’Occidente.
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qui roma - l'anniversario
9 ottobre, nel nome di Stefano
A
34 anni dall’attentato alla sinagoga di Roma, il nome di Stefano Gaj
Taché evoca ricordi drammatici. Il simbolo di una comunità ferita
mortalmente dall’odio, ma anche la coscienza sporca di chi alimentò nei
mesi precedenti un clima d’odio.
Il piccolo Stefano, vittima del terrorismo, “il nostro bambino, un
bambino italiano” evocato dal capo dello Stato Sergio Mattarella nel
suo commovente discorso di insediamento, per Gadiel è il fratellino
strappato al suo affetto dai criminali palestinesi che colpirono la
Comunità ebraica il 9 ottobre di 34 anni fa.
In occasione dell’anniversario, domenica prossima alle 18 al Tempio
Beth Michael, sarà proprio Gadiel a ricordare Stefano e quella
terribile ferita aperta in un dialogo con il giornalista Pierluigi
Battista, con cui decise nel 2011 di rompere il silenzio in una
intervista.
La giornata si aprirà con una commemorazione alle 11.50, in Largo Stefano Gaj Taché.
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qui torino - l'incontro Momigliano e le sue Pagine
"Eredità preziosa per tutti"
In
occasione della ripubblicazione di Pagine Ebraiche (Ediz. di Storia e
Letteratura, 2016), l’immortale lascito di Arnaldo Momigliano, la
Comunità ebraica di Torino assieme al Circolo dei lettori si è fatta
promotrice di una stimolante e partecipata serata di approfondimento
sui temi dell’opera e la figura del suo autore. In dialogo tra loro
Silvia Berti, docente presso l’Università di Roma La Sapienza,
curatrice e promotrice di Pagine Ebraiche; Walter Barberis, docente
presso l’Università di Torino e Presidente della Giulio Einaudi
Editore; lo storico Alberto Cavaglion, docente presso l’Università di
Firenze. A moderare il dialogo Dario Disegni, presidente della Comunità
ebraica di Torino.
La necessità di ripubblicare nasce dal ritrovamento del dattiloscritto
di un’intervista che Silvia Berti fece a Momigliano ai tempi della
prima pubblicazione del volume. Ad oggi questo documento inedito
rientra nel genere dell’intervista postuma. Il ritrovamento di tale
intervista ha riacceso il dibattito sulla complessa e articolata figura
di Momigliano, soprattutto negli ambienti accademici a cavallo tra
Italia e Stati Uniti dove per lungo tempo insegnò. “L’intervista
delinea un autoritratto dell’autore”, spiega Disegni, “che scava nella
storia per scavare in realtà dentro se stesso”. L’elemento
autobiografico, afferma poi Cavaglion, è centrale in Pagine Ebraiche,
dove si percepisce la volontà di Momigliano di tornare alle origini e
ai ricordi d’infanzia.
Alice Fubini Leggi
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qui roma - LA deportazione dei carabinieri A 73 anni dall'infame tradimento
Arma e leader ebraici ricordano
Nelle
mani degli aguzzini finirono in oltre duemila, rastrellati il 7 ottobre
di 73 anni fa. Un arresto di massa, a tradimento, che costituì il
preludio alla deportazione nei campi di prigionia nazisti. Lontano da
Roma, lontano dall’Italia. Pochi giorni dopo, il 16, i tedeschi
poterono così entrare e muoversi nel quartiere ebraico della Capitale
senza alcun intralcio.
È una pagina di Memoria ancora poco conosciuta quella che riguarda la
sorte di un numero che oscilla tra le 2000 e le 2500 unità di
carabinieri romani, disposta da Kappler con l’entusiastico sostegno del
gerarca fascista Rodolfo Graziani. Inviati nei lager su treni piombati,
molti dei carabinieri arrestati non fecero ritorno a casa. “Il giorno
della cattura fummo fatti cadere in un tranello tesoci dai tedeschi e
dai non meno crudeli repubblichini. Eravamo un ingombro, un ostacolo
per i nazifascisti, eravamo testimoni da eliminare, eravamo l’unica
protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi
di noi“, così ricorda quel giorno il maggiore Alfredo Vestiti in una
sua memoria.
Una pagina dolorosa della propria storia, una ferita aperta che l’Arma
ricorda ogni anno con profonda commozione al fianco delle comunità
ebraiche. Nella caserma Capitano Orlando De Tommaso, dove si è svolta
oggi l’annuale commemorazione alla presenza dei vertici del corpo, con
la partecipazione del comandante generale Tullio Del Sette e del
comandante della scuola dell’Arma Riccardo Amato, si sono infatti
ritrovati tra gli altri la presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, l’ex presidente UCEI Renzo Gattegna,
la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, il rabbino
capo Riccardo Di Segni.
Atmosfera solenne, grande partecipazione, l’impegno comune a tenere viva la sfida della Memoria. Leggi
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qui milano - la mostra Dalla Shoah all'etica medica
Quei segnali da intercettare
“Sebbene
sia insopportabile, occorre ricordare quel che è accaduto perché
viviamo all’ombra di Auschwitz e, senza conoscere, si rischia di non
riconoscere: l’odio per l’altro, il cripto nazismo, l’antisemitismo. La
cancellazione delle tracce dello sterminio rischiano di far trascurare
i sintomi premonitori di altri stermini”. È il monito con cui Giorgio
Mortara, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e
presidente dell’Associazione medica ebraica, ha aperto il convegno
“Responsabilità della scienza e etica della cura: la lezione della
Shoah e le nuove frontiere della bioetica”, organizzato ieri
all’Università degli Studi di Milano, e con il quale è stata inaugurata
la mostra “Medicina e Shoah”, realizzata dall’università La Sapienza in
collaborazione con l’UCEI e con la cura scientifica di Silvia Marinozzi.
La mostra, che ripercorre la storia della medicina nazista a partire
dalle origini dell’eugenetica sino alle politiche razziste e di
sterminio del Terzo Reich, è esposta nell’atrio dell’aula magna, di via
Festa del Perdono 7 fino al prossimo 2 novembre. Leggi
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soddisfazione anche nella comunità ebraica 'Colombia, un Nobel di speranza'
"La
Colombia ha davanti a sé un grande avvenire. Ma a una condizione: che
si cammini tutti insieme nel segno dell’unità, dei valori condivisi.
Che cessino del tutto le ostilità, i rancori, i conflitti.
Riconoscimenti come quello tributato oggi possono avere un effetto
benefico straordinario”.
Non nasconde l’entusiasmo Gianni Lusena (nell’immagine), console
onorario della Colombia in Toscana e figura molto nota della Comunità
ebraica fiorentina. Il Nobel conferito oggi al premier colombiano
Manuel Santos, principale promotore dei negoziati con le Farc, è
infatti a suo dire “un segnale molto chiaro, e un ottimo presupposto”.
Perché se è vero che la scorsa settimana la popolazione ha respinto di
misura l’accordo tra governo e Farc, è ancora più vero che i successivi
segnali lanciati dagli oppositori lasciano intravedere un percorso
comunque propizio. “Sì, direi di sì. Adesso gruppi diversi hanno
finalmente iniziato a parlarsi, a ragionare insieme per il bene di
tutto il paese. Per quelle che sono le mie fonti, il 90 per cento dei
colombiani vuole la pace” osserva Lusena.
Profondo conoscitore della realtà ebraica locale, il console riconosce
agli ebrei colombiani un ruolo importante in questa sfida, in questo
cammino comunque intricato. “Non ho dubbi sul fatto che in tanti stiano
gioendo. Si tratta – dice Lusena – di una giornata storica”. Leggi
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IL MESSAGGIO DELL'ARI
Batè Din, la nota dei rabbini
L'Assemblea
dei Rabbini d'Italia ha diffuso il seguente messaggio: "L'Assemblea dei
Rabbini d'Italia, riunitasi a Milano il 4 Tishri 5777 (6 Ottobre 2016),
delibera di confermare la dichiarazione del Consiglio Ari comunicata il
25 settembre e di mantenere il riconoscimento degli attuali Batè Din in
Italia (Bet Din di Roma, Bet Din di Milano, Bet Din del Centro-Nord
Italia).
L'Ari sollecita questi Batè Din ad esaminare, assieme al rabbino
territorialmente competente, e su sua richiesta, le situazioni
personali di chi si è rivolto altrove".
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Scrivere la nostra vita
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Il
quarto numero di seguito Pagine ebraiche cartaceo che nella parte sulle
notizie dalle Comunità non dedica nessun articolo a Torino mi ha fatto
un po’ pensare, così come fa un po’ pensare il dossier del numero di
settembre sui musei (la nostra Comunità alcuni anni fa ha scelto,
consapevolmente e dopo lunghe discussioni, di non avere un museo per
non dirottare in quella direzione risorse che sarebbero state più
necessarie in altri ambiti della vita comunitaria, in primis la
scuola). Sia chiaro: non ho alcuna intenzione di sollevare polemiche, e
non intendo certo biasimare le Comunità che hanno compiuto scelte
diverse dalle nostre, anche perché ogni contesto è differente e alcune
scelte sono praticamente obbligate: so benissimo che avere le
dimensioni per potersi permettere una scuola ebraica è una fortuna e
non un merito. Mi rendo conto, comunque, di quanto sia difficile dare
conto non di eventi eccezionali ma di una vita comunitaria che si snoda
giorno dopo giorno tra scuola, casa di riposo, culto, lezioni, feste,
conferenze, coro, gruppi di studio e associazioni varie. Come
raccontare una quotidianità che per definizione non fa notizia?
Una sfida che forse toccherà a noi stessi torinesi raccogliere per il 5777.
Anna Segre, insegnante
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Pregare a Istanbul
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Entrare
nella sinagoga Neve Shalom di Istanbul è come prendere un volo da
Londra a New York. I controlli e le verifiche sono pressoché gli
stessi. Nel giorno di Rosh haShanah la sinagoga del 1951, già
“ingabbiata” con porte tagliafuoco dentro un edificio moderno, è
presidiata su ogni lato dell’isolato da sicurezza privata, polizia, e
Jandarma (esercito) con tanto di blindato. Come in ogni altra sinagoga
del paese, la tendenza da parte della polizia, è di allontanare
qualunque esterno, anche se solamente intenzionato a partecipare alla
funzione. Non a caso qui avvennero due dei principali attentati contro
luoghi di culto della diaspora, provocando insieme 80 vittime, nel
Settembre 1986, e nel Novembre 2003. Eppure è comunque suggestivo
trovare una sinagoga completata nel dopoguerra, nel pieno centro di una
città, proprio dietro la torre di Galata, in un territorio poi dove
l’Islam è di casa.
Francesco Moises Bassano
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Arcobaleno
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Un
arcobaleno il giorno dopo Rosh haShanah si è palesato di fronte a me
uscendo dal portone. Ho detto la berachà colma di quei sentimenti che
un segno del genere ti suscita: gioia e stupore, ammirazione per il
creato e riconoscimento della sua perfezione, fiducia e speranza,
sensazione di fare esperienza del divino ed essere accolti sotto un
arco di luce. Desiderio immediato di mostrare e diffondere, così,
questa visione contagiosa a chi ti è vicino o poco lontano. Un inizio
speciale, ahimè, che non potevo fare a meno di condividere.
Ilana Bahbout
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