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7 Ottobre 2016 -  5 Tishri 5776
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Yom Kippur è un viaggio. Un viaggio attraverso acque che scorrono verso Casa, che purificano portandoci a casa, che ci traghettano per una rotta conosciuta eppure sempre nuova e sempre meravigliosa. Scrive il poeta Yehud Amichai: “…Risuona il suono dello shofar: un’altra nave è appena partita. Marinai dello Yom Kippur in uniforme bianca salgono fra scale e cime di preghiera ben sperimentate…”. Ogni anno saliamo scale e cime di preghiere salde ma il viaggio per il mare del Kippur ci porta ad altre acque: “Insegna Rabbi Akiva: “Felice Israele, davanti a chi vi purificate? E chi vi purifica? Il vostro padre che è nei cieli, come è detto ( Ez. 36,25): “Spanderò quindi su di voi acqua pura e sarete puri”. Ed è anche detto (Ger. 17, 13): “Il Mikve di Israele è l’Eterno. Così come il mikve purifica gli impuri, Kadosh Baruch Hu purifica Israele” (Yoma 88). Il nostro navigare per Kippur è per un mare familiare, di gesti intimi, di bussole private, con una sola stella a fare da cammino: il ritorno a noi stessi.
Buon viaggio.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Registro una crescente voglia di escludere, di considerare al di fuori del proprio gruppo religioso, etnico, sociale o politico chi non si allinea a un’identità consolidata. Un’identità tuttavia spesso falsata, precostituita e imposta, che magari tradisce una storia e una tradizione che si pensa in buona fede di difendere. Capita anche fra ebrei, tutto il mondo è paese. Ma nell’ebraismo la figura dell’altro, del diverso, non solo è ben presente ma è spesso specchio necessario per costruire un’intera tradizione. Nel Talmud, ad esempio, che ci onoriamo di vedere tradotto ora in italiano con un’operazione culturale tanto complessa quanto utile, compare la figura di Elisha Ben Abuya, un maestro che si allontana dalla retta via tanto da violare lo Shabbath; lo fa cogliendo un fiore per donarlo a una prostituta, la quale per questo motivo lo definisce “altro”, ponendolo al di fuori del gruppo ebraico.
 
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Aleppo, ultima chiamata
“In massimo due mesi, due mesi e mezzo, la città di Aleppo potrebbe essere totalmente distrutta. E migliaia di persone, non terroristi, saranno morte mentre festeggeremo il Natale”. L’allarme lanciato ieri dall’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, è forse il più drammatico tra i numerosi appelli fatti finora da tutti coloro che invano hanno cercato di riportare ai negoziati i due belligeranti, scrive il Sole 24 Ore. “Drammatico – viene spiegato – perché nelle parole dell’esperto diplomatico si legge un’amara constatazione: Aleppo sta per capitolare. E se le milizie dell’opposizione, asserragliate tra gli edifici in macerie, continueranno a resistere, a farne le spese saranno soprattutto i 275mila civili, tra cui 100mila bambini, ancora imprigionati nei quartieri orientali della città, roccaforte dei ribelli, e ormai sotto assedio da alcune settimane”.

Su Corriere Sette l’artista Brian Eno, noto per il suo coinvolgimento nel movimento di boicottaggio dello Stato ebraico, illustra in una lettera i motivi della sua militanza. Consueti strali di odio e accostamenti impropri. E un indecente riferimento alla “pulizia etnica” che lo Stato di Israele starebbe praticando nei confronti dei palestinesi.
Alle provocazioni di Eno risponde magistralmente Aldo Grasso in un breve intervento in cui si ricorda l’importanza di non lasciare solo Israele, primo bersaglio oggi dei terroristi di Hamas e di tanti Stati canaglia che minacciano i valori fondamentali dell’Occidente.
 
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  davar
qui roma - l'anniversario
9 ottobre, nel nome di Stefano
A 34 anni dall’attentato alla sinagoga di Roma, il nome di Stefano Gaj Taché evoca ricordi drammatici. Il simbolo di una comunità ferita mortalmente dall’odio, ma anche la coscienza sporca di chi alimentò nei mesi precedenti un clima d’odio.
Il piccolo Stefano, vittima del terrorismo, “il nostro bambino, un bambino italiano” evocato dal capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo commovente discorso di insediamento, per Gadiel è il fratellino strappato al suo affetto dai criminali palestinesi che colpirono la Comunità ebraica il 9 ottobre di 34 anni fa.
In occasione dell’anniversario, domenica prossima alle 18 al Tempio Beth Michael, sarà proprio Gadiel a ricordare Stefano e quella terribile ferita aperta in un dialogo con il giornalista Pierluigi Battista, con cui decise nel 2011 di rompere il silenzio in una intervista.
La giornata si aprirà con una commemorazione alle 11.50, in Largo Stefano Gaj Taché.

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qui torino - l'incontro
Momigliano e le sue Pagine

"Eredità preziosa per tutti"
In occasione della ripubblicazione di Pagine Ebraiche (Ediz. di Storia e Letteratura, 2016), l’immortale lascito di Arnaldo Momigliano, la Comunità ebraica di Torino assieme al Circolo dei lettori si è fatta promotrice di una stimolante e partecipata serata di approfondimento sui temi dell’opera e la figura del suo autore. In dialogo tra loro Silvia Berti, docente presso l’Università di Roma La Sapienza, curatrice e promotrice di Pagine Ebraiche; Walter Barberis, docente presso l’Università di Torino e Presidente della Giulio Einaudi Editore; lo storico Alberto Cavaglion, docente presso l’Università di Firenze. A moderare il dialogo Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica di Torino.
La necessità di ripubblicare nasce dal ritrovamento del dattiloscritto di un’intervista che Silvia Berti fece a Momigliano ai tempi della prima pubblicazione del volume. Ad oggi questo documento inedito rientra nel genere dell’intervista postuma. Il ritrovamento di tale intervista ha riacceso il dibattito sulla complessa e articolata figura di Momigliano, soprattutto negli ambienti accademici a cavallo tra Italia e Stati Uniti dove per lungo tempo insegnò. “L’intervista delinea un autoritratto dell’autore”, spiega Disegni, “che scava nella storia per scavare in realtà dentro se stesso”. L’elemento autobiografico, afferma poi Cavaglion, è centrale in Pagine Ebraiche, dove si percepisce la volontà di Momigliano di tornare alle origini e ai ricordi d’infanzia.


Alice Fubini
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qui roma - LA deportazione dei carabinieri
A 73 anni dall'infame tradimento

Arma e leader ebraici ricordano
Nelle mani degli aguzzini finirono in oltre duemila, rastrellati il 7 ottobre di 73 anni fa. Un arresto di massa, a tradimento, che costituì il preludio alla deportazione nei campi di prigionia nazisti. Lontano da Roma, lontano dall’Italia. Pochi giorni dopo, il 16, i tedeschi poterono così entrare e muoversi nel quartiere ebraico della Capitale senza alcun intralcio.
È una pagina di Memoria ancora poco conosciuta quella che riguarda la sorte di un numero che oscilla tra le 2000 e le 2500 unità di carabinieri romani, disposta da Kappler con l’entusiastico sostegno del gerarca fascista Rodolfo Graziani. Inviati nei lager su treni piombati, molti dei carabinieri arrestati non fecero ritorno a casa. “Il giorno della cattura fummo fatti cadere in un tranello tesoci dai tedeschi e dai non meno crudeli repubblichini. Eravamo un ingombro, un ostacolo per i nazifascisti, eravamo testimoni da eliminare, eravamo l’unica protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi di noi“, così ricorda quel giorno il maggiore Alfredo Vestiti in una sua memoria.
Una pagina dolorosa della propria storia, una ferita aperta che l’Arma ricorda ogni anno con profonda commozione al fianco delle comunità ebraiche. Nella caserma Capitano Orlando De Tommaso, dove si è svolta oggi l’annuale commemorazione alla presenza dei vertici del corpo, con la partecipazione del comandante generale Tullio Del Sette e del comandante della scuola dell’Arma Riccardo Amato, si sono infatti ritrovati tra gli altri la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, l’ex presidente UCEI Renzo Gattegna, la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, il rabbino capo Riccardo Di Segni.
Atmosfera solenne, grande partecipazione, l’impegno comune a tenere viva la sfida della Memoria.
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qui milano - la mostra
Dalla Shoah all'etica medica

Quei segnali da intercettare
“Sebbene sia insopportabile, occorre ricordare quel che è accaduto perché viviamo all’ombra di Auschwitz e, senza conoscere, si rischia di non riconoscere: l’odio per l’altro, il cripto nazismo, l’antisemitismo. La cancellazione delle tracce dello sterminio rischiano di far trascurare i sintomi premonitori di altri stermini”. È il monito con cui Giorgio Mortara, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e presidente dell’Associazione medica ebraica, ha aperto il convegno “Responsabilità della scienza e etica della cura: la lezione della Shoah e le nuove frontiere della bioetica”, organizzato ieri all’Università degli Studi di Milano, e con il quale è stata inaugurata la mostra “Medicina e Shoah”, realizzata dall’università La Sapienza in collaborazione con l’UCEI e con la cura scientifica di Silvia Marinozzi.
La mostra, che ripercorre la storia della medicina nazista a partire dalle origini dell’eugenetica sino alle politiche razziste e di sterminio del Terzo Reich, è esposta nell’atrio dell’aula magna, di via Festa del Perdono 7 fino al prossimo 2 novembre.
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soddisfazione anche nella comunità ebraica
'Colombia, un Nobel di speranza'
"La Colombia ha davanti a sé un grande avvenire. Ma a una condizione: che si cammini tutti insieme nel segno dell’unità, dei valori condivisi. Che cessino del tutto le ostilità, i rancori, i conflitti. Riconoscimenti come quello tributato oggi possono avere un effetto benefico straordinario”.
Non nasconde l’entusiasmo Gianni Lusena (nell’immagine), console onorario della Colombia in Toscana e figura molto nota della Comunità ebraica fiorentina. Il Nobel conferito oggi al premier colombiano Manuel Santos, principale promotore dei negoziati con le Farc, è infatti a suo dire “un segnale molto chiaro, e un ottimo presupposto”.
Perché se è vero che la scorsa settimana la popolazione ha respinto di misura l’accordo tra governo e Farc, è ancora più vero che i successivi segnali lanciati dagli oppositori lasciano intravedere un percorso comunque propizio. “Sì, direi di sì. Adesso gruppi diversi hanno finalmente iniziato a parlarsi, a ragionare insieme per il bene di tutto il paese. Per quelle che sono le mie fonti, il 90 per cento dei colombiani vuole la pace” osserva Lusena.
Profondo conoscitore della realtà ebraica locale, il console riconosce agli ebrei colombiani un ruolo importante in questa sfida, in questo cammino comunque intricato. “Non ho dubbi sul fatto che in tanti stiano gioendo. Si tratta – dice Lusena – di una giornata storica”.
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IL MESSAGGIO DELL'ARI
Batè Din, la nota dei rabbini
L'Assemblea dei Rabbini d'Italia ha diffuso il seguente messaggio: "L'Assemblea dei Rabbini d'Italia, riunitasi a Milano il 4 Tishri 5777 (6 Ottobre 2016), delibera di confermare la dichiarazione del Consiglio Ari comunicata il 25 settembre e di mantenere il riconoscimento degli attuali Batè Din in Italia (Bet Din di Roma, Bet Din di Milano, Bet Din del Centro-Nord Italia).
L'Ari sollecita questi Batè Din ad esaminare, assieme al rabbino territorialmente competente, e su sua richiesta, le situazioni personali di chi si è rivolto altrove".

rosh hashanah 5777 - qui napoli
Un anno per la serenità
Auguro a tutte le nostre comunità italiane un anno di serenità, nella consapevolezza che la nostra serenità non può prescindere dalla serenità del popolo di Israele.
Perciò tutti i nostri sforzi devono essere rivolti affinché si possa trovare una pace duratura in questa terra che tutti amiamo.


Lydia Schapirer, presidente Comunità ebraica di Napoli
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rosh hashanah 5777 - qui vercelli
Un anno per l'unità
Abbiamo vissuto questo ultimo anno difficile e doloroso assistendo increduli ad atroci massacri perpetrati in nome della “religione”, a migrazioni di interi popoli disperati, e stiamo assistendo alla continua e costante disinformazione che alimenta l’antisemitismo, il pregiudizio e l’ostilità nei confronti dello Stato di Israele, subendone le inevitabili conseguenze.


Rossella Bottini Treves,
presidente Comunità ebraica di Vercelli
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rosh hashanah 5777 - qui casale
Un anno per la vitalità
Auguri dolci e sinceri da presidente di lunga data dell’antico nucleo ebraico monferrino: piccolo e incredibilmente attivo.
Con il nuovo anno sono orgoglioso di annunciare la nascita dell’applicazione per smartphone e tablet della Comunità di Casale.
Grazie al grande cuore dei nostri iscritti, ai progetti delle nuove generazioni e al sostegno di chi crede nel futuro del Popolo d’Israele, la Casale ebraica è viva e vitale.


Salvatore Giorgio Ottolenghi,
presidente Comunità ebraica di Casale Monferrato
 
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pilpul
Scrivere la nostra vita
Il quarto numero di seguito Pagine ebraiche cartaceo che nella parte sulle notizie dalle Comunità non dedica nessun articolo a Torino mi ha fatto un po’ pensare, così come fa un po’ pensare il dossier del numero di settembre sui musei (la nostra Comunità alcuni anni fa ha scelto, consapevolmente e dopo lunghe discussioni, di non avere un museo per non dirottare in quella direzione risorse che sarebbero state più necessarie in altri ambiti della vita comunitaria, in primis la scuola). Sia chiaro: non ho alcuna intenzione di sollevare polemiche, e non intendo certo biasimare le Comunità che hanno compiuto scelte diverse dalle nostre, anche perché ogni contesto è differente e alcune scelte sono praticamente obbligate: so benissimo che avere le dimensioni per potersi permettere una scuola ebraica è una fortuna e non un merito. Mi rendo conto, comunque, di quanto sia difficile dare conto non di eventi eccezionali ma di una vita comunitaria che si snoda giorno dopo giorno tra scuola, casa di riposo, culto, lezioni, feste, conferenze, coro, gruppi di studio e associazioni varie. Come raccontare una quotidianità che per definizione non fa notizia?
Una sfida che forse toccherà a noi stessi torinesi raccogliere per il 5777.

Anna Segre, insegnante
Pregare a Istanbul
Entrare nella sinagoga Neve Shalom di Istanbul è come prendere un volo da Londra a New York. I controlli e le verifiche sono pressoché gli stessi. Nel giorno di Rosh haShanah la sinagoga del 1951, già “ingabbiata” con porte tagliafuoco dentro un edificio moderno, è presidiata su ogni lato dell’isolato da sicurezza privata, polizia, e Jandarma (esercito) con tanto di blindato. Come in ogni altra sinagoga del paese, la tendenza da parte della polizia, è di allontanare qualunque esterno, anche se solamente intenzionato a partecipare alla funzione. Non a caso qui avvennero due dei principali attentati contro luoghi di culto della diaspora, provocando insieme 80 vittime, nel Settembre 1986, e nel Novembre 2003. Eppure è comunque suggestivo trovare una sinagoga completata nel dopoguerra, nel pieno centro di una città, proprio dietro la torre di Galata, in un territorio poi dove l’Islam è di casa.

Francesco Moises Bassano
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Arcobaleno
Un arcobaleno il giorno dopo Rosh haShanah si è palesato di fronte a me uscendo dal portone. Ho detto la berachà colma di quei sentimenti che un segno del genere ti suscita: gioia e stupore, ammirazione per il creato e riconoscimento della sua perfezione, fiducia e speranza, sensazione di fare esperienza del divino ed essere accolti sotto un arco di luce. Desiderio immediato di mostrare e diffondere, così, questa visione contagiosa a chi ti è vicino o poco lontano. Un inizio speciale, ahimè, che non potevo fare a meno di condividere.

Ilana Bahbout

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