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 9 Ottobre 2016 - 7 Tishri 5776
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i dati sulla demografia pubblicati con il nuovo anno ebraico

Il Paese si conta per Rosh HaShannah 5777:
dallo scorso anno, 172mila israeliani in più

img headerDallo scorso anno, la popolazione israeliana è cresciuta di 172mila unità ovvero del 2 per cento. A dichiararlo, l'Ufficio centrale di statistica che ha pubblicato alla vigilia di Rosh HaShannah, i dati sulla demografia d'Israele: secondo la stima più recente, presente nel rapporto annuale, nel paese vivono 8.585.000 persone, di cui 6.419.000 ebrei (ovvero il 74,8 per cento della popolazione complessiva) e 1.786.000 arabi israeliani (che rappresentano il 20,8 per cento degli abitanti del paese). L'ulteriore 4,4%, circa 380mila persone, sono cristiani non arabi o persone di altre religioni, così come quelli con un'affiliazione religiosa classificata come "altro".
Secondo le previsioni, la popolazione del Paese nel 2020 sarà di 9,3 milioni di persone mentre nel 2035 supererà i 12 milioni.
L'aumento della popolazione è dovuto per lo più alla crescita naturale (e non all'immigrazione), con 189mila nascite e 46mila decessi. Tra i nuovi bambini, si legge nel rapporto, il 74 per cento sono nati da madri ebree mentre 23 da madri arabe. Rispetto ai due settori, la crescita della popolazione ebraica è rimasta costante, ovvero del 1,9 per cento, mentre quella araba è diminuita rispetto allo scorso anno ma rimane più alta della prima, essendo al 2,2 per cento (2,4 il tasso di crescita invece della popolazione musulmana nel suo complesso). Nel rapporto poi si fa una comparazione rispetto agli anni '70: in quel periodo le donne ebree avevano una media di 3,28 figli ciascuna mentre le donne musulmane di 8,47. Oggi il dato per le prime parla di 3,13 figli e per le seconde di 3,32: è dunque evidente il cambio sostanziale del trend all'interno del mondo musulmano.

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il ruolo della cooperazione idrica tra israeliani e palestinesi

Perché l'acqua è sempre più una risorsa di pace

img headerNei mesi scorsi Israele e la Turchia hanno firmato un accordo di riconciliazione, che prevede tra l'altro l'impegno della Turchia a costruire nella Striscia di Gaza un impianto per la desalinizzazione dell'acqua di mare e una centrale elettrica, che permetterà di far funzionare un impianto di depurazione degli scarichi fognari. Questo impegno della Turchia è stato accolto con grande soddisfazione dal governo israeliano e segna forse una svolta nel conflitto israelo-palestinese nel campo delle risorse idriche. Perché tale accordo è così importante e a cosa potrebbe preludere?
Occorre premettere che la gestione delle risorse idriche israelo-palestinesi era regolata in teoria dagli accordi di Oslo del 2003; tuttavia con la crisi di quegli accordi si era arenata anche la parte riguardante la gestione condivisa dell'acqua e questo annoso problema era diventato fonte di attriti e recriminazioni tra le parti.
Ma nell'ultimo anno una serie di considerazioni ha indotto le autorità israeliane a un atteggiamento più conciliante. In primo luogo da qualche tempo Israele, grazie anche agli sforzi e alle tecnologie all'avanguardia nella desalinizzazione delle acqua di mare e nella depurazione delle acque reflue, ha aumentato la produzione fino al punto di conseguire un surplus idrico. In secondo luogo, la crisi idrica a Gaza e in Cisgiordania si è acuita e rischia di trasformarsi in emergenza sanitaria, creando consapevolezza in Israele che questo è un pericolo per tutti: a Gaza scarseggia l'acqua potabile e non si dispone di moderni impianti di depurazione, col risultato che gli scarichi fognari di quasi due milioni di abitanti finiscono in parte nel Mediterraneo (a poche decine di chilometri dalle spiagge di Tel Aviv) e in parte nella falda acquifera costiera che viene condivisa con Israele. Nei mesi scorsi le precarie condizioni igieniche della Striscia di Gaza avevano provocato focolai di epidemie; non a caso Netanyahu aveva espresso apprezzamento per l'impegno della Turchia a costruire dei depuratori, commentando che "se a Gaza scoppia una pandemia non c'è barriera difensiva o reticolato che possa impedirne la diffusione in Israele". In Cisgiordania la situazione è meno grave ma anche lì scarseggia l'acqua potabile e in assenza di depuratori gli scarichi fognari finiscono per scorrere verso il Giordano oppure verso il Mediterraneo.

Aviram Levy, economista

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i media e la copertura su israele

Non essere al centro
può essere d'aiuto

"Una volta i reporter mi chiamavano per farmi domande sull'occupazione dei territori palestinesi, adesso mi chiamano per chiedermi un commento sul terrorismo in Europa". Così un noto giornalista israeliano ha commentato su Twitter una tendenza osservata da più parti: e cioè che alla stampa e più in generale al pubblico occidentale interessano sempre meno i temi “classici” di Israele (terrorismo locale, questione palestinese e per l'appunto l'occupazione della Cisgiordania), mentre si guarda a Gerusalemme sempre più, semmai, come un modello da seguire per la sicurezza. Ora, l'identificazione di Israele come spunto per la lotta al jihadismo in Europa è un tema interessante che ho affrontato da altre parti.
Qui però vorrei parlarvi di un altro aspetto evidenziato da questo piccolo aneddoto. E cioè che la questione israelo-palestinese non è più percepita come centrale, almeno non al livello di quanto lo era un tempo. L'Europa, certo, è in tutte altre faccende affaccendata, dalla crisi dei migranti all'Isis passando per la Brexit e le ascese dei populismi. In America ci sono le elezioni.

Anna Momigliano

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la produzione israeloamericana

Eyal, Gilad e Naftali
la tragedia in una serie

Sarà basata su una storia tristemente vera e tristemente nota la nuova serie televisiva del canale statunitense HBO, nata in collaborazione con l'azienda israeliana Keshet. Il suo protagonista sarà infatti un investigatore dello Shin Bet alle prese con uno dei casi più tragici dell'estate del 2014, quando i tre adolescenti Eyal Yifrach, Gilad Shaer and Naftali Frenkel furono rapiti nella zona di Gush Etzion. I creatori sono Hagai Levi, già acclamato per le serie BeTipul (in inglese riprodotta con il titolo di In Treatment) e The Affair, insieme a Noah Stollman, che filmeranno e produrranno il loro nuovo lavoro in Israele. Alla regia ci sarà invece Joseph Cedar, la cui pellicola Footnote nel 2011 ricevette una nomination agli Oscar come miglior film straniero.
Il destino di Eyal, Gilad e Naftali fu scoperto solo 18 giorni dopo il loro rapimento, quando un'operazione delle Forze di difesa israeliane ritrovò i loro corpi senza vita vicino a Hebron. I tre ragazzi erano stati uccisi quella stessa notte del 12 giugno in cui erano stati rapiti.




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l'italia prende esempio da israele

Il segreto di salvare le vite

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Quanto è pronto il nostro sistema sanitario a gestire un possibile attacco terroristico? Tra gli addetti ai lavori la riflessione è in corso: sebbene nessuno metta in dubbio la qualità delle cure offerte dal 118 e dai nostri ospedali, c'è chi crede che, con qualche correttivo, la gestione di una maxi-emergenza potrebbe migliorare. «Se il 118 fosse organizzato sul piano nazionale e non regionale o provinciale come oggi, ci sarebbero modelli comportamentali e di risposta unici, da Nord a Sud, con cui trattare le vittime. Adesso, invece, rischiamo che il paziente che in un luogo ha la priorità, in un altro non ce l'abbia», ragiona Mario Raviolo, direttore della Struttura complessa «Maxiemergenza 118» della Regione Piemonte.
Il modello da seguire - sostiene - è quello di Israele, nazione che ha imparato a convivere con l'incubo-attentati e che ha una lunga esperienza nella gestione delle maxi-emergenze. A questo tema caldo è stato dedicato il primo seminario italo-israeliano, che, dal 18 al 21 settembre scorsi, ha portato a Saluzzo, in provincia di Cuneo, medici dell'esercito israeliano ed esperti in sicurezza degli ospedali, oltre a Eilat Shinar, la direttrice della Banca del sangue locale, e ad alcuni rappresentanti dell'Mda, il Magen David Adom, vale a dire il 118 di Israele. Abbiamo circa 2 mila dipendenti e 15 mila volontari», racconta Felix Lotan, paramedico, responsabile dell’Mda nella regione di Gerusalemme.

Lorenza Castagneri, La Stampa Tutto Scienze,
5 ottobre 2016

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camerunensi addestrati da tsahal

L'aiuto contro Boko Haram

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Dal 2013 intorno al lago Ciad si combatte una sanguinaria guerra contro Boko Haram, l’estrema frontiera subsahariana della jihad. Ma nonostante i quattro Paesi minacciati dai talebani d’Africa abbiano messo insieme le forze per fronteggiare il nemico comune, ognuno combatte con le proprie divise e i progressi sono scarsi, troppo corrotti i militari di Nigeria e Niger e non efficientissimi quelli del Ciad. Le uniche vere vittorie sul terreno sono da almeno un anno quelle delle unità d’élite dell’esercito camerunense, il Rapid Intervention Battallion (Bir) addestrato dagli israeliani. La notizia del coinvolgimento in forma non ufficiale di Israele, nota quasi esclusivamente tra gli esperti militari, racconta lo sforzo del governo di Yaounde che due giorni fa ha annunciato un reclutamento eccezionale proprio per il Bir, 1800 uomini camerunensi, single, di età compresa tra 18 e 23 anni, scolarizzazione medio alta.
Secondo il sito d’intelligence Blasting News, il Camerun sta rafforzando tutte le sue forze sul lago di Ciad, il Multi-purpose Response Squad della Gendarmeria Nazionale (Gpign), il Motorised Infantry Battalion (Bim) e in modo particolare il Bir, che oltre al training dei contractors israeliani riceve regolarmente attrezzature americane e israeliane, fucili di precisione e di assalto americani, mitragliatrici 50mm, cannoni, mortai e blindati.


Francesca Paci, La Stampa, 8 ottobre 2016


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