
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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L’occasione
di un congresso rabbinico internazionale è sempre un momento di grande
crescita, confronto, riflessione e nuova energia per chi fa il mio
mestiere. L’occasione di un congresso rabbinico internazionale a
Varsavia è anche fonte di grandi emozioni, stimoli, traumi e commozioni
per chi è come me un ebreo nato e cresciuto in una Europa dove la
“parola” Varsavia evoca specifiche immagini di dolore, di fame, di
persecuzione, di sterminio e di antisemitismo.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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La
domanda se l'elezione di Trump sia un bene o un male "per noi" sembra
aver contagiato un po' tutti. In genere si tratta di un witz ebraico,
ma ora la cosa sembra estendersi in modo imbarazzante. Ma "Noi" chi? Il
popolo contro "i poteri forti"? Non scherziamo per favore. Le schiere
di fedelissimi di Trump che fino a 48 ore fa non esistevano proprio mi
sembrano la materializzazione della "maggioranza silenziosa" descritta
da Montanelli, ipocrita e opportunista massa di amici del vincitore,
conformista in maniera così programmatica da pensarsi alternativa. La
verità è, mi sembra, che questa campagna l'hanno persa un po' tutti. La
democrazia americana, che elegge un presidente con meno voti della sua
rivale. Il sistema dei media, che non ha saputo interpretare la forza
dei messaggi del populismo. Le donne, che mi pare non abbiano saputo
utilizzare al meglio lo strumento del voto per iniziare una rivoluzione
solo annunciata. I repubblicani, che hanno dovuto applaudire obtorto
collo a un personaggio che non li rappresenta. E - più che la Clinton -
Obama, che in otto anni non è riuscito a dare un carattere di vera
svolta e non ha creato le condizioni per assicurare continuità al suo
lavoro. Oggi tutti confidano sulla grande capacità dell'amministrazione
presidenziale americana, che anche in passato è riuscita a far passare
per accettabili presidenti che non lo erano. Speriamo che sia così,
perché il mondo in cui viviamo è complicato, e le parole utilizzate in
questa lunga campagna elettorale dal nuovo comandante in capo non sono
propriamente rassicuranti e ci raffigurano un uomo impreparato,
arrogante, sessista, imprudente.
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Leonard Cohen
(1934-2016)
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Lutto nel mondo della musica per la scomparsa di Leonard Cohen, annunciata nelle scorse ore attraverso Facebook.
“It is with profound sorrow we report that legendary poet, songwriter
and artist, Leonard Cohen has passed away. We have lost one of music’s
most revered and prolific visionaries” si legge sulla sua pagina
ufficiale.
Scrive il Corriere della sera: “Se non ci fosse stato lui,
difficilmente il nostro De Andrè sarebbe diventato tanto grande. E
forse anche Nick Cave avrebbe fatto il maestro elementare in qualche
remota città australiana invece di raccontarci in musica il lato oscuro
della vita. Sì, se non ci fosse stato Leonard Cohen a forgiare storie
delicate e al contempo dure, dicotomie esistenziali su tessuti sonori,
la nostra vita sarebbe stata più povera".
“L’annus horribilis della musica – osserva Repubblica – si è portato
via un altro massimo cantore della cultura popolare. Dopo David Bowie,
dopo Prince, se n’è andato a 82 anni Mister ‘Hallelujah’, il canadese
Leonard Cohen, cantautore, poeta, romanziere, uno degli artisti più
influenti del nostro tempo. Dall’amore fino alla politica, dal sesso
alla religione, nelle sue canzoni e nei suoi racconti Cohen ha
esplorato ogni aspetto della vita, con una sensibilità letteraria pari
se non superiore a quella del premio Nobel Bob Dylan.
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La scomparsa del grande artista Leonard Cohen (1934-2016)
Dopo
averci preannunciato, con l’uscita del suo ultimo disco You want it
darker di essere “pronto a morire” con la speranza che non sia “una
cosa troppo spiacevole”. Dopo averci avvertito, con un tocco di humor
nero, che stava solo scherzando, perché lui ha “sempre avuto la
tendenza a drammatizzare” e rassicurato di avere tutta l’ebraica
intenzione “di vivere fino a 120 anni”, il grande cantautore e poeta
Leonard Cohen ci ha lasciato nella notte all’età di 82 anni.
Mentre attorno gli Stati Uniti, paese adottivo del canadese Cohen,
affrontano rumorosamente il passaggio di consegne alla Casa Bianca, il
celebre cantautore se ne è andato in un riservato silenzio. “Mio padre
è morto serenamente, nella sua casa di Los Angeles con la
consapevolezza di aver portato a termine quello che sentiva essere uno
dei suoi più grandi dischi”, ha dichiarato alla rivista Rolling Stone
il figlio Adam, riferendosi a You want it darker. “Ha scritto fino
all’ultimo momento, con il marchio unico del suo umorismo”, le parole
di Adam.
Per oltre 50 anni le canzoni di Leonard Cohen – da Suzanne a Sisters of
Mercy fino a capolavori come Everybody Knows, I’m Your Man e The
Future, senza dimenticare la celebre Hallelujah – hanno accompagnato
diverse generazioni, segnando in particolare quelle cresciute a cavallo
dagli anni Sessanta e Settanta. Come scrive Rolling Stone, “Cohen era
l’eminenza grigia di un piccolo pantheon di cantautori estremamente
influenti che emersero tra gli anni Sessanta e Settanta. Solo Bob Dylan
esercitò un’influenza più profonda sulla sua generazione, e forse solo
Paul Simon e la sua connazionale canadese Joni Mitchell lo eguagliarono
come poeti della canzone”.
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LEONARD COHEN (1934-2016) Il suo testamento: "Sono qui"
È
denso di richiami ebraici l’ultimo album di Leonard Cohen, You want it
darker. A partire dalle voci sinagogali del cantore Gideon Zelermyer e
del coro Shaar Hashomayim della sua congregazione di Montreal. Canti
solenni e toccanti, che accompagnano il pezzo che dà il titolo
all’album, un brano nel più puro stile dark del Cohen degli ultimi
anni, in cui il poeta e cantautore canadese cita versi biblici come
Hineni, hineni (“Sono qui”), la risposta pronunciata da Abramo chiamato
dall’Onnipotente al sacrificio di suo figlio Isacco. E riprende il
kaddish, la preghiera ebraica utilizzata anche nella liturgia funebre,
con i suoi versi “Magnified, sanctified be thy holy name”.
Il disco è profetico della sua scomparsa, a partire dalla copertina:
Leonard si affaccia da una finestra che dà sull’oscurità, l’espressione
serena, tra le dita una sigaretta. E inequivocabile in questo senso è
il brano Leaving the table (“Sto lasciando il tavolo / sono fuori dal
gioco”), che parla proprio della fine della vita, che Cohen aveva
dichiarato sentire imminente, anche in una recente intervista concessa
al New Yorker.
C’è tanto ebraismo in tutta l’opera di Cohen, a partire da Halleluja,
forse la sua canzone più famosa. Ma You want it darker, considerato dai
critici un capolavoro, è certamente il suo album più esplicitamente
ebraico, in cui il richiamo alle sue radici è più saldo.
Un disco solenne, profondo, quasi un testamento spirituale, i cui le
canzoni si susseguono eleganti, raffinate, tra chitarre vibranti,
organi e archi struggenti, e la sua calda voce di anziano chansonnier.
Tra di essi, Travelling light, sul viaggio e sulla gioia della
solitudine, On the level, che racconta i desideri passionali di una
persona anziana, Treaty, anch’essa intrisa di spiritualità e richiami
biblici, e Steer Your Way, una poesia che racconta il coraggio di
vivere, anno dopo anno, giorno dopo giorno, dirigendosi verso l’ignoto.Leggi
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LEONARD COHEN (1934-2016) Ebraismo, un legame costante
Musica ed ebraismo: un binomio indissolubile nella carriera, nella vita, nelle convinzioni più profonde di Leonard Cohen.
“Al pari di altre figure della sua grandezza, come Bob Dylan, Cohen
sentiva un forte legame con le sue origini ebraiche. Ma al tempo stesso
si muoveva nella società americana indipendentemente, prescindendone.
Un legame che era soprattutto culturale” sostiene l’ebraista e
musicologa Maria Teresa Milano. “Il valore della sua identità ebraica è
soprattutto nelle radici, cui è tornato sempre più significativamente
negli ultimi anni. Prendo come esempio l’ultimo cd, per il quale ha
voluto la collaborazione del coro della sinagoga di Montreal. Una
scelta che denota la volontà di ricordare la sua infanzia, i suoi primi
contatti con l’ebraismo. Il messaggio è chiarissimo: ho attraversato
molte esperienze, sento di essere vicino alla fine, voglio recuperare
quel pezzetto di me che non ho mai dimenticato”.
“Se dovessi descrivere con una parola il sentimento che sento di
provare nei confronti di Cohen, quella parola sarebbe amore. Perché era
un poeta vero, che ha saputo usare in modo magistrale musica e parole.
Toccava l’anima in tutte le sue corde” dice Evelina Meghnagi, artista
tra le più impegnate nella salvaguardia del patrimonio musicale degli
ebrei del Mediterraneo. “Cohen – sottolinea – era laicamente religioso
in tutto ciò che ha cantato. Una figura davvero unica”.
“Come Barbra Streisand, Paul Simon e Bob Dylan, Leonard Cohen ha
disegnato la mappa ebraica della canzone impegnata del Novecento; a
prescindere da gusti e idee personali, avvertiremo ben presto nel
firmamento della poetica musicale contemporanea il vuoto che ci lascia
uno come lui” afferma il pianista Francesco Lotoro, autore della grande
ricerca della musica concentrazionaria che molto ha fatto parlare di sé
in questi anni.
Concorda Davide Casali, direttore del Festival Viktor Ullmann (dedicato
anch’esso alla musica concentrazionaria): “Probabilmente – sostiene
Casali – senza la sua musica e la sua poesia non avremmo mai apprezzato
altri grandi musicisti come Nick Cave e Bob Dylan. La sua poesia era un
mondo pieno di grandi colori”.
(Nell'immagine l'omaggio del disegnatore Michel Kichka) Leggi
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LEONARD COHEN (1934-2016) Il suo messaggio ritorna
nel linguaggio dell'Yiddish
Daniel
Kahn (nell'immagine), cantautore berlinese "punk-Kletzmer", è noto per le sue
"tradaptions" che mostrano un talento unico nel tradurre e adattare
canzoni note in un'altra lingua, riuscendo a rispettarne sia il testo
che la musicalità. Vecchie melodie yiddish trovano una nuova vita in
inglese, liriche tedesche vengono trasportate in yiddish, e anche i
grandi classici della canzone d'autore, passati per le sue mani, si
arricchiscono di musicalità nuove quando rinascono in una lingua che è
lungi dall'essere morta. È una capacità rara, che Kahn condivide con
pochissimi altri - fra cui Theo Bikel, che è stato suo amico e maestro
- e la sua versione yiddish di "Hallelujah", forse la canzone più nota
di Leonard Cohen è un emozionante un esempio di "tradattamento". Quanto
di più lontano da un tradimento possa esistere. Poesia aggiunta alla
poesia.
https://www.youtube.com/watch?v=XH1fERC_504
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qui roma - i leader islamici in sinagoga "Per la pace serve coraggio"
“Da
noi troverete sempre le porte aperte, per combattere insieme per un
mondo più libero, per rafforzare la sfida del dialogo”. Queste le
parole con cui la presidente della Comunità ebraica romana Ruth
Dureghello ha accolto stamane una folta delegazione di esponenti del
mondo arabo (in gran parte dal Bahrein) che ha visitato oggi la
sinagoga della Capitale.
Guidata dall’imam francese Hassen Chalgoumi, in prima linea nella lotta
al fanatismo e al terrorismo islamico, costretto per questo a vivere
costantemente con la scorta, la delegazione era composta da
rappresentanti di diverse fedi e nazionalità. Una visita, quella alla
sinagoga, il cui scopo era quello di promuovere con i fatti l’impegno
delle religioni nella promozione di valori condivisi di pace e
tolleranza.
“In questa sinagoga, già visitata da tre papi – ha osservato il rabbino
capo Riccardo Di Segni, rivolgendosi agli ospiti – è stato possibile
aprire una nuova stagione di dialogo tra ebrei e cristiani. La grande
sfida oggi è quella di trovare un accordo tra le religioni, favorendo
una coalizione tra esponenti moderati in grado di contrastare gli
estremismi”. La visita odierna è stata definita dal rabbino capo “un
grande atto di coraggio”. Leggi
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Barriera invisibile
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Quanto
ha pesato il fatto che Hillary Clinton sia una donna nella sua mancata
elezione? Poco, stando alle analisi e ai commenti che si sono sentiti
negli ultimi giorni. Poco, stando alle previsioni della vigilia, alle
intenzioni di voto e a tutto il resto. L’ipotesi di una donna alla Casa
Bianca non è stata percepita come una novità rivoluzionaria, una molla
che potesse portare la gente a votarla. O, almeno, non nella misura in
cui il colore della pelle di Barack Obama era stato un tema centrale
nella campagna elettorale del 2008. “… un uomo il cui padre meno di
sessanta anni fa non avrebbe neanche potuto essere servito in un
ristorante ora può trovarsi di fronte a voi per pronunciare il
giuramento più sacro di tutti” aveva detto Obama nel suo discorso
d’insediamento. Certo, Hillary Clinton non avrebbe mai potuto dire
nulla del genere: nessuna discriminazione subita, nessun diritto
ufficialmente negato e, dopo otto anni vissuti alla Casa Bianca,
sarebbe stato difficile anche parlare di accesso negato alle stanze del
potere. E quando una persona è percepita come influente, legata ai
“poteri forti”, il fatto che sia al contempo anche oggetto di ostilità
e pregiudizi non suscita troppo allarme.
Anna Segre, insegnante
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Il nuovo blocco all'orizzonte
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Sono
state molte le riflessioni e i commenti, nel mondo ebraico e non,
seguiti alla vittoria elettorale di Donald Trump negli Usa. Nella
maggior parte di esse domina un senso di incertezza, di paura, se non
di fine di qualcosa. C'è anche chi esulta, come i Grillo e i Salvini
nostrani, Le Pen in Francia, Putin in Russia, Orban in Ungheria e
addirittura non sono mancate neanche le vive congratulazioni di
Erdogan. Sembra che sia questo il nuovo scenario che si profila
all'orizzonte: una revisione delle alleanze storiche e il
consolidamento di un blocco politico che nel nostro futuro avrà
probabilmente un peso sempre più consistente, destinato a subentrare
alla vecchia destra liberal-conservatrice.
Francesco Moises Bassano
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