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17 novembre 2016 - 16 Cheswhan 5777
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ELEZIONI E SOCIETà

Oltre la politica della rabbia

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Questa non è politica come al solito. Le elezioni presidenziali americane, il voto per la Brexit e la crescita dell’estremismo nella politica dell’Occidente sono segnali di qualcosa di più grande, e prima lo realizziamo, meglio è. Quello a cui stiamo assistendo è la nascita di una nuova politica della rabbia. Potenzialmente molto pericolosa.
Nessuna civiltà dura per sempre. Il primo segnale della sua disgregazione è il fatto che la gente smetta di avere fiducia nella classe dirigente. Quando si ritiene che essa abbia fallito il tentativo di risolvere i principali problemi della nazione. Quando essa è percepita come intenta a beneficiare se stessa invece che l’intera popolazione. Quando i suoi leader rimangono distanti e circondati da persone come loro. Smettono di ascoltare le voci della base. Sottovalutano la profondità e l’ampiezza della rabbia popolare. Questo è successo a Washington e a Westminster. La classe di governo non è stata capace di vedere il colpo arrivare. Così lo status quo è stato sconfitto dal candidato del partito della rabbia, per quanto incoerenti le sue politiche siano.
In questo si nasconde il pericolo che la rabbia sia un umore, non una strategia e che possa rendere le cose ancora peggiori, al posto che migliorarle. La rabbia non risolve mai i problemi, li infiamma solamente. Il grave rischio alla fine del percorso, come in tutta la storia, è la pretesa di una leadership autoritaria, che rappresenta l’inizio della fine della società libera. Non dovremmo dimenticare l’ammonimento di Platone, secondo cui la democrazia può finire in tirannia.

Rav Lord Jonathan Sacks

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ELEZIONI E SOCIETà

"Accettare i risultati non significa restar calmi"

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"Calmati, caro", mi ha detto la mia compagna di intervista su BBC Newsnight quando, il giorno dopo le elezioni americane, mi sono lasciato andare e il livello della mia veemenza è arrivato al limite massimo. Non le ho dato ascolto.
Calmarsi è la medicina che i vincitori prescrivono sempre ai perdenti, per timore che il proprio autocompiacimento possa essere disturbato dall'opposizione. Ma inchinarsi al giudizio delle urne non comporta una sospensione del dissenso, in particolare quando, come in questo caso, l'elezione comporta una soppressione spudorata di voti, la politicizzazione dell'FBI e la cyber-interferenza dei russi. Se amare la democrazia significa accettare il risultato del voto, presuppone anche il diritto di fare opposizione. E quando quell'opposizione viene demonizzata come sleale, allora c'è bisogno di fare la voce grossa.
Ci sono, dopo tutto, parecchi motivi per alzare la voce. Stranamente, il pubblico americano che ha premiato il presidente uscente un indice di gradimento del 56 per cento ha anche eletto una persona che si propone di cancellare totalmente la presidenza Obama. Ora che i repubblicani controllano la Casa Bianca e l'intero congresso, il signor Trump avrà mano libera per abrogare l'Affordable Care Act (privando milioni di americani dell'assicurazione), forgiare una Corte Suprema che rovesci la sentenza Roe contro Wade sull'aborto, ripudiare gli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, abbandonare l'accordo sul nucleare iraniano e sbarazzarsi della regolamentazione bancaria Dodd-Frank, progettata per impedire il ripetersi dei comportamenti che hanno portato la Grande recessione.

Simon Schama, storico

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ELEZIONI E SOCIETà  

Alain Finkielkraut: "Dopo il Bataclan chiudiamo ancora gli occhi"

«Dopo Charlie Hebdo i francesi sono scesi in piazza dicendo “sono ebreo, sono Charlie, sono la polizia, sono la République”. E dopo il 13 novembre, molti si sono sorpresi a cantare la Marsigliese: parole un tempo giudicate anacronistiche e sanguinose sono tornate attuali, di colpo si è capito che davvero “feroci soldati venivano fino nelle nostre braccia a massacrare i nostri figli e le nostre compagne”. Tante persone hanno, loro malgrado, riscoperto il patriottismo. Ma è durata poco. Nelle proteste contro la riforma del lavoro abbiamo sentito questo slogan terribile, “tutti detestano la polizia”. Ben presto i veri nemici sono tornati a essere lo Stato poliziesco e il capitalismo. Ne concludo che la Francia non è pronta a rispondere alla sfida dell’islamismo radicale». Nei giorni della commemorazione del più grave attentato che la Francia ricordi, il filosofo Alain Finkielkraut ripercorre un anno di — troppo timida, secondo lui — reazione al terrorismo e al radicalismo islamico.re che hanno favorito la crescita, in ogni campo, delle nostre società.

Stefano Montefiori, Corriere della Sera
12 novembre 2016


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ELEZIONI E SOCIETà 

Bernard Henry Lévy: "Pagheranno i più poveri
il trionfo del populismo"

L’invito a non sottovalutare il potenziale distruttivo di Trump, soprattutto ora che è stato eletto. La messa in guardia dall'«Internazionale populista». La speranza che i curdi vedano nascere il proprio Stato al termine della guerra contro il Califfato in cui hanno combattuto in prima linea. Bernard-Henri Lévy ragiona con La Stampa del voto americano e delle ombre che proietta sul mondo. Giornalista, scrittore, filosofo, animatore del dibattito politico come della mondanità francese ma soprattutto epigono dell'intellettuale «engagée» nell'era del disimpegno e della rivolta contro le elite, Bhl traccia una mappa in cui l'occidente catalizza tensioni, frustrazioni, rese dei conti con la Storia.









Francesca Paci, La Stampa
13 novembre 2016


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ELEZIONI E SOCIETà

"Hitler a Manhattan"

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Roma. Dal suo bordo piscina a Beverly Hills, Cher ha twittato, precedendo Eva Longoria: "Come Trump, Hitler ha causato caos e paura". Si è scaldato Spike Lee: "E' come i nazisti e Mussolini". Sir David Attenborough ha proposto una soluzione all'Hitler biondo: "Potremmo sparargli". E allo show di Charlie Rose, il comico Louis C.K. ha sbottato: "E' stato divertente per un po', ma quel tizio è Hitler". Sarebbe divertente, se il paragone Trump-Hitler non avesse infettato, portandoli alla pazzia, tutti i grandi media liberal. "Come Stalin e Hitler", ha detto alla Cnn Dana Bash parlando del neo presidente americano. Su Msnbc Joe Scarborough: "La Germania non sembrava così nel 1933?". Il New York Times ha pubblicato articoli come quello di Peter Baker: "L'ascesa di Trump è parte del fascismo globale". E sulla pagina letteraria del Times Michiko Kakutani ha recensito il libro "Hitler: Ascent, 1889-1939" senza neppure velare troppo le allusioni a Trump.

Giulio Meotti

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ELEZIONI E SOCIETà

"God bless America"

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Trump ha vinto le elezioni. È una vera e propria rivoluzione. Può piacere o meno, ma il messaggio dell’elettorato americano è chiarissimo. Quel complesso ideologico, prima che politico, che ha governato il mondo ancor prima di Obama, negli ultimi trent’anni, a partire da Clinton marito, non è più accettabile. I risultati che ha ottenuto questo approccio politico sono giustamente sembrati pericolosi e dannosi alla maggioranza degli americani, come lo appaiono anche da tempo a buona parte degli europei. L’estremismo antioccidentale e filoislamico di Obama appare sonoramente sconfitto. Ma, come scriveva di recente Caroline Glick, Trump si opponeva non solo ai democratici, ma anche all’establishment del suo partito. Quel che è accaduto è qualcosa di più di una mera alternanza di partiti, non è neppure solo il rifiuto di una candidata che appariva inadeguata e corrotta, ma la chiusura di un’epoca, di un modo di concepire il rapporto fra l'America e il mondo.

Ugo Volli

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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Cerbiatta ti manderò

img headerAncora una poesia sulle cerbiatte e le gazzelle, metafora ricorrente nella poesia israeliana sviluppata da Amir Gilboa nato nel 1917 in Ucraina e morto a Petah Tikva nel 1984. Il giovane Berl Perlman arriva clandestinamente in Israele nel 1937, e partecipa alle missioni della Brigata Ebraica volte a sconfiggere il nazismo e, soprattutto, a contribuire allo sforzo di trasferire i sopravvissuti dall'Europa del nord e dall'Italia in Palestina. Partecipa alla Guerra d'Indipendenza e fa parte della corrente degli scrittori e poeti definiti "La generazione del Palmach", i gruppi d'assalto che grazie alla coraggiosa decisione di Ben Gurion diventeranno, assieme alle altre strutture militari, l'Esercito per la difesa di Israele. Il vissuto di guerra e il confronto con la sparizione di tutti i suoi parenti in Russia e Polonia lasciano un segno forte sulla sua poesia. Una in particolare "Ad un tratto un uomo si alza e si sente un popolo" viene musicata e diventa una sorta di inno all'esistenza quotidiana e ottimista della gente in Israele.
Amir Gilboa ha vinto il premio del Primo ministro 1969, Premio Chomsky 1977, Premio Israele 1982. Amato per la sue liriche, stimato come editor e traduttore dal polacco e dal russo, continua ad essere letto, ammirato e cantato anche oggi dai giovani.
Questa poesia del 1972, “Cerbiatta ti manderò”, rimane un po' un mistero: chi è la fanciulla che viene inviata al fronte come il biblico guerriero perdente, Uria l'hittita, per morire eseguendo l'ordine del pusillanime re David? La figlia, oppure ogni altra fanciulla adolescente che incontra per la prima volta il mondo pieno di lupi cattivi fuori dalla porta di casa? Si tratta di una lirica scritta con metafore raffinate, giochi di parole, allusioni bibliche e idiomi pieni di colore. La resa in italiano, ahimè, è complicata e inevitabilmente incompleta.

Cerbiatta/ti manderò ai lupi/non sono nella foresta/
ma in città sui marciapiedi/fuggirai da loro, lo spavento
nei tuoi occhi belli/
mi invidieranno nel vedere te
un bocciolo di paura/e la tua anima
                                  
Manderò te al fronte/
la guerra non fa più per me/
il mio cuore, cerbiatta, anela a vederti grondare sangue nell'alba errante.


Sarah Kaminski, Università di Torino

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