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15 dicembre 2016 - 15 Kislev 5777
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ORIZZONTI

La Scuola di Francoforte, i totalitarismi
e la politica del XXI secolo

img headerIl rischio per gli Stati Uniti di scivolare negli autoritarismi era stato previsto già decenni fa dalla Scuola di Francoforte. A sostenerlo, tra gli altri, Alex Ross, firma del New Yorker. L'articolo riprende lo studio promosso dall’American Jewish Committee di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno “La personalità autoritaria”, che nel 1950 descriveva il profilo psicologico e sociologico dell'“individuo potenzialmente fascista”. Per individuare questa personalità dalle tendenze antidemocratiche, gli studiosi procedettero analizzando diversi fattori, iniziando dalla “scala di antisemitismo”: ovvero, si legge nell'indagine, rintracciare “opinioni stereotipe negative descriventi gli ebrei come pericolosi, immorali, categorialmente diversi dai non-ebrei e ad atteggiamenti ostili incitanti a varie forme di restrizione, esclusione, soppressione come mezzi per risolvere il 'problema ebraico'”.
Adorno e colleghi poi proposero una scala che doveva essere una sintesi delle altre prese in esame, ovvero la Scala di fascismo potenziale. Attraverso questa furono individuate alcune caratteristiche, tra cui: il convenzionalismo, inteso come adesione rigida ai valori della classe media; sottomissione all'autorità, ovvero proiezione in contesto più ampio della sottomissione al padre; aggressività autoritaria, che implicava la condanna di chi rifiuta i valori convenzionali; la superstizione e stereotipia, pensare in categorie rigide e credenza nel destino dell'individuo; l'identificazione con le figure di potere e divisione in forte-debole; credere che eventi pericolosi accadano nel mondo ("Le nostre vite sono governate da complotti tramati in segreto dagli uomini politici").

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società

Monoteismi e interpretazioni 

img header“Festa della liberazione” o “festa della vittoria”? La tesi sostenuta da R. Meir Simchah da Dvinsk nel suo commento Meshekh Chokhmah alla Torah (P. Bo) è che noi Ebrei abbiamo datato le nostre ricorrenze annuali in funzione della redenzione dai nostri nemici anziché della loro distruzione. Celebriamo Pessach nell’anniversario dell’Uscita dall’Egitto e non nel giorno del definitivo annientamento degli Egiziani nel Mar Rosso. Purim si festeggia il 14 adar mentre il 13, vero anniversario della battaglia decisiva per l’autodifesa, si digiuna. Ma la cosa è soprattutto evidente con Chanukkah. Ricordiamo il miracolo dell’olio nel Bet ha-Miqdash mentre la vittoria militare dei Maccabei, che pure ebbe luogo, è quasi sottaciuta: se ne parla sì nella Tefillah (‘Al ha- Nissim), ma il Talmud non ne fa menzione. Il vecchio adagio “per i nostri peccati siamo stati esiliati dalla nostra terra” è stato messo in discussione dopo la Shoah: si ritiene inconcepibile che i campi di sterminio siano stati generati dalle colpe del popolo ebraico. Eppure proprio la concezione per cui i nostri nemici sono semplicemente gli strumenti della punizione divina per le nostre trasgressioni ha protetto noi Ebrei da un fenomeno che prima o poi ha interessato tutte le altre nazioni della terra: l’esigenza di trovare un capro espiatorio per i propri fallimenti. Ammettendo a gran voce il principio per cui il soggetto è il primo responsabile delle proprie azioni ci siamo scrollati di dosso per secoli la tentazione di odiare gli altri. A costo di diventare noi capro espiatorio e oggetto di odio per le manchevolezze altrui. È questa una delle tesi sostenute nell’ultimo libro dell’ex rabbino capo del Regno Unito rav Jonathan Sacks, una delle figure di maggiore spicco nel pensiero ebraico contemporaneo: “Not in God’s Name: Confronting Religious Violence” (2015).

Alberto Moshe Somekh, rabbino

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anniversarI  

«Io in Israele, 80 anni dopo Toscanini»

Nel dicembre del 1936 Arturo Toscanini, su invito del grande violinista Bronislaw Huber-man, giunse a Tel Aviv per dirigere il primo concerto dell'appena nata Orchestra di Palestina, oggi Filarmonica di Israele. A distanza di ottant'anni esatti, la gloriosa Istituzione celebrerà quell'avvenimento eseguendo lo stesso programma ideato dal grande Maestro: Rossini Sinfonia da «La Scala di Seta», Brahms Seconda Sinfonia, Schubert Sinfonia Incompiuta, Mendelssohn Notturno e Scherzo dal «Sogno di una Notte di mezza estate», Weber Ouverture da «Oberon».Toscanini, sempre più attivo nella lotta contro il fascismo, diresse gratuitamente quei primi concerti, eseguiti da musicisti ebrei, che dall'Europa centrale erano fuggiti per evitare la persecuzione nazista. Albert Einstein dagli Stati Uniti, dove era esule, scrisse al Maestro: «Sento il dovere di dirLe quanto La ammiri e la veneri» e, poco dopo, «L'esistenza di un simile contemporaneo cancella molte delle delusioni, che si devono continuamente subire da parte della species minorum gentium».



Riccardo Muti, Corriere della Sera
13 dicembre 2016


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ORIZZONTI 

Se la morte di Aleppo
non riesce a svegliarci

Da Aleppo assediata arrivano grida di disperazione e richieste di aiuto. «Questo potrebbe essere il mio ultimo messaggio. Sono qui con mia figlia. Nessuno viene ad aiutarci. Come finiremo?». È uno dei tweet che miracolosamente ci raggiungono in questa oasi di pace. Accanto a queste parole una piccola fotografia di una donna giovane con accanto una bambina di pochi mesi. «Le forze del regime stanno arrivando — scrive Bilal Abdul Kareem — i soffitti del bunker ci stanno piovendo addosso». «Siamo chiusi nella assediata Alenno. Chiediamo un aiuto internazionale» grida Monter Etaky. Accanto la faccia di un uomo spaventato, con vicino la testa di un bambino. «Ancora riesco a twittare ma non so fino a quando. Vi prego di salvare almeno mia figlia. E un padre che vi supplica. Cercate di capirmi: non posso arrendermi e lasciarmi catturare. Sto parlando pubblicamente e questo è un crimine». Firmato Alhamdo. Voci che una volta non avremmo mai potuto ascoltare, ci chiamano dalla lontana Aleppo attraverso la fragile rete di Twitter. Ma fino a quando potranno continuare a pigolare chiedendo un aiuto che non verrà? .

Dacia Maraini, Corriere della Sera
14 dicembre 2016


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Shir shishi, una poesia per erev shabbat

Zohara

img headerSiccome il dossier di Pagine Ebraiche questo mese ha parlato di cultura mizrahi e del poeta Erez Biton ho pensato di tradurre la sua poesia più famosa del 1976 che narra la storia di Zohara, la cantante di corte del re marocchino Muhammad V, che col suo arrivo in Israele passa dalla gloria alla miseria, dalla ricchezza alla povertà. Situazione di immigrazione che non è estranea anche a noi. Ricordiamo i pregiudizi e il disprezzo di parte dei torinesi nei confronti degli immigrati del Sud o come solo pochi anni fa nella benestante e tranquilla Pino Torinese alcuni clienti non avevano gradito la presenza di un bravissimo ragazzo africano che lavorava al banco perché era "nero". Biton, poeta cieco, vede e sente quello che gli ignoranti preferiscono non vedere ma spesso scelgono di odiare. Da assistente sociale nella città di Ashkelon, vede Zohara che abita in un caseggiato di povera gente, i suoi abiti logori portano segni dell'eleganza consumata, il suo trucco è pesante e dozzinale, la voce ormai rauca. Ma lui vede o meglio sente: "Il suo cuore limpido e i suoi occhi sazi d’amore.
 
Zohara Alfassya.
Cantante di corte presso Muhammad V a Rabat in Marocco.
Di lei si dice che quando cantava,
i soldati lottavano con i coltelli
nel farsi strada tra la folla
per raggiungere l'orlo del suo vestito,
baciarle le dita,
e lasciare una moneta ryal in segno di gratitudine.
Zohra Al Fassya,
oggi si trova
ad Ashkelon, caseggiato Atikot G - c/o Assistenza Sociale.
Odore di resti di sardine in scatola su un tavolo a tre gambe traballante,
magnifici tappeti reali imbrattati su una branda;
in vestaglia fissavano
per ore lo specchio
con un trucco dozzinale
e quando lei dice:
Muhammad V, pupilla dei nostri occhi
sulle prime non comprendi.
Zohra Al Fassya ha la voce rauca,
un cuore limpido e occhi sazi di amore.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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