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19 dicembre 2016 - 19 Kislev 5777
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Paolo Sciunnach,
insegnante
In principio era il Verbo, il Verbo era D-o. Lo studio della Torah è una delle vie che conduce alla presenza di D-o, insegnava il Baal Shem Tov: chi studia la Torah dovrebbe sentirsi come un figlio che, avendo ricevuto una lettera dal proprio Padre, è ansioso di sapere che cosa gli comunicherà. La lettera diventa per lui sempre più preziosa, ogni volta che la rilegge, ed è sempre come se suo Padre gli stesse a fianco.
 
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Anna
Foa,
storica
“Ci asciughiamo una lacrima quando vediamo un padre con in braccio il corpo della figlioletta morta, poi taciamo” ha detto al canale 2 della TV israeliana la giornalista arabo-israeliana Lucy Aharish, usando poi, per quello che sta succedendo, il termine “Olocausto”. “Il sangue dei morti di Aleppo è sulle mani di Assad e di Putin”, ha proclamato il presidente Obama, ancora presidente in attesa che gli subentri l’amico di Putin, Trump. Ma se guardate i commenti al discorso di Obama sul sito di Repubblica vi viene voglia di cambiare pianeta.
 
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La vergogna di Aleppo
“Mi vergogno. Sì mi vergogno per Aleppo che muore sola. Mi vergogno di chi giudica che il presidente siriano Assad, il Pol Pot del jet-set, sia il male minore davanti alla minaccia dell’Isis. Noi siamo diventati testimoni muti. Ci siamo forse assuefatti alla sofferenza degli altri?”. Sono le parole di denuncia di Bernard-Henri Lévy, pubblicate oggi dal Corriere della Sera, in merito al silenzio dell’Occidente per quanto accade in Siria e ad Aleppo in particolare. Per il filosofo francese molti sono i responsabili della tragedia siriana, dalla Russia di Putin – piccolo zar volgare, capo di Stato canaglia, che tra un servizio fotografico e un’ostentazione di testosterone spedisce i suoi aerei a bombardare le rovine della città – fino a Obama, per la sua scelta di non intervenire, passando per l’Onu, “la cui risoluzione arriva nel preciso istante in cui tutto è finito e tutti sanno che non resta più niente da fare se non la conta dei morti”. Intanto nel pomeriggio del 18 dicembre si è saputo che alcuni pullman che sarebbero dovuti servire per evacuare feriti e malati da Fua e Kefraya – due cittadine sciite nella provincia siriana di Idlib – sono stati attaccate dai ribelli siriani che combattono contro il regime di Bashar al Assad. L’agenzia di stato del governo siriano ha detto che i pullman esplosi sono cinque.

Giordania, la mano del terrore islamista. Non è ancora stato rivendicato l’attacco terroristico che ieri a Karak, località turistica giordana, ha causato la morte di almeno 10 persone. Come scrive Giordano Stabile su La Stampa, l’attacco è cominciato attorno all’ora di pranzo. Il gruppo armato ha aperto il fuoco sulle auto della polizia davanti alla centrale della cittadina di Karak. Sette poliziotti sono stati uccisi ma nella sparatoria sono rimasti coinvolti anche alcuni civili. Due giordani e una turista canadese sono morti, un altro canadese ferito. Poi il commando si è impossessato di una delle auto ed è salito verso il castello. I jihadisti sono riusciti a entrare e hanno preso in ostaggio un gruppo di visitatori, compresi alcuni malesi. L’assedio si è concluso in serata con la liberazione degli ostaggi. Il pericolo che porta con sé questo attentato è la destabilizzazione della Giordania, spiega Guido Olimpio sul Corriere, per mano di cellule dello Stato islamico o di altri gruppi terroristici: “nemici che vengono da fuori e avversari cresciuti in casa – spiega Olimpio – grazie a una situazione sociale ed economica precaria, aggravata dal peso insostenibile dei profughi”.
 
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  davar
scoperta in cisgiordania una fabbrica illegale
Caccia alle armi dei terroristi
Il maxisequestro di Tsahal  

Secondo il portavoce dell'esercito israeliano è “la più grande fabbrica di armi mai scoperta in Cisgiordania”. Si tratta del luogo venuto alla luce nelle scorse ore grazie all'operazione portata avanti dai soldati di Tsahal nei pressi di Hebron. Un'ufficiale dell'esercito ha spiegato che l'iniziativa fa parte di un'operazione più ampia, volta a contrastare la fabbricazione illegale in Cisgiordania di armi. Proprio quest'ultima infatti, hanno più volte affermato le forze di sicurezza israeliana, costituisce uno dei pericoli maggiori per Israele e i suoi cittadini: la maggior parte degli attacchi terroristici palestinesi compiuti con armi da fuoco sono stati fatti con pistole e fucili prodotti in Cisgiordania.
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il protagonista della mostra del meis
Ferrara, un ritorno a casa con arte
Il laboratorio di Eric Finzi 

Si intitola “Ritorno al Giardino” la mostra dell’americano di origine ferrarese Eric Finzi promossa dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea e i Musei Civici di Arte Antica di Ferrara e visitabile fino a fine gennaio presso la Casa di Ludovico Ariosto. E Finzi, medico affermato negli Stati Uniti con una passione per l'arte coltivata sin dall'infanzia, è il protagonista dell'intervista, a firma di Ada Treves, pubblicata sul numero di dicembre di Pagine Ebraiche.

I divieti si susseguono uno dopo l’altro lungo gli antichi muri di Ferrara: “vietato appoggiare biciclette”, “vietate fermata e sosta di biciclette”, targhe di metallo, di plastica, avvisi dipinti sugli intonaci, e ancora una placca moderna fissata a pochi centimetri dall’avvertimento originale: un “vietato appoggiare biciclette” inciso in una lista di marmo incastonata nello storico muro di mattoni rossi. A cui, ovviamente, sono appoggiate diverse biciclette. Eric Finzi non si trattiene più e scoppia in una delle franche risate a cuore aperto che caratterizzano una mattinata trascorsa a spasso per Ferrara, tra il Castello Estense, per la donazione del manoscritto de Il Giardino dei Finzi-Contini e la casa dell’Ariosto dove è allestita la sua mostra, intitolata “Ritorno al Giardino”. È l’occasione, per questo ebreo americano dal nome italiano di un ritorno a casa, a chiudere il cerchio, a partire da quel nonno ferrarese che, avendo trascorso diversi anni a Vienna, seppe intuire in tempo che le cose si mettevano male. Una storia rocambolesca, di fuga attraverso molti confini, e di salvezza, che porta a questo dermatologo di successo, che ha trovato anche una sua dimensione come artista, e grazie ai quadri dipinti con le resine epossidiche si è conquistato una fama non indifferente.

Ma le resine epossidiche non sono normalmente associate con l’arte.
Verissimo, si trovano molto nel settore nautico e aero-spaziale, insieme al kevlar o alle fibre di vetro, o in mille altri contesti industriali. Prima di iniziare a sperimentare per i miei quadri avevo incontrato la resina epossidica in laboratorio.

Un laboratorio medico?
In realtà vengo dalla biochimica, ma l’arte era entrata nella mia vita ancora prima, a partire da un episodio di cui ho memoria ben precisa: la mia professoressa di arte, mi aveva accusato di aver tracopiato un disegno. Per dimostrarle che non stavo barando ho rifatto lo stesso disegno di fronte a lei, in una scala differente… è stato l’inizio, quella stessa professoressa mi appoggiò moltissimo e così iniziai a prendere lezioni private, per poi ottenere il mio primo riconoscimento – una borsa di studio al Pratt Institute di Brooklyn – a tredici anni.

(Nell'immagine il ritratto di Eric Finzi disegnato da Giorgio Albertini)
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l'ultima testimone livornese della shoah 
Matilde Beniacar (1926-2016)
È scomparsa questa mattina Matilde Beniacar, ultima sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti della Comunità ebraica livornese rimasta in vita.
Nata a Smirne in Turchia nel 1926, figlia di Moise Beniacar e Estrea Levi, Matilde si trasferisce con la famiglia a Livorno, nel 1933, dopo che lo Stato turco costringe il padre di origine italiana, proprietario di una fabbrica di mobili, a rimpatriare.
Nel gennaio del 1944 Matilde è arrestata a Borgo a Buggiano, in provincia di Pistoia. E da là tradotta al carcere di Santa Verdiana a Firenze, quindi a Fossoli e infine ad Auschwitz-Birkenau. All’arrivo è subito separata dal resto della famiglia, che verrà subito uccisa dai nazisti.
Matilde, che ha 18 anni, è assegnata ai lavori forzati a Birkenau ed è quindi smistata in diversi campi: Gusen, Bergen Belsen, Dachau, Buchenwald e infine Mauthausen. La salvezza arriva soltanto il 5 maggio del ’45, con l’ingresso dell’esercito americano.
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il riconoscimento ricevuto a budapest
I passi avanti di Tsad Kadima,  trent'anni di impegno sociale
Un'associazione che si occupa di organizzare e aiutare il percorso formativo dei bambini che soffrono di lesione cerebrale in Israele, a prescindere dalla religione, dal credo o dall'appartenenza etnica. Così si presenta Tsad Kadima, l'ente che da trent'anni è impegnato nel garantire a bambini e ragazzi con lesioni cerebrali di vivere una vita il più normale possibile, al di là delle limitazioni fisiche di cui soffrono. Un lavoro costante e quotidiano che recentemente ha ricevuto una importante menzione: a Budapest infatti ad Alessandro Viterbo, tra i fondatori di Tsad Kadima, è stato conferito il titolo di "honorary conductor" dall'András Pető College per aver portato avanti progetti sull'educazione conduttiva, metodo applicato per l'educazione e la riabilitazioni di giovani cerebrolesi e affetti da disfunzioni motorie.
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la mostra a caraglio, in piemonte
Nel filatoio magico di Luzzati
La mostra “Gli incantesimi di Emanuele Luzzati. Fiaba e magia nell’illustrazione e nel costume”, allestita nell’edificio storico sito a Caraglio (a pochi chilometri da Cuneo) denominato “Filatoio Rosso”, opera dell’architetto ducale Amedeo di Castellamonte, ha costituito il nucleo centrale della prima parte della gita organizzata ieri dall’Associazione ex Allievi e Amici della Scuola ebraica di Torino (Asset), presieduta da Giulio Disegni.
La mostra illustra, attraverso pannelli, quadri, personaggi in cartapesta e tessuti originali e video, una parte significativa del percorso di artista e di scenografo di Luzzati e immerge il visitatore in un mondo magico e fiabesco dai tratti inconfondibili.
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inFORMAZIONE - INTERNATIONAL EDITION
I media ebraici nel XXI secolo
Mezzi di informazione e responsabilità. Quello che rappresenta uno degli interrogativi più pressanti per le società del mondo occidentali in questo termine di 2016 è al centro di numerosi spunti pubblicati nell’odierna edizione di Pagine Ebraiche International Edition. Tra l’altro, un articolo ripreso dal European Jewish Press raccoglie i commenti del direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale, insieme a quelli del giornalista Richard Ferrer e del fondatore del canale online J-TV Oliver Anisfeld, entrambi britannici. Focus dell’intervista è quale spazio e quale ruolo possono avere nel nuovo millennio i media ebraici, che trovano sempre più interesse anche al di fuori delle comunità. Ancora Vitale, nel suo appuntamento con It Happened Tomorrow, riporta un passaggio di un articolo del New York Times Magazine, dedicato al tema della responsabilità rispetto alla diffusione delle notizie: “Da qualche parte tra media e social media - tra le idee familiari sulla politica e le notizie, e quelle che sono alla base del mondo in cui viviamo oggi, le piattaforme hanno trasformato le responsabilità in abdicazione delle responsabilità”. Una domanda resta anche rispetto a quale ruolo la comunicazione rivesta nel documentare quando accade in luoghi vicini e lontani, ed eventualmente influenzarne la percezione nell’ambito della società, come dimostrano alcune riflessioni circa la situazione di Aleppo. Nella rubrica Italics, viene ripreso l’appello di una scrittrice e chef ebrea originaria della città, la cui famiglia, fuggendo alla fine degli anni Quaranta, raggiunse l’Italia, come molti profughi provenienti dalle comunità ebraiche dei Paesi arabi: Poopa Dweck, autrice del libro di cucina “Gli aromi di Aleppo”, esorta gli abitanti a non perdere la speranza.


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Sul notiziario quotidiano di ieri il nome del rabbino Benedetto Carucci Viterbi è stato erroneamente associato all'immagine del rabbino Jonathan Sacks.  Ce ne scusiamo con i lettori.

pilpul
Oltremare - Per Aleppo
Nell’elenco delle cose totalmente inutili da fare almeno una volta nella vita, non avevo fino a ieri iscritto il partecipare ad una catena umana nel gelo relativo della serata più fredda e secca che Tel Aviv abbia avuto negli ultimi anni. Ma per fortuna ho avuto modo di colmare anche questa imperdonabile lacuna. Debbo ringraziare, si fa per dire, la tardiva e appunto inutile mobilitazione delle coscienze di noi borghesi o imborghesiti cittadini del mondo occidentale davanti al massacro senza pietà che sta ormai finendo ad Aleppo.
Israele si posiziona in Medio Oriente o in Occidente a seconda del tema, dello sport, e della stagione. In questo caso specifico, siamo mediorientali e vicini di casa (poche ore di macchina, davvero) dei civili siriani che vengono bombardati e ammazzati dai cecchini, per motivi strettamente geografici; e siamo occidentali, in quanto stato democratico figlio o almeno figlioccio indisciplinato delle democrazie europee.


Daniela Fubini, Tel Aviv
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