Paolo Sciunnach,
insegnante |
In
principio era il Verbo, il Verbo era D-o. Lo studio della Torah è una
delle vie che conduce alla presenza di D-o, insegnava il Baal Shem Tov:
chi studia la Torah dovrebbe sentirsi come un figlio che, avendo
ricevuto una lettera dal proprio Padre, è ansioso di sapere che cosa
gli comunicherà. La lettera diventa per lui sempre più preziosa, ogni
volta che la rilegge, ed è sempre come se suo Padre gli stesse a fianco.
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Anna
Foa,
storica | “Ci
asciughiamo una lacrima quando vediamo un padre con in braccio il corpo
della figlioletta morta, poi taciamo” ha detto al canale 2 della TV
israeliana la giornalista arabo-israeliana Lucy Aharish, usando poi,
per quello che sta succedendo, il termine “Olocausto”. “Il sangue dei
morti di Aleppo è sulle mani di Assad e di Putin”, ha proclamato il
presidente Obama, ancora presidente in attesa che gli subentri l’amico
di Putin, Trump. Ma se guardate i commenti al discorso di Obama sul
sito di Repubblica vi viene voglia di cambiare pianeta.
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La vergogna di Aleppo
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“Mi
vergogno. Sì mi vergogno per Aleppo che muore sola. Mi vergogno di chi
giudica che il presidente siriano Assad, il Pol Pot del jet-set, sia il
male minore davanti alla minaccia dell’Isis. Noi siamo diventati
testimoni muti. Ci siamo forse assuefatti alla sofferenza degli
altri?”. Sono le parole di denuncia di Bernard-Henri Lévy, pubblicate
oggi dal Corriere della Sera, in merito al silenzio dell’Occidente per
quanto accade in Siria e ad Aleppo in particolare. Per il filosofo
francese molti sono i responsabili della tragedia siriana, dalla Russia
di Putin – piccolo zar volgare, capo di Stato canaglia, che tra un
servizio fotografico e un’ostentazione di testosterone spedisce i suoi
aerei a bombardare le rovine della città – fino a Obama, per la sua
scelta di non intervenire, passando per l’Onu, “la cui risoluzione
arriva nel preciso istante in cui tutto è finito e tutti sanno che non
resta più niente da fare se non la conta dei morti”. Intanto nel
pomeriggio del 18 dicembre si è saputo che alcuni pullman che sarebbero
dovuti servire per evacuare feriti e malati da Fua e Kefraya – due
cittadine sciite nella provincia siriana di Idlib – sono stati
attaccate dai ribelli siriani che combattono contro il regime di Bashar
al Assad. L’agenzia di stato del governo siriano ha detto che i pullman
esplosi sono cinque.
Giordania, la mano del terrore islamista. Non è ancora stato
rivendicato l’attacco terroristico che ieri a Karak, località turistica
giordana, ha causato la morte di almeno 10 persone. Come scrive
Giordano Stabile su La Stampa, l’attacco è cominciato attorno all’ora
di pranzo. Il gruppo armato ha aperto il fuoco sulle auto della polizia
davanti alla centrale della cittadina di Karak. Sette poliziotti sono
stati uccisi ma nella sparatoria sono rimasti coinvolti anche alcuni
civili. Due giordani e una turista canadese sono morti, un altro
canadese ferito. Poi il commando si è impossessato di una delle auto ed
è salito verso il castello. I jihadisti sono riusciti a entrare e hanno
preso in ostaggio un gruppo di visitatori, compresi alcuni malesi.
L’assedio si è concluso in serata con la liberazione degli ostaggi. Il
pericolo che porta con sé questo attentato è la destabilizzazione della
Giordania, spiega Guido Olimpio sul Corriere, per mano di cellule dello
Stato islamico o di altri gruppi terroristici: “nemici che vengono da
fuori e avversari cresciuti in casa – spiega Olimpio – grazie a una
situazione sociale ed economica precaria, aggravata dal peso
insostenibile dei profughi”.
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scoperta in cisgiordania una fabbrica illegale
Caccia alle armi dei terroristi
Il maxisequestro di Tsahal
Secondo
il portavoce dell'esercito israeliano è “la più grande fabbrica di armi
mai scoperta in Cisgiordania”. Si tratta del luogo venuto alla luce
nelle scorse ore grazie all'operazione portata avanti dai soldati di
Tsahal nei pressi di Hebron. Un'ufficiale dell'esercito ha spiegato che
l'iniziativa fa parte di un'operazione più ampia, volta a contrastare
la fabbricazione illegale in Cisgiordania di armi. Proprio quest'ultima
infatti, hanno più volte affermato le forze di sicurezza israeliana,
costituisce uno dei pericoli maggiori per Israele e i suoi cittadini:
la maggior parte degli attacchi terroristici palestinesi compiuti con
armi da fuoco sono stati fatti con pistole e fucili prodotti in
Cisgiordania. Leggi
il protagonista della mostra del meis
Ferrara, un ritorno a casa con arte
Il laboratorio di Eric Finzi
Si
intitola “Ritorno al Giardino” la mostra dell’americano di origine
ferrarese Eric Finzi promossa dal Museo Nazionale dell’Ebraismo
Italiano e della Shoah (Meis) in collaborazione con l’Istituto di
Storia Contemporanea e i Musei Civici di Arte Antica di Ferrara e
visitabile fino a fine gennaio presso la Casa di Ludovico Ariosto. E
Finzi, medico affermato negli Stati Uniti con una passione per l'arte
coltivata sin dall'infanzia, è il protagonista dell'intervista, a firma
di Ada Treves, pubblicata sul numero di dicembre di Pagine Ebraiche.
I divieti si susseguono uno dopo l’altro lungo gli antichi muri di
Ferrara: “vietato appoggiare biciclette”, “vietate fermata e sosta di
biciclette”, targhe di metallo, di plastica, avvisi dipinti sugli
intonaci, e ancora una placca moderna fissata a pochi centimetri
dall’avvertimento originale: un “vietato appoggiare biciclette” inciso
in una lista di marmo incastonata nello storico muro di mattoni rossi.
A cui, ovviamente, sono appoggiate diverse biciclette. Eric Finzi non
si trattiene più e scoppia in una delle franche risate a cuore aperto
che caratterizzano una mattinata trascorsa a spasso per Ferrara, tra il
Castello Estense, per la donazione del manoscritto de Il Giardino dei
Finzi-Contini e la casa dell’Ariosto dove è allestita la sua mostra,
intitolata “Ritorno al Giardino”. È l’occasione, per questo ebreo
americano dal nome italiano di un ritorno a casa, a chiudere il
cerchio, a partire da quel nonno ferrarese che, avendo trascorso
diversi anni a Vienna, seppe intuire in tempo che le cose si mettevano
male. Una storia rocambolesca, di fuga attraverso molti confini, e di
salvezza, che porta a questo dermatologo di successo, che ha trovato
anche una sua dimensione come artista, e grazie ai quadri dipinti con
le resine epossidiche si è conquistato una fama non indifferente.
Ma le resine epossidiche non sono normalmente associate con l’arte.
Verissimo, si trovano molto nel settore nautico e aero-spaziale,
insieme al kevlar o alle fibre di vetro, o in mille altri contesti
industriali. Prima di iniziare a sperimentare per i miei quadri avevo
incontrato la resina epossidica in laboratorio.
Un laboratorio medico?
In realtà vengo dalla biochimica, ma l’arte era entrata nella mia vita
ancora prima, a partire da un episodio di cui ho memoria ben precisa:
la mia professoressa di arte, mi aveva accusato di aver tracopiato un
disegno. Per dimostrarle che non stavo barando ho rifatto lo stesso
disegno di fronte a lei, in una scala differente… è stato l’inizio,
quella stessa professoressa mi appoggiò moltissimo e così iniziai a
prendere lezioni private, per poi ottenere il mio primo riconoscimento
– una borsa di studio al Pratt Institute di Brooklyn – a tredici anni.
(Nell'immagine il ritratto di Eric Finzi disegnato da Giorgio Albertini) Leggi
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l'ultima testimone livornese della shoah
Matilde Beniacar (1926-2016)
È
scomparsa questa mattina Matilde Beniacar, ultima sopravvissuta ai
campi di sterminio nazisti della Comunità ebraica livornese rimasta in
vita.
Nata a Smirne in Turchia nel 1926, figlia di Moise Beniacar e Estrea
Levi, Matilde si trasferisce con la famiglia a Livorno, nel 1933, dopo
che lo Stato turco costringe il padre di origine italiana, proprietario
di una fabbrica di mobili, a rimpatriare.
Nel gennaio del 1944 Matilde è arrestata a Borgo a Buggiano, in
provincia di Pistoia. E da là tradotta al carcere di Santa Verdiana a
Firenze, quindi a Fossoli e infine ad Auschwitz-Birkenau. All’arrivo è
subito separata dal resto della famiglia, che verrà subito uccisa dai
nazisti.
Matilde, che ha 18 anni, è assegnata ai lavori forzati a Birkenau ed è
quindi smistata in diversi campi: Gusen, Bergen Belsen, Dachau,
Buchenwald e infine Mauthausen. La salvezza arriva soltanto il 5 maggio
del ’45, con l’ingresso dell’esercito americano. Leggi
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il riconoscimento ricevuto a budapest
I passi avanti di Tsad Kadima, trent'anni di impegno sociale
Un'associazione
che si occupa di organizzare e aiutare il percorso formativo dei
bambini che soffrono di lesione cerebrale in Israele, a prescindere
dalla religione, dal credo o dall'appartenenza etnica. Così si presenta
Tsad Kadima, l'ente che da trent'anni è impegnato nel garantire a
bambini e ragazzi con lesioni cerebrali di vivere una vita il più
normale possibile, al di là delle limitazioni fisiche di cui soffrono.
Un lavoro costante e quotidiano che recentemente ha ricevuto una
importante menzione: a Budapest infatti ad Alessandro Viterbo, tra i
fondatori di Tsad Kadima, è stato conferito il titolo di "honorary
conductor" dall'András Pető College per aver portato avanti progetti
sull'educazione conduttiva, metodo applicato per l'educazione e la
riabilitazioni di giovani cerebrolesi e affetti da disfunzioni motorie.
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inFORMAZIONE - INTERNATIONAL EDITION I media ebraici nel XXI secolo
Mezzi
di informazione e responsabilità. Quello che rappresenta uno degli
interrogativi più pressanti per le società del mondo occidentali in
questo termine di 2016 è al centro di numerosi spunti pubblicati
nell’odierna edizione di Pagine Ebraiche International Edition. Tra
l’altro, un articolo ripreso dal European Jewish Press raccoglie i
commenti del direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale, insieme a quelli del
giornalista Richard Ferrer e del fondatore del canale online J-TV
Oliver Anisfeld, entrambi britannici. Focus dell’intervista è quale
spazio e quale ruolo possono avere nel nuovo millennio i media ebraici,
che trovano sempre più interesse anche al di fuori delle comunità.
Ancora Vitale, nel suo appuntamento con It Happened Tomorrow, riporta
un passaggio di un articolo del New York Times Magazine, dedicato al
tema della responsabilità rispetto alla diffusione delle notizie: “Da
qualche parte tra media e social media - tra le idee familiari sulla
politica e le notizie, e quelle che sono alla base del mondo in cui
viviamo oggi, le piattaforme hanno trasformato le responsabilità in
abdicazione delle responsabilità”. Una domanda resta anche rispetto a
quale ruolo la comunicazione rivesta nel documentare quando accade in
luoghi vicini e lontani, ed eventualmente influenzarne la percezione
nell’ambito della società, come dimostrano alcune riflessioni circa la
situazione di Aleppo. Nella rubrica Italics, viene ripreso l’appello di
una scrittrice e chef ebrea originaria della città, la cui famiglia,
fuggendo alla fine degli anni Quaranta, raggiunse l’Italia, come molti
profughi provenienti dalle comunità ebraiche dei Paesi arabi: Poopa
Dweck, autrice del libro di cucina “Gli aromi di Aleppo”, esorta gli
abitanti a non perdere la speranza.
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Sul
notiziario quotidiano di ieri il nome del rabbino Benedetto Carucci
Viterbi è stato erroneamente associato all'immagine del rabbino
Jonathan Sacks. Ce ne scusiamo con i lettori.
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Oltremare - Per Aleppo
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Nell’elenco
delle cose totalmente inutili da fare almeno una volta nella vita, non
avevo fino a ieri iscritto il partecipare ad una catena umana nel gelo
relativo della serata più fredda e secca che Tel Aviv abbia avuto negli
ultimi anni. Ma per fortuna ho avuto modo di colmare anche questa
imperdonabile lacuna. Debbo ringraziare, si fa per dire, la tardiva e
appunto inutile mobilitazione delle coscienze di noi borghesi o
imborghesiti cittadini del mondo occidentale davanti al massacro senza
pietà che sta ormai finendo ad Aleppo.
Israele si posiziona in Medio Oriente o in Occidente a seconda del
tema, dello sport, e della stagione. In questo caso specifico, siamo
mediorientali e vicini di casa (poche ore di macchina, davvero) dei
civili siriani che vengono bombardati e ammazzati dai cecchini, per
motivi strettamente geografici; e siamo occidentali, in quanto stato
democratico figlio o almeno figlioccio indisciplinato delle democrazie
europee.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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