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12 gennaio 2017 - 14 Tevet 5777
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orizzonti

Google e il negazionismo: una battaglia
a colpi di click e algoritmi 

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Fake news, notizie false, bufale. Il 2016 sembra essere l’anno in cui se n’è compresa portata e pericoli: capaci di influenzare processi politici, avvelenare i legami sociali, istigare alla violenza fisica. Sul banco degli imputati nelle ultime settimane è salito in particolar modo Facebook, data la capacità del social network fondato da Mark Zuckerberg di favorire la diffusione tra gli utenti di qualunque tipo di link, senza alcun controllo sull’effettivo contenuto.
L’occasione però potrebbe essere anche quella di occuparsi di quella che è forse la più pervasiva e pericolosa falsa notizia di tutti i tempi, e cioè la negazione della Shoah. E tuttavia, mentre Google, il colosso dei motori di ricerca, avrebbe promesso di agire in questo senso lavorando sui propri algoritmi, un museo ebraico negli Stati Uniti denuncia scenari potenzialmente ancora più inquietanti: indirizzare un utente che fa ricerche sul tema della Shoah al proprio sito tramite la pubblicità del sistema Google AdWords, costa ben due dollari a click.

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Ricordi

Il rav dalla battuta pronta

img headerEsattamente un anno fa scompariva a Torino rav Emanuele Weiss Levi, cui voglio dedicare alcune righe di memoria personale. Era nato nel 1927 a Biella, città di cui conservava un tenero ricordo e nel cui circondario tornava ogni anno a trascorrere l’estate. Da circa vent’anni viveva alla Casa di Riposo di Torino, dopo che per trentacinque era stato Rabbino Capo di Verona. Giunto a Torino si impegnò immediatamente a collaborare alle Tefillot come chazan volontario diventando, dopo la scomparsa del compianto Comm. Isacco Levi z.l. nel 2000 e così per molti anni, il punto di riferimento nel Bet ha-Knesset tanto nei giorni feriali che di Shabbat. Spesso mi confidava la soddisfazione che provava nel partecipare alla vita ebraica e alle opportunità che la Comunità di Torino gli offriva in tal senso. Si è inoltre adoperato come Rabbino de facto della stessa Casa di Riposo. Indimenticabile e immancabile la Sua figura nella recitazione dei Qiddushim di Shabbat in sala da pranzo, nell’accensione della Chanukkiyah e nella collaborazione ai Sedarim di Pessach. Per molti anni partecipò personalmente ai lutti nella Casa e teneva a recitare lo Tzidduq ha-Din ai funerali degli ospiti. Molti interessi comuni ci animavano. Era un grande appassionato della Chazanut italiana. Si sa molto in questo campo si affida alla tradizione orale e questa attraversa varie fasi in cui una certa melodia subisce variazioni. Rav Weiss Levi, che per un periodo aveva studiato alla Scuola Rabbinica Margulies-Disegni ed era già vissuto a Torino in gioventù, serbava una conoscenza delle melodie tradizionali piemontesi in una fase anteriore a quella praticata dai Chazanim della Comunità più giovani di lui.

Alberto Moshe Somekh, rabbino
Pagine Ebraiche, gennaio 2017

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Società  

Terrorismo e democrazia Se l’Islam fa autocritica

L’annoso problema della compatibilità dell'Islam con la democrazia,i diritti umani e lo sviluppo economico capitalista rappresenta ormai una questione esistenziale per quella parte di mondo musulmano che si interroga su come affrontare la crescente islamofobia e, più in generale, il rapporto con la modernità. Un significativo contributo proviene da una lettera— pubblicata sulla rivista Foreign Affairs — in cui il diplomatico emiratino Omar Saif Gobash affida i suoi consigli al figlio sedicenne e idealmente a tutti i giovani musulmani. Si tratta di argomenti facilmente strumentalizza-bili che egli esamina con forte spirito critico specie di fronte ad alcuni ricorrenti luoghi comuni: a partire dalle responsabilità dei terroristi islamici. Si dice che «queste persone non hanno nulla a che fare con l'Islam» ma per lui si tratta di un «ritornello» che non funziona: essi sono musulmani in quanto proclamano che Allah è il solo dio e Maometto il suo Profeta e tanto basta. Coloro che si oppongono al pensiero jihadista non devono solo rompere il silenzio ma dar prova della propria contrarietà manifestando l'idea che il dubbio possa applicarsi anche alla fede perché la genuina tradizione islamica è predisposta a «dibattere per costruire consenso».

Francesco Maria Greco, Corriere della Sera
9 gennaio 2017


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orizzonti 

La Stella di Davide
a Berlino 

Sì, commuove molto l'immagine della bandiera di Israele che illumina la Porta di Brandeburgo. Commuove perché la Stella di Davide omaggiata a Berlino è un fatto storico. E perché finalmente si dice, in una capitale europea, che le vittime degli attentati in Israele sono le «nostre» vittime, che il camion che ha fatto strage delle soldatesse israeliane è identico al tir che è piombato sul lungomare di Nizza e sul mercatino di Berlino alla vigilia di Natale. Che Gerusalemme è come Parigi, come Berlino, come Bruxelles, come Istanbul, come la chiesa di Rouen dove hanno sgozzato un parroco. Sembrerebbe ovvio, ma non lo è. Con il terrorismo islamista in Israele non ci si indigna, perché ancora si considera l'atto terroristico come una manifestazione di cruento, ma pur sempre legittimo indipendentismo nazionale. Che invece non c'entra niente, perché l'obiettivo è di annientare gli ebrei e i «crociati» che deturpano la terra sacra, così come in Europa si colpiscono gli infedeli. Coraggiosa la scelta di Berlino. Sarebbe bello se un coraggio analogo fosse testimoniato anche in Italia, con la bandiera di Israele proiettata, per esempio, sull'Altare della Patria o in Francia sull'Eiffel.



Pierluigi Battista, Corriere della Sera
11 gennaio 2017


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Shir shishi, una poesia per erev shabbat

"Cadde il bimbo dal letto"

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Il lutto e l'elegia per gli amati figli o fratelli caduti in guerra accompagna la poesia in ebraico fin dai tempi di Saul. Il poeta Natan Yonatan perse il figlio Lior nella guerra di Kippur e Raya Harnik subì la stessa terribile esperienza quando il suo Guni morì nel '82, sui pendii del Monte Bufor, in Libano. Elik, l'amato fratello di Moshe Shamir, scrittore epico, simbolo della letteratura del collettivo degli anni Quaranta/Cinquanta, cadde durante la guerra d'Indipendenza e in tempi più recenti anche David Grossman ha composto una commovente elegia, "Avevo qualcuno con cui correre" quando nel 2006 suo figlio è rimasto ucciso in Libano.
Yehuda Amichai ha vissuto la tragedia della perdita quando era un soldato e poi tra i profughi ebrei sparsi per l'Europa devastata dalla Seconda guerra mondiale. Il suo non è un pianto, ma una preghiera, una delicata strofa ironica per un intimo desiderio, volto ad augurare a tutti i figli e le figlie una vita ricca di piccoli e banali incidenti di percorso; solo quelli. E mentre di notte accarezza loro i capelli bagnati di sudore, sussurra tra sé: 'Sei solo caduto dal letto. È solo un brutto sogno. Torna a dormire.'
Il gruppo di ragazzi e ragazze in divisa, scesi dall'autobus al quartiere Talpiot di Gerusalemme, per partecipare al programma culturale che l’Esercito di Difesa israeliano offre ai suoi soldati, mi ha ricordato questa breve e straziante poesia di Amichai.

Cadde il bimbo dal letto, nel cuore
della notte, cadde sul pavimento
e continuò a dormire.
Oh, soldati, soldati,
imparate da questo.

(1980)


Sarah Kaminski, Università di Torino

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