INTERVISTA
Israel Corrado De Benedetti: "Da questa cella al kibbutz nel Negev: questo è il mio sionismo"
Settantatré
anni per fare i conti col passato. Sono quelli che Israel Corrado De
Benedetti, ebreo ferrarese classe 1927, ha dovuto aspettare per
rimettere piede nella cella in cui, appena quindicenne, fu rinchiuso la
notte del 14 novembre 1943. L’occasione è arrivata con il convegno “Gli
ebrei italiani e il sionismo: tra ricerca storica e testimonianze”
promosso dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, che
ha portato De Benedetti a Ferrara e al cantiere dove stanno prendendo
forma gli spazi espositivi e per la didattica, la biblioteca e il
centro di documentazione del Museo. Proprio lì sorgevano le carceri di
Via Piangipane, uno degli ultimi ricordi di De Benedetti, prima della
partenza per un kibbutz nel deserto del Negev, a nord di Be’er Sheva.
Settantatré anni che racconta con i toni appassionati e ironici di chi
ha vissuto sulla propria pelle, traendone un’energia inesauribile, una
delle pagine più tragiche del Novecento.
Perché, dopo così tanto tempo, questa visita al secondo piano del blocco C dell’ex carcere?
Avevo bisogno di rivedere questi luoghi, anche se tante cose sono
cambiate. Qui nel sottotetto c’erano i cameroni in cui eravamo chiusi a
gruppi di quindici, con un bugliolo per i nostri bisogni. Mentre di là
c’era l’unico vero bagno disponibile, che potevamo usare solo se
accompagnati da una guardia. Da lì comunicavamo con i parenti e gli
amici all’esterno, che si appostavano sulle Mura.
Daniela Modonesi, Pagine Ebraiche, gennaio 2017
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