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9 febbraio 2017 - 12 shevat 5777
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SOcietà

Lotta all'antisemitismo: la definizione IHRA adottata dalla Commissione europea

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È grande la soddisfazione dell'International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) per la decisione della Commissione Europea di inserire nel proprio sito la definizione operativa di antisemitismo adottata dall'IHRA nel maggio del 2016. Un passo importante che - questa è la speranza - dovrebbe essere seguito dall'adozione della stessa da parte della Commissione. L'anno scorso, pochi giorni prima che l'Italia approvasse il disegno di legge sul negazionismo, a Bucarest i circa trecento rappresentanti dei trentuno paesi membri dell'IHRA avevano approvato la definizione operativa di antisemitismo, la cui importanza era stata sottolineata anche da una dichiarazione forte: "Tutti i 31 paesi membri - di cui 24 sono anche paesi membri dell'Unione Europea - condividono la preoccupazione per il costante aumento degli episodi di antisemitismo e concordano sul fatto che siano necessari strumenti politici per combatterlo". L'IHRA, rete intergovernativa nata nel 1998 come Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance, and Research (ITF) per impulso del governo svedese, raccoglie due volte all'anno tutte le delegazioni nazionali in una settimana di riunione plenaria, che coinvolge ministri, ambasciatori e rappresentanti del mondo accademico, suddivisi per aree e commissioni, occasioni in cui viene discusso il lavoro svolto durante tutto l'anno, e in cui vengono votate le varie mozioni, che - va ricordato - sono approvate solo se ottengono sostegno unanime. La presidenza, che viene presa in carico da un paese diverso ogni anno, nel 2018, a ottanta anni dalle leggi razziste del 1938, sarà affidata all'Italia, la cui delegazione è guidata dall'ambasciatore Sandro De Bernardin.

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orizzonti

Giornalismo e informazione nel mondo arabo
Così il linguaggio influenza le notizie

img headerOggi a suscitare allarme sono soprattutto le fake news, bufale inventate di sana pianta che hanno però un’enorme presa sull’opinione pubblica. Tuttavia nel mondo dell’informazione, una questione da tenere sotto controllo è da sempre quali parole, tra tutte quelle rilevanti a disposizione, vengono scelte per descrivere un determinato avvenimento. Per esempio, definire la vittima di un’azione militare come una semplice persona, come un guerrigliero, o come un terrorista, ha un impatto immediato su ciò che il lettore o l’ascoltatore percepiranno di quanto accaduto.
A descrivere come questo problema abbia reso ancora più complesso raccontare la guerra in Siria è stato di recente il corrispondente da Beirut del quotidiano New York Times. Con una particolarità in più: grazie alla conoscenza dell’arabo, Ben Hubbard ha toccato con mano quanto questa dimensione influenzi e abbia influenzato la situazione sul campo, e come essa sia spesso frutto di una precisa agenda politica.
“Quando il governo siriano ha riconquistato Aleppo est dai ribelli in dicembre, le storie che circolavano nel mondo arabo a proposito di quello che stava succedendo dipendevano in massima parte dalla fonte delle notizie. Alcuni canali descrivevamo un’impresa eroica dell’esercito siriano, capace di ‘ripulire’ l’area da ‘gruppi armati’ e ‘terroristi,’ prima di condurre un processo di ‘riconciliazione’. Per altri, il ‘regime’ aveva soffocato i ‘rivoluzionari’ e pianificava di portare avanti una ‘pulizia etnica’ del ‘popolo siriano’,” spiega Hubbard nell’articolo pubblicato sulla Sunday Review.

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orizzonti  

Tra Cremlino e Casa Bianca l'ostacolo è l'Iran

Tra Putin e Trump c'è sempre di mezzo l'Iran. Il presidente americano ha definito Teheran lo stato terrorista «numero uno», il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha replicato a stretto giro che non è assolutamente vero. E il ministro degli Esteri Serghej Lavrov ha sottolineato che Teheran è «in prima linea nella lotta all'Isis», l'ha difesa dalle accuse di avere violato l'accordo nucleare del 2015 con il lancio nei giorni scorsi di un missile balistico, definendo assai controproducenti le sanzioni anti-iraniane decise da Trump nella sua prima escalation in politica estera Ma è davvero così saldo l'asse Mosca-Teheran? Il Cremlino sottolinea che nonostante la visione «diametralmente opposta» sull'Iran, Russia e Stati Uniti hanno ampi margini per negoziare. Con l'ingresso nella guerra siriana nel settembre 2015 la Russia è diventata il maggiore alleato della repubblica islamica nel sostegno al regime di Bashar Assad. Quella che un paio d'anni fa appariva un'alleanza di comodo, destinata a unire due regimi sotto sanzioni occidentali, ora è diventata strategica dal momento che Mosca ha nuove basi militari in Siria la cui sicurezza è garantita, oltre che dal regime alauita nella roccaforte di Latakia, dalla presenza delle milizie filo-iraniane.

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore
7 febbraio 2017


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orizzonti 

Gerusalemme
senza tregua 

In un'intervista concessa nell'ottobre del 1999 da Faysal al-Husayni a Jeffrey Goldberg per il «New York Times Magazine» compare una stravagante affermazione: «Sono discendente dei gebusei, coloro che vennero prima di re Davide; Gerusalemme era una delle più importanti città gebusee nella regione; noi tutti siamo discendenti dei gebusei». Husayni era cugino di Yasser Ara-fat, suo consigliere, ministro dell'Anp per le questioni di Gerusalemme e sarebbe morto nel maggio del zooi per un attacco cardiaco mentre era in visita in Kuwait. I gebusei a cui si riferiva erano quel popolo dalla cui sconfitta intorno al l000 a.C. ebbe origine il regno di Davide. Prima di loro quella terra era abitata dal 3000 a.C. dai cananei e dai fenici. Dei gebusei si ipotizza che potessero essere imparentati con gli ittiti stanziati in Anatolia (l'odierna Turchia). Gebuseo era nella Bibbia Uria l'Ittita, marito di quella Betsabea di cui si sarebbe invaghito Davide. E anche Araunà, colui che avrebbe venduto a Davide un piccolo terreno sul monte Moriah. Di queste storie si parla diffusamente in Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito (Carocci) di Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman.

Paolo Mieli, Corriere della Sera
7 febbraio 2017


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Shir shishi, una poesia per erev shabbat

Ars poetica

img headerLe Aliyot, le immigrazioni in Terra di Israele, dalle ondate del 1935 in avanti, hanno suscitato tra i veterani, ormai israeliani doc e definiti Sabra (fuori pungenti e dentro dolci come il fico d'india) dal romanticismo sionista, la creazione di una serie di vezzeggiativi, a volte scherzosi a volte umilianti. Nel suo componimento “Canto patriottico”, il poeta Ronny Someck annota con ironia una serie di soprannomi come: marocchino coltello, rumeno bugiardo, georgiano scemo, iracheno pigiama (Mesogea, 2008), quegli stereotipi che da epiteti offensivi sono divenuti "battuta socialmente corretta". Si tratta di un fenomeno sempre attuale in Israele tantoché all'arrivo di una nuova ondata di immigrazione, russi, falasha o francesi che siano, i vecchi immigrati divenuti nuovi israeliani escogitano soprannomi originali per definire quel gruppo nuovo e apparentemente straniero. In Italia, con lo stesso spirito, ma diversa antropologia, diciamo Terrone, Napoli e i piemontesi vengono definiti bogianen. Per via delle diverse caratteristiche della società israeliana, la gente di origine araba ha collezionato più nomignoli di ogni altra etnia arrivata nel calderone del nascente stato ebraico. Per lunghi decenni, nonostante l'integrazione e la ricerca di creare una società di diritto, basata sull'uguaglianza, yemeniti, marocchini, iracheni, tunisini e altri ancora, sono stati etichettati con nomi arabi o simili arabi come 'Ars, ovvero Pappone, Ciakhciakh, onomatopea che definisce lo scugnizzo privo di cultura, mentre la ragazza sefardita estranea al bon ton europeo, viene tuttora definita frekha (volgare e ignorante). Non dimentichiamo che il lessico che ama gli stereotipi non risparmia nessuno, infatti i profughi arrivati dall'Europa al termine della seconda guerra mondiale venivano chiamati con disprezzo "Sapone", i tedeschi erano Yeke Potz, unione di Yeke - giacca oppure matto in tedesco e in yiddish – unito a potz, un tocco di volgarità.
Il circolo letterario ‘Arspoetica, riunitosi a Tel Aviv nel 2013, gioca con il termine Ars, trasformandolo nel consapevole e sfacciato 'Ars (pappone) ed esprime l'espressione della terza e della quarta generazione dei Mizrahi. I giovani poeti si riuniscono per leggere poesie, protestare contro la continua emarginazione e creare nuove opportunità economiche e politiche per i più deboli del gruppo sociale.
Shlomi Hatucha, poeta di 35 anni, è professore di matematica nonché uno dei quattro fondatori di 'Arspoetica, in cui oltre agli autori si ritrovano attivisti sociali di origine mizrahi, lontani dall'establishment e dallo status della vecchia generazione della ashkenazita. La loro musica è orientale, nelle feste balla una danzatrice del ventre e addirittura il poeta Erez Biton, viene definito troppo "bianco". Non disdegnano la collaborazione con i poeti arabi e spesso presentano le loro opere nel teatro arabo di Giaffa. Un mondo giovane ed effervescente impegnato nell'affermazione della propria identità.

Due maschere

Quanti anni ci vogliono per strappare la vergogna
divenuta maschera,
che ha scosso il corpo come in guerra,
per la cui colpa gli occhi hanno odiato la pelle,
le orecchie la musica
intonata dalla lingua,
Le labbra hanno accusato la gola
per via della pronuncia,
il corpo ha respinto l'abbraccio,
il palato il sapore,
le narici l'aroma
delle stanze, degli armadi, degli indumenti,
l'immaginazione ha impedito la resurrezione dei ricordi
e il lascito di racconti.
Il cuore era ignaro di sé.
Ma ecco il tuo destino di uomo:
anche quando tornerai in te
e strapperai la maschera dal volto,
scoprirai di doverla ancora strappare
pezzetto dopo pezzetto
dal mondo.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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