Shir shishi – Ars poetica

Le Aliyot, le immigrazioni in Terra di Israele, dalle ondate del 1935 in avanti, hanno suscitato tra i veterani, ormai israeliani doc e definiti Sabra (fuori pungenti e dentro dolci come il fico d’india) dal romanticismo sionista, la creazione di una serie di vezzeggiativi, a volte scherzosi a volte umilianti. Nel suo componimento “Canto patriottico”, il poeta Ronny Someck annota con ironia una serie di soprannomi come: marocchino coltello, rumeno bugiardo, georgiano scemo, iracheno pigiama (Mesogea, 2008), quegli stereotipi che da epiteti offensivi sono divenuti “battuta socialmente corretta”. Si tratta di un fenomeno sempre attuale in Israele tantoché all’arrivo di una nuova ondata di immigrazione, russi, falasha o francesi che siano, i vecchi immigrati divenuti nuovi israeliani escogitano soprannomi originali per definire quel gruppo nuovo e apparentemente straniero. In Italia, con lo stesso spirito, ma diversa antropologia, diciamo Terrone, Napoli e i piemontesi vengono definiti bogianen. Per via delle diverse caratteristiche della società israeliana, la gente di origine araba ha collezionato più nomignoli di ogni altra etnia arrivata nel calderone del nascente stato ebraico. Per lunghi decenni, nonostante l’integrazione e la ricerca di creare una società di diritto, basata sull’uguaglianza, yemeniti, marocchini, iracheni, tunisini e altri ancora, sono stati etichettati con nomi arabi o simili arabi come ‘Ars, ovvero Pappone, Ciakhciakh, onomatopea che definisce lo scugnizzo privo di cultura, mentre la ragazza sefardita estranea al bon ton europeo, viene tuttora definita frekha (volgare e ignorante). Non dimentichiamo che il lessico che ama gli stereotipi non risparmia nessuno, infatti i profughi arrivati dall’Europa al termine della seconda guerra mondiale venivano chiamati con disprezzo “Sapone”, i tedeschi erano Yeke Potz, unione di Yeke – giacca oppure matto in tedesco e in yiddish – unito a potz, un tocco di volgarità.
Il circolo letterario ‘Arspoetica, riunitosi a Tel Aviv nel 2013, gioca con il termine Ars, trasformandolo nel consapevole e sfacciato ‘Ars (pappone) ed esprime l’espressione della terza e della quarta generazione dei Mizrahi. I giovani poeti si riuniscono per leggere poesie, protestare contro la continua emarginazione e creare nuove opportunità economiche e politiche per i più deboli del gruppo sociale.
Shlomi Hatucha, poeta di 35 anni, è professore di matematica nonché uno dei quattro fondatori di ‘Arspoetica, in cui oltre agli autori si ritrovano attivisti sociali di origine mizrahi, lontani dall’establishment e dallo status della vecchia generazione della ashkenazita. La loro musica è orientale, nelle feste balla una danzatrice del ventre e addirittura il poeta Erez Biton, viene definito troppo “bianco”. Non disdegnano la collaborazione con i poeti arabi e spesso presentano le loro opere nel teatro arabo di Giaffa. Un mondo giovane ed effervescente impegnato nell’affermazione della propria identità.

Due maschere

Quanti anni ci vogliono per strappare la vergogna
divenuta maschera,
che ha scosso il corpo come in guerra,
per la cui colpa gli occhi hanno odiato la pelle,
le orecchie la musica
intonata dalla lingua,
Le labbra hanno accusato la gola
per via della pronuncia,
il corpo ha respinto l’abbraccio,
il palato il sapore,
le narici l’aroma
delle stanze, degli armadi, degli indumenti,
l’immaginazione ha impedito la resurrezione dei ricordi
e il lascito di racconti.
Il cuore era ignaro di sé.
Ma ecco il tuo destino di uomo:
anche quando tornerai in te
e strapperai la maschera dal volto,
scoprirai di doverla ancora strappare
pezzetto dopo pezzetto
dal mondo.

Sarah Kaminski, Università di Torino