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 14 Febbraio 2017 - 18 Shevat 5777
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Roberto
Della Rocca,
rabbino
È un pò inquietante leggere nella Torà che il popolo ebraico esce dall’Egitto grazie al permesso del Faraone: “…e fu che quando il Faraone mandò via il popolo…” (Shemòt, 13; 17). Nonostante il Faraone sia costretto dall’Eterno a lasciar andare il popolo ebraico, il testo sembra attribuire a lui l’ultima parola. Come se fin dall’inizio della nostra storia avessimo bisogno dell’approvazione del nostro carceriere per poter esistere in libertà. Una sorta di”sindrome di Stoccolma” che ci porta spesso a vivere e rappresentare con disagio, che talvolta diventa una vera e propria vergogna, i nostri segni identitari. Il Faraone infatti non si arrende e insegue gli ebrei fin dentro al mare. Non a caso, il verbo “shalàch” nella Tora ha anche il significato allusivo di “accompagnare”. Viene da domandarci: quanto è il nostro persecutore ad accanirsi deliberatamente contro di noi o quanto siamo noi, viceversa, a voler essere accompagnati dalla faraoninità? L’inseguimento morboso del Faraone è riconducibile spesso ad una nostra ambiguità che ingenera, inevitabilmente, nei nostri stalker, reali e immaginari, l’illusione di poterci riportare in Egitto .
 
Dario
Calimani,
Università di Venezia
Siamo ‘ivrim, migranti per definizione, oggi come sempre; siamo ‘passati dall’altra parte’ del fiume, e continuiamo da secoli a valicare infiniti confini, a spostarci, fuggiaschi, che vuol dire in cerca di rifugio. Come si fa, noi più di altri, a non fermarsi a meditare su chi non ha luogo e non ha tempo?
Per sentirci parte del popolo ebraico, la sera di Pesach dobbiamo introiettare, ciascuno di noi, la schiavitù d’Egitto. Ma forse una volta l’anno non è sufficiente a liberarci del peso della schiavitù nostra e altrui. Lo spirito del nostro ebraismo va forse respirato giorno per giorno, nelle nostre azioni come nel nostro pensiero, anche quando farlo costa caro ai sentimenti.
 
Gaza, Hamas sceglie
il volto più feroce
Preoccupanti le notizie che arrivano dalla Striscia di Gaza: il nuovo leader del gruppo terroristico di Hamas a Gaza sarà Yahya Sanwar, esponente dell’ala militare del movimento. Sanwar andrà a sostituire l’attuale capo di Hamas Ismail Haniyeh che invece si candida a guidare l’intera organizzazione alle prossime elezioni. Il sostituito di Haniyeh era tra i palestinesi che sono stati liberati nell’ottobre del 2011 in cambio del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit. Su Sanwar pendevano quattro ergastoli comminati nel 1989 per aver assassinato alcuni palestinesi sospettati di collaborare con le autorità israeliane. La sua nomina alla guida di Hamas a Gaza rappresenta l’inquietante consolidarsi dell’ala militare del gruppo terroristico. Secondo il giornale Haaretz, citato dal Corriere della Sera, “i palestinesi che si sono incontrati con Sanwar lo descrivono come un estremista, anche nel contesto della sua organizzazione, e come qualcuno che parla in termini apocalittici di una guerra perpetua con Israele”. Nel mese di settembre 2015, Sinwar è stato aggiunto alla lista nera del terrorismo degli Stati Uniti insieme ad altri due membri del braccio armato di Hamas, spiega La Stampa che sottolinea la pericolosità del nuovo leader della Striscia di Gaza, che vuole “incoraggiare un’altra strategia, quella di intraprendere altri rapimenti di soldati israeliani per ottenere la liberazione di altri prigionieri palestinesi”.
Su Repubblica invece spazio alle preoccupazioni dello scrittore israeliano Avraham B. Yehoshua sugli insediamenti in Cisgiordania. Parlando dell’anniversario dei cinquant’anni della Guerra dei sei giorni, Yehoshua parla degli insediamenti come di una “tentazione dell’occupazione”, che, a suo dire, “è il problema che Israele deve risolvere per acquisire la normalità che la Storia gli deve”.
 
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  davar
L'intervento dEL PRESIDENTE rivlin
'Israele, un'unica grande nazione Ai palestinesi piena cittadinanza'
Dopo aver criticato la recente legge della Knesset sulla regolarizzazione degli insediamenti in Cisgiordania, il Presidente d’Israele Reuven Rivlin è tornato a esprimersi sul tema. Nel corso della B’Sheva Jerusalem Conference, incontro organizzato a favore degli insediamenti, Rivlin ha nuovamente criticato la legge presentando al contempo la sua visione politica: “Credo che Sion sia nostra e che la sovranità di Israele dovrebbe essere estesa a ogni blocco”, ovvero l’annessione da parte d’Israele di tutta la Cisgiordania. Una posizione che il presidente non ha mai nascosto ma su cui è tornato nelle scorse ore, spiegando che all’annessione dovrebbe seguire la concessione ai palestinesi della piena cittadinanza israeliana. “La sovranità su di un certo territorio garantisce la piena cittadinanza a tutti coloro che vi risiedono. Non ci sono scuse. Non ci può essere una legge per gli israeliani e una altra per chi non lo è”.
A 24 ore di distanza dalle critiche alla legge sugli insediamenti, Rivlin chiarisce quindi il suo pensiero. Contro la norma della Knesset, il capo dello Stato israeliano era stato molto duro: “Israele – le sue parole riportate dai media – ha adottato la legge internazionale. E questo non permette ad uno Stato di agire applicando e forzando le proprie leggi a territori che non sono sotto la sua sovranità. È una cacofonia legale. Causerà ad Israele di essere visto come uno Stato d’apartheid, cosa che non è”.
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l'incontro nella sede ucei
'Ebrei e valdesi, destino comune'
Cordiale e costruttivo confronto, nella sede dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane a Roma, tra la Presidente UCEI Noemi Di Segni e il Moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini.
Un incontro convocato nel segno dell’amicizia e del profondo legame esistente tra le due comunità, accumunate per lunghi tratti della loro vicenda storica da un destino, da valori e da impegni comuni.
Grande apprezzamento è stato espresso da entrambi (ad accompagnare la Presidente UCEI, il rav Roberto Della Rocca) per la partecipazione congiunta di valdesi ed ebrei al falò che giovedì sera, in Piazza Castello a Torino, celebrerà per la prima volta in città l’anniversario della concessione delle Lettere Patenti, l’editto con cui nel 1848 Carlo Alberto assicurò ai valdesi i diritti civili e politici.
Poche settimane dopo, a Voghera, il re estenderà l’editto anche alla comunità ebraica.
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QUI TORINO - UN'EMOZIONANTE CERIMONIA
Dalla Shoah a Plaza de Mayo,

la lotta di Vera contro i silenzi
Una targa è stata consegnata ieri mattina a Vera Vigevani Jarach, ebrea italiana rifugiatasi nel 1939 in Argentina per sfuggire ai campi di concentramento e al contempo madre di Plaza de Mayo. In seguito alla morte della figlia Franca negli anni della dittatura militare di Videla, Vera ha passato la vita a combattere per conoscere la verità su sua figlia e sugli altri desaparecidos. La targa – conferita dal Consiglio regionale del Piemonte e dal Comitato piemontese per i diritti umani, presieduti da Mauro Laus – vuole essere un riconoscimento per il suo impegno contro i totalitarismi e a favore dei diritti umani.
Vera, questa volta, è tornata dunque a Torino non per parlare a giovani studenti, impegno costante e primario nella vita della quasi 89enne che non ha mai smesso di portare avanti il dovere del ricordo e l’invito alla Memoria di un passato, un passato che ripercorre le tragedie del XX secolo che hanno afflitto non solo l’Europa ma il mondo intero. La stessa Vera dice di custodire dentro di sé tre diverse identità: ebraica, italiana e argentina. Tre facce di una stessa figura, tre strati di complessità e impegno che l’hanno portata a definirsi per molto tempo una militante della memoria, o meglio delle memorie. Oggi tuttavia Vera preferisce autodefinirsi “partigiana della Memoria”, eliminando una connotazione di stampo politico-militare, una partigiana sì ma senza colore o accostamento a un qualsivoglia partito.


Alice Fubini
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qui torino - l'incontro con liliana segre
'Farfalla gialla sopra il reticolato'
Liliana Segre a Torino per incontrare i più giovani. Questa volta l’occasione nasce all’interno del programma legato alla mostra “Ricordi Futuri 2.0”, inaugurata il 26 gennaio scorso nelle sale del Museo del ‘900 e curata da Ermanno Tedeschi. Cuore della mostra una lunga intervista, o meglio un racconto a ruota libera, quasi un flusso di coscienza alla Joyce, in ogni caso oculato e preciso negli intenti, proprio della stessa Liliana, sopravvissuta al campo di sterminio di Birkenau, che come una “nonna ideale”, così si autodefinisce, parla attraverso un video a “nipoti ideali”.
Oltre lo schermo quindi, questo l’intento dei promotori dell’incontro. Il luogo scelto è l’aula Magna dell’Università di Torino all’interno della Cavallerizza Reale. Molti, anzi moltissimi i ragazzi presenti, tutti ancora una volta “nipoti ideali”.


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qui firenze - balabrunch con autore
"Toscana, una rete per la cultura"
“Con questa iniziativa diamo l’avvio ad una bella collaborazione che la Regione ha fortemente voluto e sostenuto, la RE.T.E Toscana Ebraica. Un progetto che mette in collegamento le varie comunità ebraiche e la Regione su tematiche della conoscenza e della cultura”. L’ha dichiarato la vicepresidente della Regione Toscana, Monica Barni, presentando oggi in conferenza stampa la nuova iniziativa culturale della Comunità ebraica fiorentina: il Balabrunch, evoluzione invernale e primaverile del già rodato Balagan Cafè. “Un programma ricchissimo – ha aggiunto – che mira a far conoscere una cultura da tanti secoli radicata nella nostra regione. Un ulteriore passo per promuovere la conoscenza dell’altro e per rendere consapevoli i giovani”. Sfida condivisa dall’assessore alla Cultura della Comunità ebraica Laura Forti, che ha sottolineato: “Il Balabrunch consiste nella conoscenza di un autore al di là di una semplice presentazione di un libro. Attraverso questi incontri conosceremo infatti il suo vissuto per creare un rapporto empatico con il pubblico, scambiandoci riflessioni e pensieri in una chiacchierata conviviale”.
Ad aprire il ciclo di incontri sarà domenica 19 febbraio Assaf Gavron, scrittore israeliano conosciuto come una delle nuove voci più originali del suo Paese (Ore 11,15 – Sinagoga di Firenze. Alle 17.15 Gavron sarà a Livorno).
Gavron sarà anche a Pistoia sabato 18 febbraio in un incontro, moderato dal giornalista UCEI Adam Smulevich, che rientra all’interno del calendario di iniziative di Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017 (ore 19 – Museo Marino Marini, Palazzo del Tau).


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un istituto romano diventa "casa di vita"
Educazione, antidoto all'odio
L’educazione, lo studio, l’amore per la conoscenza. La lotta all’odio parte anche e soprattutto da qui.
Particolarmente significativo il fatto che questo messaggio sia stato rivolto agli alunni di una scuola, l’istituto cattolico San Giuseppe De Merode, dove nei mesi della persecuzione nazifascista diversi perseguitati, tra cui alcuni ebrei braccati dagli aguzzini, trovarono rifugio e salvezza.
Per questo la Fondazione Wallenberg ha riconosciuto oggi l’Istituto come “Casa di vita”, sottolineando le pagine di coraggio che vi furono scritte e che hanno portato all’inserimento tra i Giusti tra le Nazioni del direttore dell’epoca, Sigismondo Ugo Barbano.


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pilpul
Responsabilità e dignità umana
La scorsa settimana mi sono trovato a cena con Franco Corleone, una lunga esperienza politica e culturale in tema di carceri, diritti, esecuzione della pena. Da circa un anno Corleone è Commissario del Governo per il superamento definitivo degli Ospedali Psichiatrico Giudiziari (OPG). Questa coincidenza mi dà modo di tornare per la terza (e ultima) volta, su queste colonne, a parlare di un argomento che già affrontai il primo aprile 2014 e il dieci marzo 2015.
Finalmente, possiamo dire, buone notizie. La chiusura delle sei strutture rimaste è sostanzialmente portata a termine, e hanno aperto una trentina di Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), gestite dalle Regioni. Sono piccole dimore per gruppi ristretti di malati, giudicati incapaci di intendere e di volere nel momento in cui hanno commesso il reato. Storie umane drammatiche, aggravate dai manicomi in cui sono stati imprigionati nonostante la legge Basaglia (che abolì i manicomi).


Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie - L'orrore e il paradosso
La violenza delle dittature non ha pietà di nessuno. Quattro giorni fa in Italia si è celebrato il Giorno del Ricordo, per ricordare le foibe e il dramma dell’espulsione dei nostri connazionali dall’Istria e dalla Dalmazia, eventi terminali della lunga contrapposizione tra italiani e slavi che aveva visto prima l’italianizzazione forzata di quei territori e poi l’occupazione da parte delle nostre truppe, con corollario di repressione, eccidi e persecuzioni.
Una delle vicende più paradossali è quella ricordata da Riccardo Ghezzi su «L’Informale»: la storia del meccanico Angelo Adam, ebreo sopravvissuto a Dachau ma ucciso dalle truppe di Tito.
Ebreo, italiano di Fiume, già legionario con Gabriele d’Annunzio, poi antifascista confinato a Ventotene, dopo la caduta del fascismo e l’armistizio Angelo a 45 anni entra nella Resistenza, diventando membro del Cln cittadino.


Mario Avagliano
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Jewish Pride
Senza scomodare la psicoanalisi, gli atti mancati e la memoria del buon Sigmund Freud, sappiamo che alcune cose si possono dire, altre no, e non per amor di censura. Chi non dice a un’anziana signora che fra quella montagna di rughe è complicato intravvederne gli occhi, non è una persona poco sincera ma, semplicemente, un essere normale. Ciò, per dire che non è necessariamente una virtù essere sempre sinceri e che, talvolta, la cosa può diventare un boomerang, come nel caso di un colloquio che ebbi ad intercettare.

Emanuele Calò
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