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19 Febbraio 2016 - 23 Shevat 5777
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l'intreccio tra le vite di israeliani e palestinesi sul piccolo schermo

Il confine, un nodo che fa spettacolo

img headerL'ultimo endorsment a Fauda, la serie israeliana di successo acquistata da Netflix, è arrivato dal celebre scrittore e sceneggiatore americano Stephen King. Anche lui è rimasto affascinato dalla storia di Doron, l'ex comandante dei Mistaravim (unità d'élite addestrate per introdursi in Cisgiordania e Gaza e combattere il terrorismo palestinese) che sceglie di tornare operativo quando si ripresentano davanti a lui i fantasmi del passato: Abu Ahmed, alias “la Pantera”, il terrorista di Hamas che Doron pensava di aver ucciso in realtà è vivo e sta preparando la sua vendetta contro Israele. Nonostante le richieste della moglie, l'ex comandante torna tra i suoi vecchi compagni di armi con l'obiettivo di uccidere Ahmed una volta per tutte. Era stato infatti lui la prima volta a premere il grilletto contro il terrorista, pensando di averlo ucciso. Fauda, caos in arabo, racconta così nel corso di 12 episodi l'ultima missione di Doron – interpretato da Lior Raz, creatore della serie assieme al giornalista Avi Issacharoff -, cercando di mettere in luce le complessità di tutti i personaggi, israeliani e palestinesi. A dare credibilità soprattutto a questi ultimi, il fatto che siano interpretati da attori arabi e che i dialoghi si svolgano (nella serie originale) in ebraico e in arabo.
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“Nessuno in Israele parlava dei veri palestinesi alla televisione”, spiegava alla stampa ebraica  Issacharoff, a lungo corrispondente per Haaretz, oggi firma del sito Walla e del Times of Israel. “Sentivamo costantemente del conflitto sui media, tutto il giorno, ogni giorno. Ma non c'era nessuna serie drammatica che mostrava l'altra parte dall'interno”. Ed è quello che Fauda cerca di fare: i personaggi non sono appiattiti su una realtà monodimensionale di buoni e cattivi, emergono le fragilità di ciascuno, al di qua e al di là del confine. Un confine presentato come molto meno netto di quanto si possa immaginare. A partire dal titolo, in arabo.

Daniel Reichel


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un viaggio per scoprire il paese lontano dalle folle di turisti

Da Tel Aviv a Eilat, nell'inverno israeliano

img headerUna settimana di stacco, dalla nebbia e dal freddo. Un viaggio in Israele d'inverno è una sorpresa: non troppo distante dall'Europa, con un clima mite, almeno nelle ore centrali del giorno, e tante cose da fare e da vedere, oltre a quelle solite a cui uno pensa quando si parla della Terra Santa.
Prima tappa Gerusalemme, antichissima città adagiata sulle colline con tutti gli edifici dal caratteristico colore pietra. Città di contrasti e storia con i tre luoghi importanti per le tre religioni monoteiste – ebraismo, cristianesimo, islam – situati a poche centinaia di metri di distanza.
Un modo diverso di girare la città vecchia, percorrere le sue antiche mura e il centro storico è uno smart tour guidato con il Segway: i giri partono dalla vecchia stazione ferroviaria dismessa dei tempi dell'impero ottomano, ora trasformata in area di street market e parco giochi, a poche centinaia di metri di distanza dall'Hotel King David e dal Mulino a Vento.
Una visita merita il Mahane Yehuda Market, il mercato della frutta e verdura che, un po' come avviene in tante città europee, la sera si trasforma in una zona molto frequentata dai giovani con tanti chioschi che vendono cibo di tutti i tipi, a buon prezzo, per passare qualche ora in un'area davvero caratteristica, con i suoi colori e odori mediorientali. 

Riccardo Barlaam, Il Sole 24 Ore

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la richiesta al presidente trump

"Il Golan è israeliano"

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C'è una parola che non è stata pronunciata nella conferenza stampa alla Casa Bianca di Donald Trump e Benjamin Netanyahu. Ma ha tenuto banco nell'incontro fra i due leader. Golan. Il campo di battaglia nelle guerre arabo-israeliane dove per decenni si sono confrontati Israele e Siria. Occupato nel 1967, annesso nel 1980, rimasto «congelato» fino al deflagrare della guerra civile siriana. Netanyahu ha chiesto a Trump di riconoscere l'annessione israeliana. Una richiesta impegnativa, un passo difficile, molto di più dell'eventuale spostamento dell'ambasciata a Gerusalemme o del riconoscimento degli insediamenti. Ma, per Israele, più importante, e che mira agli equilibri futuri in Medio Oriente. Le Alture del Golan sono uno spartiacque strategico. L'esercito che ci sta in cima può scendere da un lato fino a Damasco, senza ostacoli. O dilagare verso il Lago Tiberiade e il cuore di Israele, dall'altro. Dal 1974 una missione Onu di osservatori faceva da cuscinetto fra israeliani e siriani.

Giordano Stabile, La Stampa

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le alternative per la pace

Due Stati e altre opzioni

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""Uno stato, due stati, è lo stesso". Con queste parole, alla sua maniera, Donald Trump sembra aver rimesso in discussione vent'anni di diplomazia in medio oriente nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese. "Fino a oggi tutto il mondo ha parlato di due stati', gli ultimi tre presidenti americani e sei segretari di Stato", dice al Foglio il generale Giora Eiland, l'ex comandante della brigata Givati, fu a capo del National Security Council del governo Sharon, il quale organizzò il ritiro dei coloni da Gaza nel 2005 e che oggi è uno dei più importanti strateghi dello stato ebraico in quanto: "Oggi nessuno, né gli israeliani né i palestinesi, potrebbero accettare quella soluzione così come fu delineata da Bill Clinton a Camp David. Israele ad esempio non può accettare che da Gaza alla Cisgiordania non ci sia la nostra presenza. Trump ha detto che accetta 'altro'. Bene. Ma cosa? Fra la soluzione dei due stati e un solo stato binazionale ci sono numerose alternative.

Giulio Meotti, Il Foglio

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la soldatessa sopravvissuta all'attentato di gerusalemme

Dana Ofir, un sorriso più forte del terrorismo

img headerLa fotografia conquista il web in poche ore, rimbalza da un utente all’altro e diventa virale.
Dana Ofir sorride raggiante, seduta su quella sedia a rotelle che quasi sparisce sotto il peso della sua storia.
L’attentato avvenuto a Gerusalemme appena un mese fa avrebbe dovuto piegarla, il suo corpo esile non avrebbe dovuto reggere il colpo di un camion lanciato per uccidere. Eppure così non è stato. Dana ce l’ha fatta, non si è arresa, non ha rinunciato a realizzare il suo sogno, non ha abbandonato il corso per diventare Ufficiale dell’esercito israeliano. Ed oggi, migliaia di persone in tutto il paese festeggiano insieme a lei un traguardo che pareva irraggiungibile.
Questo è il lieto fine di una ragazza che rappresenta alla perfezione l’eroina dei tempi moderni: più fragile ed umana rispetto a quella dei fumetti, più forte e determinata rispetto ai suoi nemici.

David Zebuloni


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