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12 Marzo 2017 - 14 Adar 5777
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Jonathan
Sacks,
rabbino
Purim è la risposta ebraica ad una delle grandi questioni della storia: come si fa a vivere tenendo conto del passato, senza esserne prigionieri? La nostra è una religione di memoria, perché se si dimentica il passato ci si ritroverà a riviverlo. Eppure è anche una fede orientata al futuro. Essere ebrei significa rispondere alla domanda "il Messia è venuto?" con le parole "Non ancora".
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Non è vero che Haman perde. Qualche volta vince, forse temporaneamente, ma vince. Un uomo dorme per strada. Un altro uomo gli si avvicina, lo cosparge di combustibile e gli dà fuoco. È accaduto a Palermo nella notte tra venerdì e sabato. Quell’atto rischia di essere ripetibile, prima ancora che per cattiveria, per legittimazione. Per questo scusarsi, dichiarare che è un atto esecrabile, fare una marcia silenziosa, come accadrà stasera a Palermo, non servirà. È una riposta emotiva, apprezzabile, necessaria ma non sufficiente. Dice “mai più” ma non indica una politica preventiva.
Indietro non si può tornare se non facendo un atto di segno eguale e contrario. Un atto che non ha a che fare col pentimento, o con la riparazione del torto, ma con una deliberazione di futuro fondata sul riconoscimento di un diritto.
 
Olanda,  Geert Wilders:
"La UE non ci serve"
“Non abbiamo bisogno dell’Unione Europea, non ci porta la pace, non ci porta niente, ci toglie soltanto la nostra sovranità. E noi la nostra sovranità, la rivogliamo indietro”. Lo afferma il leader dell’ultradestra olandese Geert Wilders in una intervista al Messaggero. “L’Europa, come insieme di Stati, è la mia casa, il mio continente, il posto dove vivo. Ma non l’Unione europea in quanto organizzazione politica e burocratica. Di questa – aggiunge Wilders – ci possiamo e ci dobbiamo liberare”.

“Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari. Temeva un golpe di destra. E non era una paura immaginaria”.
Così Inge Feltrinelli in una intervista al Corriere in cui sostiene che la morte del marito fu “un omicidio politico”.

“I Giusti ci aiutano a vincere le paure”. Lo sostiene in un editoriale su Avvenire Gabriele Nissim, presidente di Gariwo e anima della Giornata Europea dei Giusti. Due le iniziative ancora in programma a Milano nei prossimi giorni, il 14 e il 15. “La festa che i salvati dall’attentato al Bardo faranno a Milano a Hamadi ben Abdesslem e agli altri protagonisti islamici della resistenza al fondamentalismo – scrive Nissim – è un gesto che può cambiare la storia”.
 
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  davar
dall'antica persia ai giorni nostri
Purim, un invito alla fiducia

In noi stessi e nel Signore
L’ombra di una minaccia mortale, le perfide trame di un consigliere malvagio, il coraggio di una regina. Fino al colpo di scena conclusivo, che cambia l’intero corso della storia.
Si festeggia in queste ore in tutta l’Italia ebraica il Purim, una delle ricorrenze più allegre dell’anno.
Una vicenda che affonda le proprie radici nell’antica Persia ma che ha un messaggio profondamente attuale.

La vicenda di Purim mi rammenta il versetto iniziale del capitolo 21 dei Mishlè, i Proverbi del re Shelomoh. Dall’alto della sua esperienza e sapienza egli scrive che “il cuore del re è nella mano di H. come una corrente d’acqua: Egli lo piega a tutto ciò che gli piace”. Come l’uomo dirige l’acqua nei suoi canali verso il luogo che desidera, così anche H. volge il cuore di chi governa verso la realizzazione dei Suoi piani. I re non hanno arbitrio completamente libero nel gestire gli affari politici, perché H. controlla le loro azioni. Per questo – osserva un commentatore – si deve avere più timore di H. che del monarca.
È quanto leggiamo nella Meghillah: inizialmente il popolo ebraico appare come dimenticato a se stesso, in preda a un re volubile (Achashverosh) e a un primo ministro assetato di potere, vendicativo e malvagio (Haman). Nel corso del suo svolgimento, peraltro, la storia si dipana come una “epopea della Provvidenza”. Ancorché il Suo Nome non appaia mai, Egli guida i fatti umani al trionfo definitivo del Bene. Non senza, peraltro, il concorso dell’uomo stesso. La nostra storia è piena di incidenti in cui l’autorità non ebraica muta radicalmente decisione e miracolosamente si schiera al nostro fianco. Ecco un’altra vicenda legata alla Persia, ma assai più recente della Meghillah.
Durante la Prima Guerra Mondiale Rav Chayim Leib Auerbach, che viveva in Palestina sotto la dominazione ottomana, si trovò ad affrontare una difficile situazione con il Sultano. Questi perseguitava gli ebrei arruolandoli a forza nel proprio esercito e inviandoli in prima linea. Il Rabbino fece amicizia con l’ambasciatore persiano in Turchia al punto di essere nominato funzionario del consolato. In questa posizione salvò molti Ebrei di origine persiana dalla leva fornendo loro il passaporto persiano: sapeva infatti che mai il Sultano avrebbe chiamato degli stranieri a far parte delle sue truppe. La Turchia era allora in guerra con un terzo paese, la Russia. Quando il Sultano venne a conoscenza del fatto mandò a chiamare il Rabbino. Questi spiegò che gli Ebrei cui aveva dato il passaporto persiano erano in realtà russi: “I Russi hanno sempre creato molti problemi agli Ebrei. Quando una donna ebrea stava per partorire – argomentò Rav Auerbach- varcava il confine con la Persia in modo che il bambino nascesse lì e divenisse cittadino persiano. È a questi figli che io ho dato il passaporto!” Il Sultano gli inveì: “So che stai mentendo, ma sarebbe davvero vergognoso mettere a morte un uomo con una mente simile”. E il Rabbino fu graziato.
L’episodio raccontato ci fornisce a mio avviso almeno quattro spunti di riflessione. Il primo è che xenofobia e antisemitismo vanno assai spesso di pari passo. I Turchi consideravano invisi tanto i Persiani che gli Ebrei. Regimi o partiti politici che fanno professione di allontanare o discriminare gli stranieri prima o poi faranno lo stesso anche nei confronti di noi ebrei, sebbene in un primo tempo ci si mostrano amici.
Il secondo insegnamento è che gli stranieri e gli ebrei, per quanto oggetto dello stesso odio, possono venire affrontati dal medesimo regime in modo diverso e persino opposto. Nel nostro caso i Turchi non avrebbero accettato nel proprio esercito dei Persiani, mentre arruolavano ben volentieri gli Ebrei e li mandavano a morire. Le differenze sono due: i Persiani erano una popolazione esterna alla Turchia mentre gli Ebrei vivevano all’interno del paese e per eliminarli si doveva ricorrere alle leggi dello stato. Inoltre, mentre i Persiani anche trovandosi in Turchia non avrebbero dato alcuna garanzia di fedeltà nei confronti del paese ospitante, gli Ebrei hanno sempre dato prova di lealtà verso lo stato di cui erano e si sentivano cittadini. Anche una volta mandati al fronte, gli Ebrei non si sarebbero mai ammutinati di fronte al pericolo che erano costretti a correre. Il Sultano sapeva bene che adoperando truppe ebraiche non si sarebbe esposto a sua volta ad alcun rischio.
Il terzo insegnamento riguarda direttamente noi Ebrei. Non confidiamo nell’aiuto di altri uomini. Sviluppiamo la nostra intelligenza e diamoci da fare per affrontare ogni difficoltà anzitutto con le nostre forze. È ciò che Rav Auerbach ci insegna con il suo personale esempio: “Se questa volta tacerai – disse Mordekhay a Ester – la salvezza potrà anche giungere agli Ebrei da un altro luogo, ma tu e la casa di tuo padre magari perirete. Chi lo sa che tu non sia giunta a esser regina proprio per questo frangente?” (Est. 4,14). È la shtadlanut che gli Ebrei di corte hanno messo a disposizione dei loro fratelli in ogni tempo e luogo.
Infine, non pensiamo che l’uomo possa arrivare dappertutto. È significativo che lo stesso capitolo 21 dei Mishlè di cui abbiamo introdotto inizialmente il primo versetto si concluda con le parole: “Il cavallo deve essere pronto per il giorno della battaglia, ma la vittoria dipende da H.” (v. 31). In ultima analisi dobbiamo confidare nella Divina Provvidenza. Ha Lei l’ultima parola su ogni cosa. Dobbiamo avere fiducia in Lui senza confidare nei miracoli. Prepariamo dunque il cavallo. Se un cavallo da guerra è pronto a sacrificare la propria vita per il suo padrone, quanto più ha il dovere di mettersi a repentaglio per H. (cfr. Shemot Rabbà 33,5).

Alberto Moshe Somekh, rabbino

UNA CULTURA IN TANTE CULTURE
Dall'orrore alle coste siciliane,

quaranta testimoni raccontano
Si avvicina alla conclusione la decima edizione di “Una cultura in tante culture”, progetto realizzato dall’Adei-Wizo con il supporto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e con la collaborazione dell’associazione Lions Club Siracusa Eurialo.
Cinque giornate di incontri, in diverse città della Sicilia, per favorire il dialogo tra culture diverse e sensibilizzare sul tema dell’accoglienza. Una sfida che coinvolge insegnanti, educatori, giovanissimi.
Gli incontri odierni si svolgono al Cenacolo Domenicano, a dieci chilometri da Siracusa, struttura che ospita quasi quaranta ragazze migranti (tutte minorenni), fuggite da guerra e violenze.


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protagonista nella liberazione del paese
Adolfo Perugia (1931-2017)
È scomparso nelle scorse Adolfo Perugia, ex partigiano che aderì alla Resistenza nel 1944 insieme al Fronte della Gioventù Antifascista. Nato a Roma nel 1931, contribuì a liberare la città dove era nato partecipando alla guerra di Liberazione. Presidente dell’Associazione Nazionale Miriam Novitch, Perugia è stato per la Comunità ebraica di Roma e per la città intera una figura di riferimento nella trasmissione di quella e di altre memorie.
“Una scomparsa particolarmente dolorosa per l’impegno profuso costantemente nel ricordare i valori dell’antifascismo. Perugia era un uomo determinato e tenace la cui testimonianza non deve essere dimenticata” affermano in una nota congiunta il rabbino capo rav Riccardo Di Segni e la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello.


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pilpul

Il campo prospettico
Georges Bensoussan è stato assolto dalle accuse mossegli da una parte del campo “antirazzista”. C’è voluto un processo, un tribunale, una corte giudicante, la mobilitazione, invero assai timida, di una parte del mondo intellettuale. L’ingiustamente accusato ne esce libero e, vogliamo sperare, almeno parzialmente risarcito sul piano morale. Ma i problemi che hanno originato questa situazione non solo permangono, uscendone semmai amplificati. Rimandano al fatto che sull’antirazzismo non vi è più una convergenza di opinioni e, quindi, di azioni, essendo divenuto a sua volta un territorio di divisioni e di contrapposizioni. In Francia, la spaccatura tra la società ebraica e una parte del mondo musulmano è evidente. Riflette, nelle sue specificità, il più generale conflitto tra autoctonia e immigrazione, esasperando linee di differenziazione che si stanno trasformando in fenditure incolmabili. Sempre più spesso ci si dovrà confrontare con questo stato di cose.

Claudio Vercelli
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Levi Papers - Ulisse e la luce
Il canto di Ulisse è il più letterario dei capitoli di Se questo è un uomo. L’aggiunta della edizione del 1958 questa volta non è di mano di Levi; o meglio: non c’è la striscia di carta, perché il redattore con la sua biro rossa ha aggiunto lui sul bordo del libro (Se questo è un uomo edizione De Silva) la frase nuova di Levi, e ha corretto la precedente. Prima la frase iniziale (1947) suonava così: “Eravamo sei in una cisterna interrata, al buio. Non era uno dei lavori peggiori, perché nessuno ci controllava; però faceva freddo e umido. La polvere di ruggine ci bruciava sotto le palpebre e ci impastava la gola e la bocca con un sapore quasi di sangue”. Ora Levi aggiunge un verbo: “a raschiare”. Poi toglie: “al buio”. Un cambio visivo fondamentale.

Marco Belpoliti, scrittore
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