Jonathan
Sacks,
rabbino
|
Purim
è la risposta ebraica ad una delle grandi questioni della storia: come
si fa a vivere tenendo conto del passato, senza esserne prigionieri? La
nostra è una religione di memoria, perché se si dimentica il passato ci
si ritroverà a riviverlo. Eppure è anche una fede orientata al futuro.
Essere ebrei significa rispondere alla domanda "il Messia è venuto?"
con le parole "Non ancora".
|
|
David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | Non
è vero che Haman perde. Qualche volta vince, forse temporaneamente, ma
vince. Un uomo dorme per strada. Un altro uomo gli si avvicina, lo
cosparge di combustibile e gli dà fuoco. È accaduto a Palermo nella
notte tra venerdì e sabato. Quell’atto rischia di essere ripetibile,
prima ancora che per cattiveria, per legittimazione. Per questo
scusarsi, dichiarare che è un atto esecrabile, fare una marcia
silenziosa, come accadrà stasera a Palermo, non servirà. È una riposta
emotiva, apprezzabile, necessaria ma non sufficiente. Dice “mai più” ma
non indica una politica preventiva.
Indietro non si può tornare se non facendo un atto di segno eguale e
contrario. Un atto che non ha a che fare col pentimento, o con la
riparazione del torto, ma con una deliberazione di futuro fondata sul
riconoscimento di un diritto.
| |
 |
Olanda, Geert Wilders:
"La UE non ci serve"
|
“Non
abbiamo bisogno dell’Unione Europea, non ci porta la pace, non ci porta
niente, ci toglie soltanto la nostra sovranità. E noi la nostra
sovranità, la rivogliamo indietro”. Lo afferma il leader
dell’ultradestra olandese Geert Wilders in una intervista al
Messaggero. “L’Europa, come insieme di Stati, è la mia casa, il mio
continente, il posto dove vivo. Ma non l’Unione europea in quanto
organizzazione politica e burocratica. Di questa – aggiunge Wilders –
ci possiamo e ci dobbiamo liberare”.
“Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco;
troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi
Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui
sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da
Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari.
Temeva un golpe di destra. E non era una paura immaginaria”.
Così Inge Feltrinelli in una intervista al Corriere in cui sostiene che la morte del marito fu “un omicidio politico”.
“I Giusti ci aiutano a vincere le paure”. Lo sostiene in un editoriale
su Avvenire Gabriele Nissim, presidente di Gariwo e anima della
Giornata Europea dei Giusti. Due le iniziative ancora in programma a
Milano nei prossimi giorni, il 14 e il 15. “La festa che i salvati
dall’attentato al Bardo faranno a Milano a Hamadi ben Abdesslem e agli
altri protagonisti islamici della resistenza al fondamentalismo –
scrive Nissim – è un gesto che può cambiare la storia”.
|
|
Leggi
|
|
|
dall'antica persia ai giorni nostri Purim, un invito alla fiducia
In noi stessi e nel Signore
L’ombra
di una minaccia mortale, le perfide trame di un consigliere malvagio,
il coraggio di una regina. Fino al colpo di scena conclusivo, che
cambia l’intero corso della storia.
Si festeggia in queste ore in tutta l’Italia ebraica il Purim, una delle ricorrenze più allegre dell’anno.
Una vicenda che affonda le proprie radici nell’antica Persia ma che ha un messaggio profondamente attuale.
La
vicenda di Purim mi rammenta il versetto iniziale del capitolo 21 dei
Mishlè, i Proverbi del re Shelomoh. Dall’alto della sua esperienza e
sapienza egli scrive che “il cuore del re è nella mano di H. come una
corrente d’acqua: Egli lo piega a tutto ciò che gli piace”. Come l’uomo
dirige l’acqua nei suoi canali verso il luogo che desidera, così anche
H. volge il cuore di chi governa verso la realizzazione dei Suoi piani.
I re non hanno arbitrio completamente libero nel gestire gli affari
politici, perché H. controlla le loro azioni. Per questo – osserva un
commentatore – si deve avere più timore di H. che del monarca.
È quanto leggiamo nella Meghillah: inizialmente il popolo ebraico
appare come dimenticato a se stesso, in preda a un re volubile
(Achashverosh) e a un primo ministro assetato di potere, vendicativo e
malvagio (Haman). Nel corso del suo svolgimento, peraltro, la storia si
dipana come una “epopea della Provvidenza”. Ancorché il Suo Nome non
appaia mai, Egli guida i fatti umani al trionfo definitivo del Bene.
Non senza, peraltro, il concorso dell’uomo stesso. La nostra storia è
piena di incidenti in cui l’autorità non ebraica muta radicalmente
decisione e miracolosamente si schiera al nostro fianco. Ecco un’altra
vicenda legata alla Persia, ma assai più recente della Meghillah.
Durante la Prima Guerra Mondiale Rav Chayim Leib Auerbach, che viveva
in Palestina sotto la dominazione ottomana, si trovò ad affrontare una
difficile situazione con il Sultano. Questi perseguitava gli ebrei
arruolandoli a forza nel proprio esercito e inviandoli in prima linea.
Il Rabbino fece amicizia con l’ambasciatore persiano in Turchia al
punto di essere nominato funzionario del consolato. In questa posizione
salvò molti Ebrei di origine persiana dalla leva fornendo loro il
passaporto persiano: sapeva infatti che mai il Sultano avrebbe chiamato
degli stranieri a far parte delle sue truppe. La Turchia era allora in
guerra con un terzo paese, la Russia. Quando il Sultano venne a
conoscenza del fatto mandò a chiamare il Rabbino. Questi spiegò che gli
Ebrei cui aveva dato il passaporto persiano erano in realtà russi: “I
Russi hanno sempre creato molti problemi agli Ebrei. Quando una donna
ebrea stava per partorire – argomentò Rav Auerbach- varcava il confine
con la Persia in modo che il bambino nascesse lì e divenisse cittadino
persiano. È a questi figli che io ho dato il passaporto!” Il Sultano
gli inveì: “So che stai mentendo, ma sarebbe davvero vergognoso mettere
a morte un uomo con una mente simile”. E il Rabbino fu graziato.
L’episodio raccontato ci fornisce a mio avviso almeno quattro spunti di
riflessione. Il primo è che xenofobia e antisemitismo vanno assai
spesso di pari passo. I Turchi consideravano invisi tanto i Persiani
che gli Ebrei. Regimi o partiti politici che fanno professione di
allontanare o discriminare gli stranieri prima o poi faranno lo stesso
anche nei confronti di noi ebrei, sebbene in un primo tempo ci si
mostrano amici.
Il secondo insegnamento è che gli stranieri e gli ebrei, per quanto
oggetto dello stesso odio, possono venire affrontati dal medesimo
regime in modo diverso e persino opposto. Nel nostro caso i Turchi non
avrebbero accettato nel proprio esercito dei Persiani, mentre
arruolavano ben volentieri gli Ebrei e li mandavano a morire. Le
differenze sono due: i Persiani erano una popolazione esterna alla
Turchia mentre gli Ebrei vivevano all’interno del paese e per
eliminarli si doveva ricorrere alle leggi dello stato. Inoltre, mentre
i Persiani anche trovandosi in Turchia non avrebbero dato alcuna
garanzia di fedeltà nei confronti del paese ospitante, gli Ebrei hanno
sempre dato prova di lealtà verso lo stato di cui erano e si sentivano
cittadini. Anche una volta mandati al fronte, gli Ebrei non si
sarebbero mai ammutinati di fronte al pericolo che erano costretti a
correre. Il Sultano sapeva bene che adoperando truppe ebraiche non si
sarebbe esposto a sua volta ad alcun rischio.
Il terzo insegnamento riguarda direttamente noi Ebrei. Non confidiamo
nell’aiuto di altri uomini. Sviluppiamo la nostra intelligenza e
diamoci da fare per affrontare ogni difficoltà anzitutto con le nostre
forze. È ciò che Rav Auerbach ci insegna con il suo personale esempio:
“Se questa volta tacerai – disse Mordekhay a Ester – la salvezza potrà
anche giungere agli Ebrei da un altro luogo, ma tu e la casa di tuo
padre magari perirete. Chi lo sa che tu non sia giunta a esser regina
proprio per questo frangente?” (Est. 4,14). È la shtadlanut che gli
Ebrei di corte hanno messo a disposizione dei loro fratelli in ogni
tempo e luogo.
Infine, non pensiamo che l’uomo possa arrivare dappertutto. È
significativo che lo stesso capitolo 21 dei Mishlè di cui abbiamo
introdotto inizialmente il primo versetto si concluda con le parole:
“Il cavallo deve essere pronto per il giorno della battaglia, ma la
vittoria dipende da H.” (v. 31). In ultima analisi dobbiamo confidare
nella Divina Provvidenza. Ha Lei l’ultima parola su ogni cosa. Dobbiamo
avere fiducia in Lui senza confidare nei miracoli. Prepariamo dunque il
cavallo. Se un cavallo da guerra è pronto a sacrificare la propria vita
per il suo padrone, quanto più ha il dovere di mettersi a repentaglio
per H. (cfr. Shemot Rabbà 33,5).
Alberto Moshe Somekh, rabbino
|
Il campo prospettico
|
Georges
Bensoussan è stato assolto dalle accuse mossegli da una parte del campo
“antirazzista”. C’è voluto un processo, un tribunale, una corte
giudicante, la mobilitazione, invero assai timida, di una parte del
mondo intellettuale. L’ingiustamente accusato ne esce libero e,
vogliamo sperare, almeno parzialmente risarcito sul piano morale. Ma i
problemi che hanno originato questa situazione non solo permangono,
uscendone semmai amplificati. Rimandano al fatto che sull’antirazzismo
non vi è più una convergenza di opinioni e, quindi, di azioni, essendo
divenuto a sua volta un territorio di divisioni e di contrapposizioni.
In Francia, la spaccatura tra la società ebraica e una parte del mondo
musulmano è evidente. Riflette, nelle sue specificità, il più generale
conflitto tra autoctonia e immigrazione, esasperando linee di
differenziazione che si stanno trasformando in fenditure incolmabili.
Sempre più spesso ci si dovrà confrontare con questo stato di cose.
Claudio Vercelli
Leggi
|
Levi Papers - Ulisse e la luce
|
Il
canto di Ulisse è il più letterario dei capitoli di Se questo è un
uomo. L’aggiunta della edizione del 1958 questa volta non è di mano di
Levi; o meglio: non c’è la striscia di carta, perché il redattore con
la sua biro rossa ha aggiunto lui sul bordo del libro (Se questo è un
uomo edizione De Silva) la frase nuova di Levi, e ha corretto la
precedente. Prima la frase iniziale (1947) suonava così: “Eravamo sei
in una cisterna interrata, al buio. Non era uno dei lavori peggiori,
perché nessuno ci controllava; però faceva freddo e umido. La polvere
di ruggine ci bruciava sotto le palpebre e ci impastava la gola e la
bocca con un sapore quasi di sangue”. Ora Levi aggiunge un verbo: “a
raschiare”. Poi toglie: “al buio”. Un cambio visivo fondamentale.
Marco Belpoliti, scrittore
Leggi
|
|
|