Roberto
Della Rocca,
rabbino
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L’inizio
del libro di Vayqrà (Levitico) viene a insegnarci come ogni
comunicazione dovrebbe essere preceduta da una “chiamata”. “L’Eterno
chiamò Moshé e gli parlò…”. Questo non solo per evitare che la
comunicazione diventi un messaggio generico e indifferenziato ma, anche
e soprattutto, perché la persona chiamata possa sentirsi destinataria
di un’attenzione particolare.
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Dario
Calimani,
Università Ca' Foscari Venezia
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Ci
sentiamo dire da anni che Pesach, festa di liberazione, dovrebbe
spingerci a far pulizia anche del chametz che abbiamo dentro di noi.
Non è proprio una cosa facile. È uno di quei moniti purtroppo
improduttivi che, un anno dopo l’altro, lasciano la nostra situazione
del tutto inalterata. Sarebbe, tuttavia, già un bel passo se
riuscissimo a riconoscere di averlo dentro quel po’ di chametz, tutti e
ciascuno di noi. Ma siamo troppo impegnati a cercare in casa nostra il
chametz letterale. E, del resto, questo è quello che ci è stato
insegnato, al di là dei richiami un po’ retorici e spesso privi di un
esempio vivo.
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Attentato in Russia,
la matrice è jihadista
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Sarebbe
di matrice islamista l’attentato che ieri a San Pietroburgo ha
provocato undici vittime e decine di feriti. Alle 13.30 ora locale un
ordigno è esploso nella metropolitana della città russa mentre una
seconda bomba è stata disinnescata in un’altra fermata della metro. In
un primo momento erano state diffuse le immagini di un presunto
sospettato “con barba e zucchetto islamico”, riporta il Corriere, ma
gli inquirenti ora parlano di un attentatore suicida. Secondo Fontanka,
il portale di San Pietroburgo, sarebbe stato il 22enne Maxim Arishev,
originario del Kazakistan, a portare sul vagone della linea blu una
bomba con trecento grammi di esplosivo, bulloni, chiodi e altri pezzi
di ferro destinati a fare più vittime possibili. Sul movente
dell’attentato, diverse le supposizioni presenti sui giornali: secondo
Guido Olimpio del Corriere, dietro l’attacco può esserci l’Isis come
ritorsione per il supporto russo in Siria ad Assad (e i bombardamenti a
tappeto), i foreigh fighter, la filiera del Caucaso erede
dell’indipendentismo ceceno, la strategia della tensione legata a
giochi di potere interni.
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qui ferrara - la mostra al meis Interrogarsi, cercare le risposte
Ecco 'Lo spazio delle domande'
Interrogarsi
e cercare le risposte. L’ebraismo lo fa da millenni e, da domani, il
Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS, con la
collaborazione della Comunità ebraica di Ferrara, proporrà al
visitatore lo stesso tipo di approccio nella mostra “Lo Spazio delle
Domande”, che dalla palazzina di Via Piangipane si estende fino al
nuovo giardino. Che cos’è per te l’ebraismo? Come lo celebriamo? Dove
ci incontriamo? Come mangiamo? Sono questi, in particolare, gli
interrogativi che il MEIS solleva, stimolando il pubblico ad
affrontarli in modo originale e interattivo, e avvicinandolo così alla
complessa e fiorente cultura ebraica: inscindibile dalle proprie radici
e dalla memoria – che nutre, elabora e ricostruisce incessantemente –
ma anche ostinatamente viva e rivolta al futuro. Rigorosamente
disciplinata, come dimostrano i numerosi precetti che regolano
l’esistenza di ogni giorno e perfino il rapporto col cibo, ma non meno
attenta ad approfondire il sapere, a rispettare la libertà individuale
e collettiva, a celebrare con pienezza i momenti più festosi, privati e
pubblici.
Alcune
risposte alle domande le forniscono sette ebrei ferraresi – per
ascendenza, nascita o adozione – intervistati dal regista Ruggero
Gabbai: Marcella Ravenna e Jose Bonfiglioli, Marcello Sacerdoti e
Baruch Lampronti, il rabbino capo Luciano Caro e il presidente della
Comunità ebraica Andrea Pesaro, affiancato dal nipote Alessandro,
raccontano ampi brani del loro vissuto e il significato che
attribuiscono all’ebraismo e alle sue tradizioni. Chi spiegando le
ragioni di una scelta ebraica tardiva, chi soffermandosi sul legame
controverso con gli scritti di Bassani, chi intonando canti sacri e
suonando lo shofar, chi ripercorrendo la propria storia di
immigrazione, chi parlando con la saggezza degli anni e degli studi, e
chi con la freschezza dell’adolescenza, tra sogni da bambino e l’età
adulta che incombe, all’avvicinarsi del Bar Mitzvah.
Oltre
che da queste interviste, l’allestimento è scandito da una selezione di
oggetti ebraici, impiegati per i riti collettivi o nel quotidiano,
provenienti dalla collezione del Museo Ebraico della Comunità di
Ferrara e da quella privata di Andrea Pesaro che, in ognuna delle tre
sale dell’esposizione, illuminano uno specifico aspetto della vita
ebraica. La comunità, dove ci si confronta e si cresce insieme, è al
centro della prima sala, mentre protagonista della successiva è il
matrimonio, di cui sono rappresentati tempi, immagini e suoni, grazie
al lavoro di ricerca di Enrico Fink, uno dei massimi interpreti della
musica ebraica italiana. Ecco, quindi, la foto di un rito nuziale
ebraico, officiato nel 1934 nel Tempio di Via Mazzini, a Ferrara, e poi
la chuppah, gli anelli, un talled ottocentesco e un tappeto sonoro a
tema: dalle Sheva Brachot alla marcia nuziale di Baruch Abbà, fino agli
antichi canti sinagogali ferraresi, con le melodie del coro femminile
della locale Comunità Ebraica (l’unica in Italia ad averne mai avuto
uno). Nella terza sala, infine, la scena curata dalla Fondazione
Famiglia Sarzi di Bagnolo in Piano (Reggio Emilia) – in meis 3prima
linea nella lotta partigiana e nome di spicco, da generazioni, del
Teatro di Figura – riproduce e fa rivivere le vie del quartiere
ebraico, con la Sinagoga e le botteghe degli ebrei. Come la cartoleria
e profumeria Finzi, la gastronomia Nuta di Assunta Benvenuta Ascoli,
rinomata per i salami d’oca, il caviale di storione e altre specialità
kasher, quali le buricche di pasta ripiena di carne e la bongola,
rivisitazione della salama da sugo ferrarese. E non mancano gli
abitanti di quei luoghi – la Nuta, il cliente, il medico e talmudista
ferrarese Isacco Lampronti, etc. –, in forma di burattini ai quali il
pubblico (specie i più piccoli) può dare liberamente voce e movimento,
immaginando per ognuno un’avventura.
Lo Spazio delle Domande prosegue nel giardino del MEIS e qui si
focalizza sui dettami dell’alimentazione ebraica e sull’uso delle
spezie bibliche. Piante di alloro, mirto, timo, lavanda e maggiorana
(gli aromi impiegati per l’Havdalah) disegnano quattro diversi
itinerari, riguardanti uova, pesce, carne e latte. Dopo aver letto i
pannelli esplicativi della kasherut, i visitatori si trovano davanti ad
alcune biforcazioni e devono decidere qual è la strada giusta da
imboccare. Giocando con odori e sapori, scoprono così quanto la cultura
ebraica sia differente, ma per molti versi anche affine, alla loro.
Daniela Modonesi
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Integrazione
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Ho
conosciuto un uomo di origine latina proveniente dagli Stati Uniti. Da
una zona degli Usa tuttora abitata da molti nativi americani, quelli
che da piccoli avremmo chiamato indiani. Confrontando quindi la
condizione della sua gente con quella delle varie tribù, quest’uomo mi
ha detto più o meno così: “Sai, noi ispanici siamo meno legati alla
nostra cultura d’appartenenza; io per esempio capisco ancora un po’ di
spagnolo, ma non lo parlo bene, e i miei figli esclusivamente inglese.
Noi vogliamo integrarci, non abbiamo tempo per stare a pensare alla
nostra identità culturale. Per loro invece è il contrario: tengono
moltissimo alla loro tradizione e questo impedisce una completa
integrazione e l’inserimento nella modernità con tutte le sue
incredibili opportunità”. Questa frase – così superficiale e così
chiara, sostanzialmente letterale – mi è sembrata molto interessante,
un’esemplificazione brutale di quello che viene affrontato in tutti i
popoli e in tutte le culture dalla notte dei tempi. Anche dagli ebrei,
che a proposito di tradizione e innovazione hanno quella favolosa
storia talmudica di Mosè che viene catapultato in un’accademia
talmudica molti secoli dopo la sua morte: assistendo alla lezione, Mosè
non capisce niente delle leggi che vengono discusse; a un certo punto
uno studioso domanda a un altro dove abbia appreso quelle norme. Al che
il secondo risponde con sicurezza: “Tutto ciò che sappiamo lo dobbiamo
a Mosè Nostro Maestro sul Monte Sinai”. Cosa conservare? Cosa cambiare?
Come aprirsi senza assimilarsi, come evolversi senza perdersi?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Sete di scienza
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Si
è concluso domenica sera a Milano il Festival Cervello&Cinema, una
settimana di proiezioni di film commentati da neuroscienziati.
Un successo al di là di ogni aspettativa: tutte le sere, la cineteca
Spazio Oberdan piena zeppa, la gente seduta sui gradini, che arrivava
anche due ore prima per garantirsi un posto, e molti non siamo riusciti
ad accoglierli.. Un pubblico di ogni età, dai giovani ai pensionati,
anche qualche ragazza con il velo e due clochard che non si sono persi
un appuntamento, nonostante li avessimo costretti a lasciar fuori i
carrelli con i loro beni materiali.
In sala, una attenzione spasmodica: non si sentiva letteralmente volare
una mosca. E le uniche proteste che abbiamo ricevuto (a parte chi si
lamentava per non essere riuscito a entrare) sono state perché l’evento
pareva troppo breve: quaranta minuti di conferenza più il film (che a
noi sembrava un tempo fin troppo lungo) non bastavano a soddisfare la
curiosità degli spettatori.
Viviana Kasam, Presidente BrainCircleItalia
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La visione della pace
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Nella
tradizione vagamente religiosa della civiltà occidentale non si parla
mai di denaro; potete domandare a un uomo o a una donna come sia la
loro vita intima, coniugio compreso, e non vi risparmierà dettagli.
Provate però a chiedere quanti soldi ha in banca e vedrete il suo volto
trasfigurarsi in una smorfia feroce. No, non si può fare perché
l’intimità è da sempre esibita, mentre gli interessi sono da sempre
simmetricamente celati da una spessa coltre d’ipocrisia.
Lo spettro degli interessi, essendo vasto quanto non mai, potremmo per
oggi arrestarlo nell’ambito di una casella significativa: quali sono i
(legittimi) interessi dell’ebraismo italiano? Indi: coincidono con
quelli di Israele?
Emanuele Calò, giurista
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Analisi scorretta - Europa
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Il
25 marzo l’Europa ha festeggiato il suo sessantesimo anniversario. Come
ogni organismo l’Europa del 1957 è cresciuta in questo lasso di tempo
che ci separa dalla sua nascita: da mercato comune europeo si è passati
alla comunità economica, poi all’Unione Europea e infine alla moneta
unica.
Mario Draghi alla guida della Banca Comunitaria ha reso la BCE un vero
guardiano dell’Euro; ha creato le condizioni per un sistema bancario
unitario, e non ha solo protetto la moneta, ma anche l’economia dei
Paesi aderenti, perché ha aiutato i governi a non finire stritolati
dalla penuria di risorse, mantenendo i tassi dei buoni del tesoro bassi
quanto necessario a non gonfiare i deficit degli Stati, soprattutto il
nostro, ma anche quello degli altri Paesi del mediterraneo comunitario.
Anselmo Calò
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