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30 aprile 2017 - 4 Iyar 5777
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yom hazikaron 5777 

"Ricordiamo chi ha combattuto per noi
e per la libertà della nostra nazione"

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Alle otto di questa sera tutta Israele si è fermata per un minuto al suono della sirena che ricorda i caduti per la libertà della nazione e coloro che sono stati uccisi dal terrorismo. 23.544 il numero dei soldati, 3.117 le vittime del terrore, tutti ricordati in queste ore in cerimonie ufficiali e private. “Con questo muro di lacrime e speranze, questa sera, 50 anni dopo la liberazione di Gerusalemme, noi ricordiamo: la nostra libertà è sia sacra sia difficile – ha ricordato il presidente d'Israele Reuven Rivlin – Sappiamo che c'è un prezzo da pagare per la nostra esistenza qui, per la nostra libertà. C'è un prezzo e noi, nel timore e nel terrore, siamo disposti a pagarlo”. “Voi, care famiglie dei caduti, avete pagato quel prezzo – ha proseguito Rivlin - Il prezzo della nostra libertà è stato conquistato con il sangue”. Il presidente ha poi ricordato come lo Stato israeliano si debba impegnare a restituire alle famiglie le salme di quei soldati caduti fuori dal confine del paese (tra questi, i soldati Oron Shau e Hadar Goldi, rimasti uccisi nell'operazione a Gaza del 2014): “il nostro impegno nei confronti di questi ragazzi rimane fermo”.


 

l'analisi del demografo sergio della pergola

Noi, Israele e la critica che serve a costruire

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Per chi voglia mantenere un filo di equilibrio e di autonomo senso critico di fronte agli sviluppi politici nel mondo e in particolare in Medio Oriente, questi sono tempi difficili. I recenti risultati elettorali nel Regno Uniti e negli Stati Uniti e le emergenti prospettive politiche in molti paesi europei indicano una forte recessione rispetto a due tendenze che avevano caratterizzato gli ultimi decenni. Da un lato, la costruzione di processi politici e di istituzioni internazionali perseguiva l’obiettivo di aumentare la solidarietà e di limitare il rischio di conflitti. D’altra parte emergeva una maggiore attenzione nei confronti dei diritti civili e dell’eguaglianza dei cittadini sostenuta dalle istituzioni delle democrazie avanzate. Il terzo piede di questo tripode che ha dominato la seconda metà del 20° secolo è stato uno sviluppo economico che ha fatto enormemente migliorare il livello di vita della popolazione. Lo Stato d’Israele ha partecipato attivamente e a volte in prima fila a queste tre tendenze.
Va riconosciuto che tutto ciò non è stato sufficiente a risolvere i problemi delle società contemporanee, ma ha per lo meno alimentato molti decenni di speranza per un mondo migliore e più stabile. Tuttavia, la mancanza di un’equa distribuzione della prosperità economica ha generato crescente scontento e ha innestato un ampio movimento di destabilizzazione politica. Le tendenze recessive in corso conducono all’ascesa di candidati politici populisti, nazionalisti e xenofobi, negli Stati Uniti col Presidente Trump, nell’Unione Europea con Brexit, Le Pen, Wilders, Salvini e Grillo, in Europa orientale con Putin, in Medio Oriente con Erdogan e tanti altri. Un po’ dappertutto emergono regimi più autoritari, rapporti internazionali più tesi, legislazioni sociali meno egualitarie e maggiormente discriminatorie nei confronti di minoranze, di gruppi, o comunque di “altri” che non fanno parte della nazione, dell’etnia, della religione dominante in un determinato luogo. Anche di queste tendenze recessive lo Stato d’Israele sembra essere parte integrante. I fatti che possono dimostrare quest’ultima asserzione sono numerosi e perfino clamorosi. Esempi preoccupanti sono l’assalto del potere parlamentare contro il potere giudiziario e la sua indipendenza; la costante intromissione del primo ministro (che funge in pratica anche da ministro delle comunicazioni) nella direzione dei canali televisivi e della stampa quotidiana, e quindi in definitiva nella libertà dell’informazione; le proposte di legislazione più dura circa i reati di opinione; un’interpretazione più rigorosa del diritto rabbinico rispetto ad altre interpretazioni ugualmente valide del medesimo diritto; e perfino l’ingerenza del Ministro degli Affari Culturali sul tipo di canzonette che la radio pubblica dovrebbe trasmettere.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme


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dove crescono le imprese

L'oasi delle start-up

Dai pompelmi Jaffa all'hi-tech, la strada non è breve. Israele l'ha percorsa in vent'anni e oggi la bilancia commerciale è in attivo proprio grazie all'alta tecnologia, che costituisce oltre 1150% dell'export. L'economia è cresciuta del 4% nel 2016 e le startup locali hanno raccolto 5 miliardi di investimenti dai capitalisti di ventura. «È stata una felice combinazione fra la nascita della net economy, la concentrazione di centri di ricerca di alto livello e le politiche del governo», sostiene Chemi Peres, figlio del presidente mancato l'anno scorso e fondatore di Pitango, il più grande fondo di venture capital israeliano. Dai primi anni Novanta, Peres ha raccolto due miliardi di dollari, principalmente da Usa e Cina (dall'Europa è arrivato meno del 20%) investendo in oltre duecento società.
«La prima ondata è arrivata con lo sbarco in Israele dei big della tecnologia, in cerca di cervelli: da Ibm a Intel, da Cisco a Ge, da Hp a Sap, passando per Microsoft, Apple, Google, Facebook, Amazon e altri trecento colossi hi-tech hanno installato qui importanti centri di ricerca, attingendo agli scienziati formati nei dipartimenti universitari più all'avanguardia sull'intelligenza artificiale, la robotica, la bioniformatica, le nanotecnologie», racconta ancora Peres.

Elena Comelli,
L'Economia - Corriere della Sera

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il discorso di reuven rivlin

Contro la Memoria distorta

Uno sguardo all’interno della società israeliana e al suo modo di rapportarsi con la Shoah. Ha scelto una strada meno ordinaria il presidente d’Israele Reuven Rivlin nel suo discorso in occasione delle commemorazioni di Yom HaShoah, il giorno in cui il mondo ebraico ricorda la ferita sempre aperta del genocidio nazifascista. Giorno in cui Israele – come è accaduto questa mattina – si ferma al suono della sirena per ricordare le sue vittime, così come ha fatto l’Italia ebraica: da Milano a Roma, da Torino a Trieste, nelle scorse ore si sono tenute cerimonie per ricordare la Shoah.
“Sono trascorsi settant’anni da quando le fiamme dell’inferno, dei crematori di Auschwitz, sono state estinte. Più il tempo passa e meno sono i Testimoni sopravvissuti all’orrore – ha ricordato Rivlin – e così il nostro bisogno di affrontare il nostro rapporto con la Shoah e il come ricordarla diventa sempre più cruciale. Negli ultimi decenni si sono sviluppati due approcci rispetto a come la società israeliana ricorda la Shoah e considera le lezioni che da questa dobbiamo imparare. Il primo riguarda guarda solo agli aspetti e agli insegnamenti universali della Shoah. Il secondo è quello in cui la Shoah diventa la nostra lente per guardare il mondo”. Entrambi gli approcci, ha spiegato Rivlin, sono fallaci: il primo perché non riconosce l’unicità della Shoah come evento storico che non ha paragoni nella storia. 


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