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11 maggio 2017 - 15 Iyar 5777
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Società  

Tutela del consumatore, le ricette del Talmud

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“Lavorare facendo uso della saggezza antica” lo spunto suggerito dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni in riferimento alle polemiche e al dibattito scaturitosi dopo l’approvazione alla Camera della nuova proposta di legge sulla legittima difesa. Perché, anche se è facile dimenticarlo, alcune delle questioni divenute cruciali per le società del terzo millennio già tenevano banco secoli e secoli fa. E i criteri dei nostri antenati hanno spesso qualcosa da insegnarci. Così per esempio la rubrica che il settimanale americano Tablet dedica al Daf Yomì, la pratica di studiare una pagina al giorno del Talmud, testo principe della sapienza ebraica, ha di recente trattato una delle più pressanti questioni nello sviluppo del diritto degli ultimi decenni, la tutela del consumatore.
“Cosa succede quando un compratore riceve una merce difettosa? Esiste un diritto implicito alla garanzia, che fa sì che se il venditore sia obbligato a prendere indietro la merce e restituire il denaro?” si chiede il giornalista Adam Kirsch, che spiega poi come nel corso della discussione talmudica, il tema fondamentale diventi cosa ci sia alla base di una transazione commerciale, e in particolare l’obiettivo dell’acquirente.

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identità

‘Davar aher’, la figura dell’altro

img headerUno dei temi toccati durante la presentazione all’Università Statale di Milano del libro di Massimo Giuliani, La giustizia seguirai, è stato quello – certo non nuovo – della figura dell’“altro” nella tradizione ebraica. L’altro rispetto a Israele ma anche l’altro dentro a Israele, come l’espressione “davar aher”, l’altra spiegazione o interpretazione, porta a intendere. Davar aher è espressione che ricorre già nella Mishnah, quindi risuona nella Ghemarah e arriva sino a Rashi. Benché gli usi in questi contesti non siano identici, resta che in tale formula si condensa l’incessante ricerca e il rigoroso rispetto, dalle discussioni halakiche ai midrashim, delle differenti letture possibili. David Banon allora si interroga: come si forma la parola “aher”, altro? con l’alef di “ani”, io, e con l’alef e la het di “ah”, “fratello”. E a cosa dà vita? a “aharaiut”, responsabilità, come Giuliani ricordava. La responsabilità per l’altro, proprio fratello, costitutiva dell’identità di sé? Non stupirà sapere che Banon è allievo di Levinas. Rivolgiamoci al dizionario: dopo aver rimandato al suddetto uso di “davar aher” l’Even-Shoshan sottolinea come la stessa espressione sia utilizzata nel significato di “maiale”. Davar aher diviene “cosa altra”, differente, sinonimo di trasgressione. .

Cosimo Nicolini Coen

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CONTANDO L’OMER

Trentatré giorni per ritrovare la Luce

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img headerIl trentatreesimo giorno dell’Omer commemora l’ascesa al cielo di Rabbi Shimon Bar Yohai (l’autore del più importante testo di Kabalah, il Libro dello Splendore) e la fine della piaga che aveva decimato il popolo ebraico.
A Lag baOmer la luce nascosta della Torah, secondo la Kabalah, viene rivelata in tutto il suo Splendore. Non a caso Lag (che equivale a 33) è la radice della parola Legalot, rivelare. E non caso Hod, lo Spendore, è la sefirah che viene doppiamente contata a Lag baOmer (Hod she be Hod).
Dedicherò qualche riga cercando di presentare alcuni aspetti di Hod, sperando che possano ispirare la meditazione del trentatreesimo giorno del Conto dell’Omer. Inizierò ricordando che come ognuna delle sette emozioni del cuore, Hod è legata a uno dei ‘pastori’ di Israele, Aronne. Il capostipite della casta dei Cohanim (i sacerdoti) Aronne, fratello di Mosè, impregna con la sua personalità l’intera settimana dedicata alla riflessione sull’attributo spirituale di Hod: gratitudine, capacità di autocoscienza e autocritica, capacita di accettare il karma (anche più negativo), mantenendo in questo modo lo splendore della propria anima.

Daniela Abravanel 

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Società  

La comunità impossibile
di Facebook

Queste brevi note sicuramente deluderanno chi cerca un'attenzione speciale dell'ebraismo nei confronti di Maria, ma la radice del problema è che proprio in Maria emergono le distanze e le incompatibilità tra i due mondi. La messianità e la divinità di Gesù sono rifiutate dall'ebraismo e questo costituisce uno dei punti fondamentali di differenza tra la fede ebraica e quella cristiana. Ne è derivato, nella storia e nella cultura ebraica, un distacco dalla figura di Gesù, che si è espresso in vari modi. Prevalentemente Gesù nell'ebraismo è ignorato; altre volte c'è una evitazione forte; quando l'ebraismo si deve misurare con il problema questo può avvenire nel contesto di polemiche dotte o in forme rozze di contrapposizione; solo negli ultimi secoli c’è stato da parte di alcuni studiosi qualche tentativo di recupero della sua dottrina, intesa come dottrina ebraica. senza accettarne tuttavia i punti di fede che costituiscono l'essenza del cristianesimo. Questi atteggiamenti nei confronti di Gesù si estendono anche in vario modo alla cerchia dei suoi discepoli e apostoli e ai suoi familiari, in primo luogo alla madre Maria.

Yuval Noah Harari, Internazionale
5 maggio 2017


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Società 

Il giorno e la notte
nella legittima difesa

Caro Direttore, nel vivace dibattito politico e parlamentare sulla nuova legge sulla legittima difesa ha sollevato particolare attenzione la distinzione proposta, e che sembra ora ritirata tra le polemiche, tra notte e giorno. Qualcuno ha fatto notare che questo richiamo alla notte, come tempo in cui il rischio aumenta e c'è maggiore necessità e liceità di difendersi, sia già presente in un testo molto antico, le XII tavole dei romani, databili intorno al 450 avanti e.c. Ma il richiamo alla legge romana è stato fatto per sottolineare l'arcaicità e la rozzezza di questa distinzione, che nel testo delle XII tavole si accompagna ad altre leggi ora improponibili. L'ignoranza diffusa in tema di Bibbia ha fatto sì che non si tenesse conto che molto prima delle XII tavole è il libro dell'Esodo che propone questa distinzione. All'inizio del capitolo 22, versetti 1 e 2, è detto: «Se il ladro viene trovato nel corso di uno scasso e viene colpito e muore, ciò non è considerato spargimento di sangue. Ma se il sole è sorto su di lui, è spargimento di sangue».


Rav Riccardo Di Segni, La Stampa
9 maggio 2017


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

Quel poeta di Gerusalemme

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In questi giorni ho avuto il piacere di intervenire all’incontro dal titolo "Gerusalemme, città sognata, città vissuta" che si è tenuto presso il Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Gerusalemme, una città legata a filo doppio alla vita del grande poeta Yehuda Amichai, che nella stessa scelta tardiva del proprio nome e cognome, cerca di conquistare l'identità di israeliano doc e desidera vivere appieno il collettivo, ma non si toglie mai di dosso il passato delocalizzato. È un poeta israeliano che racchiude in sé un rapporto dialettico con l'ebreo nuovo. Lui non è omologato al sale della terra come Moshe Shamir, Aharon Meged e Natan Shaham. Amichai non è "a posto" come il ragazzo simbolo nella foto che ha immortalato la conquista del Muro del Pianto. Amichai dai capelli neri e la faccia da Walter Mattau quando parla della bottega merceria di suo padre è più vicino a Dan Pagis e a Appelfeld che a Yig’al Mosinzon.
Oggi leggiamo il suo canto del sabato, Shir Leyl Shabbat

Verrai da me stanotte?
In cortile i panni si sono asciugati oramai.
Una guerra, che non ne ha mai abbastanza,
ora è altrove.
 
Le strade ritornano continuamente,
solitarie, come un cavallo senza cavaliere
e nella sera la casa si chiude
sopra il bene e il male suoi.
 
Sapevamo che il confine era vicino,
tuttavia a noi era proibito.
Mio padre pregò: e si formarono
la terra e tutte le schiere celesti.
 
Le schiere e la Terra si adombrarono,
di lì a poco la luce si sarebbe estinta.
Il precetto intrapreso dai cieli
nei due ora deve perpetuarsi.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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