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22 giugno 2017 - 28 sivan 5777
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Società

Cambiamenti climatici, responsabilità umana:
quali risposte nella prospettiva ebraica

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I cambiamenti climatici, le loro cause ed effetti, la questione della responsabilità dell’uomo per quello che è accaduto e per quello che accadrà. Negli ultimi anni queste tematiche sono state al centro del dibattito della comunità scientifica e poi sociale e politica, fino ad arrivare agli accordi di Parigi nel 2015, con cui 195 paesi incluse le maggiori potenze mondiali si sono impegnate a ridurre le emissioni di anidride carbonica, e infine alla recente decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi. A offrire un’analisi della situazione nella prospettiva del pensiero ebraico è stato negli scorsi David Kraemer, professore di Talmud al Jewish Theological Seminary di New York, in un articolo pubblicato dalla Jewish Telegraphic Agency.
“La stragrande maggioranza degli scienziati concordano che l’attività umana contribuisce in modo significativo al surriscaldamento globale, e che le sue conseguenze saranno significative e catastrofiche” scrive Kraemer. “Non è solo una questione di principio. Se gli scienziati hanno ragione, siamo di fronte a una questione di vita o di morte per un numero potenzialmente alto di creature, esseri umani inclusi. Le questioni di vita e di morte sono centrali nel pensiero e nella religione ebraica. Dunque noi ebrei dobbiamo domandarci: cosa ci richiedono gli insegnamenti dell’ebraismo in materia di surriscaldamento globale?”.

(Il disegno è di Giorgio Albertini)


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FILOSOFIA

Traduzioni: le sfide, il senso profondo

img header“I targumim si presentano”, scrive David Banon (La lettura infinita, 2009) citando L. Zunz, come “lo stadio più semplice dell’esegesi scritturale”. Le necessità storiche soggiacenti le traduzioni in aramaico sono evidenti, riguardando la lingua parlata dagli ebrei dell’epoca. Eppure tali eventi non possono essere letti solo dal punto di vista storico: va compresa, per così dire, empaticamente, la percezione e l’uso che la tradizione ha fatto di queste contingenti necessità. “Si può dire”, sostiene Banon, “che il Targum si è ‘evoluto’ in midrash”. Le cose sono forse più complesse ma a rilevare per l’Autore è la continuità tra traduzione e interpretazione. Viene in mente l’adagio secondo cui tradurre è tradire, se non fosse che qui si ha un giudizio di valore opposto. Nei meturgemanim non vediamo i “traditori” di uno statico significato originario ma i primi costruttori di un significato in divenire. Allo stesso tempo sarebbe fuorviante, presi dal senso comune postmoderno, pensare a questo divenire come destinato ad allontanarsi dalla fonte originaria.

Cosimo Nicolini Coen

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società  

II rispetto che manca
verso una legge di civiltà   

Ciò che stupisce e anche indigna è che in Senato si venga alle mani per impedire la discussione di un progetto di legge che riguarda il riconoscimento della cittadinanza italiana anche a qualcuno che non è figlio di genitori italiani. Si chiama ius soli, ma come ora accade spesso nelle nostre leggi, non vuol dire quel che significa. Infatti la legge non prevede che si sia italiani, qualunque sia la nazionalità dei genitori, per il solo fatto di nascere in territorio italiano. Né l'opposto criterio dello ius sanguinis, che in linea di principio collegherebbe la cittadinanza al legame di sangue con entrambi i genitori italiani, è quello che regge la legge fino ad ora in vigore, la quale conosce profonde attenuazioni della regola.


Gustavo Zagrebelsky, La Stampa
16 giugno 2017


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Società 

Migranti, critiche sensate
e paranoie identitarie 

Pur essendo favorevole in linea generale alla nuova legge sulla nazionalità in discussione al Senato, trovo che le si possono egualmente muovere alcune ragionevoli critiche. Principalmente due. La prima è che nella concessione automatica della cittadinanza prevista per coloro che sono nati in Italia da genitori di cui almeno uno con regolare permesso di soggiorno da cinque anni come minimo, non si prevede però alcun accertamento preliminare circa la conoscenza né della nostra lingua, né dei costumi, né delle regole, né di niente della società italiana. Si tratta appunto di una concessione automatica che tra l'altro, per il solo fatto di essere tale, viene privata di quel forte rilievo simbolico che invece sarebbe stato giusto conferirle.

Ernesto Galli della Loggia
Corriere della Sera, 18 giugno 2017


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

Le vie del Vino

img headerIn pochi giorni ho visitato in Israele due luoghi diversi in cui si pigiavano le partite di uva e si procedeva alla preparazione del vino. Uno si trova tra le colline di Gush Etzion; una piccola Gat - vasca quadrata scavata nella roccia, chiamata in Sicilia palmento -, collegata tramite un canale di pietra a una fossa, pronta a raccogliere il corporeo mosto dell'uva ben pigiata. La seconda Gat si trova al centro di Tel Aviv, nel cuore del bel giardino archeologico che circonda il museo Ha'Aretz. Qui la produzione del vino si presenta su scala industriale, con due enormi vasche di pietra quadrate, canali per convogliare il succo degli acini e fossati profondi per il mosto.
Accanto al sito è posto un vecchio cartello sbiadito in cui si legge una citazione proveniente dalla Mishna. Il linguaggio è tecnico e preciso, composto da nomi professionali familiari ai viticultori del II secolo con descrizioni pertinenti a chi coltiva e lavora nelle vigne, contadini, vendemmiatori e magari anche le donne e i giovani che pigiavano l'oro rosso appena raccolto.
A me sinceramente la citazione proveniente dal trattato Teruma (Contributi, 3, 7) sembrava una pura poesia.

Un Palmento per due fossati
Due fossati per un palmento
Due palmenti per due fossati

Sarah Kaminski, Università di Torino

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