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29 giugno 2017 - 5 Tamuz 5777
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MOSTRE

Voci sefardite per narrare l’Esodo dimenticato

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Voci che raccontano la vita a Bagdad, al Cairo, a Tripoli, a Beirut in quelle tante città dove l’ebraismo fiorì per millenni, ma conobbe anche la persecuzione e fu infine reciso cinquant’anni fa. Si intitola proprio “Voci sefardite” la mostra inaugurata a inizio giugno al Museo ebraico di Londra dedicata alle storie degli ebrei provenienti dal Nord Africa e dai Paesi arabi.
Al centro della rassegna, una serie di video-interviste per raccontare al visitatore l’esperienza di coloro che, costretti a lasciarsi tutto alle spalle, si trasferirono nel Regno Unito (tra i paesi meta dei rifugiati, insieme a Stati Uniti, Israele, Italia e molti altri).
“Ho lasciato Bagdad molti anni fa. Ma Bagdad non ha mai lasciato me” spiega per esempio Ivy Shashoua, una delle protagoniste. Le interviste provengono dall’archivio realizzato dalla no profit Sephardic Voices UK.


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Società

Giudeo-lingue, sguardo sulla complessità

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La distinzione operata da Ferdinand de Saussure fra langue (la dimensione sociale del mezzo linguistico) e parole (l’appropriazione individuale che ognuno ne fa) permette di capire meglio lo statuto di alcune parlate usate tradizionalmente in ambito ebraico. Poiché una grande parte della nostra conoscenza sulle giudeo-lingue ancora oggi in uso deriva da indagini sul campo con una grande varietà di informanti, il linguista specializzato nelle giudeo-lingue non è sempre in grado di capire quale sia la componente di idiosincrasia individuale o familiare nelle informazioni che sta raccogliendo. Questo margine di incertezza nella raccolta dei fatti linguistici sulle giudeo-lingue è un problema reale in un mondo dove le giudeo-lingue o i vari dialetti usati un tempo dalle comunità ebraiche del mondo riescono con grande difficoltà a resistere alla pressione delle lingue nazionali e globali. È importante integrare questa dimensione di variazione individuale e familiare nella ricerca sulle giudeo-lingue come lo yiddish, il giudeo-spagnolo, il giudeo- arabo, il giudeo-italiano, il giudeo-persiano e in genere, tutte le parlate usate dagli ebrei nelle varie epoche e in varie comunità dalla Lituania al Marocco e dall’Olanda all’India.

Cyril Aslanov, linguista
Pagine Ebraiche, luglio 2017

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identità

L'individuo di fronte alla collettività giuridica

img headerL’individuo, scrive Hans Kelsen nel suo Lineamenti di dottrina pura del diritto, è un “punto di imputazione”. La proposizione, all’apparenza oscura per i non addetti ai lavori, si può forse tradurre così: non esistono, per il celebre filosofo del diritto, diritti che promanino dalla singola persona, a priori rispetto a un dato ordinamento. Tali diritti sussistono poiché posti in base a determinate norme e procedure. La polemica con il giusnaturalismo balza agli occhi. Vi è di più. Asserendo che l’individuo è “punto di imputazione” Kelsen suggerisce anche l’idea che l’individuo in quanto tale non sia un mero fatto naturale, riscontrabile a occhio nudo, bensì la risultante di una proiezione: di norme, appunto, e, più strutturalmente, di linguaggio. Sarebbe lecito, data la forma mentis kelseniana, rielaborare questo asserto sulla base delle influenze neokantiane. Contestualmente a un seminario svoltosi la scorsa settimana presso il Collegio Golgi dell’Università degli studi di Pavia il professor G. Azzoni faceva notare come l’argomento di Kelsen sia accostabile alle riflessioni dell’ultimo Foucault sulla genealogia del soggetto. Ora l’idea che l’individuo sia puro “punto di imputazione” potrebbe suonare quanto di più lontano dal postulato biblico, matrice di molta Halakhà, secondo cui ciascuna singola persona è “be-tzelem Elohim”, a immagine di Dio, e – in quanto tale – detentrice di doveri e diritti.

Cosimo Nicolini Coen

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cultura  

Restituite l'arte rubata   

L’idea originaria dei curatori di "documenta 14" — l'edizione 2017 della grande esposizione d'arte contemporanea che si svolge a Kassel, in Germania — era quella di riflettere sull'arte confiscata dai nazisti esponendo le opere ritrovate nelle case di Cornelius Gurlitt. La storia è nota: su un treno per Monaco, sei anni fa, la polizia perquisisce un anziano nullatenente e gli trova 9.000 euro cuciti nella giacca. Qualche tempo dopo, insospettiti da quello strano caso, gli agenti fanno irruzione nel suo appartamento di Monaco e trovano, in mezzo a tonnellate di immondizia, il più grande tesoro d'arte del secolo. Mille e cinquecento capolavori che spaziano da Picasso a Klee, da Matisse a Rodin, confiscati durante il regime nazista agli ebrei.




Tonia Mastrobuoni, La Repubblica
29 giugno 2017


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Società 

Come si salva la solidarietà 

La parola "Solidarietà" può ancora essere pronunciata e poi messa in atto o, come temeva Stefano Rodotà nel suo ultimo libro — che ci è sembrato necessario ristampare e troverete in edicola domani — è destinata ad essere proscritta e condannata? È ancora possibile parlare di inclusione, accoglienza e integrazione senza essere tacitati e spazzati via dal disagio e dalle paure dei cittadini e da chi cavalca questi sentimenti? Una strada esiste, ma è un passaggio stretto, necessario, anzi indispensabile per non tradire la nostra tradizione civile e insieme la nostra tenuta democratica. Questa strada ha bisogno di parole chiare e ha una scadenza assai ravvicinata: oggi. Al vertice europeo di Berlino il premier italiano si presenta accompagnato da 22 navi che stanno per sbarcare sulle nostre coste 12.500 migranti recuperati al largo della Libia.

Mario Calabresi, La Repubblica
29 giugno 2017


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

Fine stagione e sguardi al futuro

img headerIl Man Booker Prize a David Grossman, noi, gli amanti sempre più di nicchia dei libri, della cultura e della poesia, lo accogliamo con un grande applauso e un ringraziamento per il suo coraggio civile, la raffinatezza letteraria e la sua squisita umanità. Ma con la fine delle scuole, le vacanze alle porte e l'estate che ci serba caldi torridi e acquazzoni tropicali, il Gruppo di Studi Ebraici di Torino, composto di persone serie e colte, ha deciso di svolgere in un modo alternativo l'assemblea di fine anno. Si è discusso di programmi e future attività ma il momento clou della serata è stato un allegro scambio di regalini spiccatamente kitsch e una vivace interazione verbale su libri amati come Una questione privata di Fenoglio o lontane letture d'infanzia come lo splendido libro dell'intellettuale e partigiana Ada Gobetti, Storia del gallo Sebastiano. Con lo stesso spirito vorrei chiudere un anno di Shir Shishi, ritornando a Yehuda Amichai, un classico della poesia israeliana, poeta sempre attuale e pungente nelle sue osservazioni.

Cos’è esser donna?
Com’è sentire
il vuoto fra le gambe
e curiosità nella gonna, al vento estivo,
e impudenza nelle natiche.
Un uomo non può far altro che vivere
col suo strano fagotto fra le gambe. “Da che parte
preferisce che stia?”, mi domandava il sarto
misurandomi i calzoni senza un sorriso.
Com’è una voce integra, che non si spezza?
Com’è vestirsi e spogliarsi
fra languidi scivolii e carezze,
come vestendosi di olio di oliva,
spalmarsi il corpo di molle stoffe,
di qualcosa che è seta, brusio e un nulla di rosa o d’azzurro?
Un uomo si veste con rudi gesti
di strappo sempre più aspro,
angolosi ed ossuti, che staffilano l’aria.
E gli si impiglia il vento nelle ciglia.
Com’è sentirsi donna?
Quand’è il tuo corpo stesso a sognarti.
Le vestigia di donna sul mio corpo maschio
e le tracce dell’uomo sopra il tuo
ci annunciano l’inferno
che a noi si prepara
e la nostra reciproca morte.
 
(Poesie, Crocetti, 2001, traduzione di Ariel Rathaus)

Sarah Kaminski, Università di Torino

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