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 18 Agosto 2017 - 26 Av 5777
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello,  rabbino
L’ebraismo italiano è in crisi. Dicono.  Dicono siano in crisi le sane relazioni tra le persone, la capacità di una comunicazione serena, di un confronto proficuo, di un dissenso leale. Dicono. E dicono pure che forse ad essere in crisi è l’intero sistema di valori del popolo ebraico ovunque esso viva. Eppure un padre e una madre il cui piccolo bambino italo-israeliano è stato investito da una moto in corsa lo scorso venerdì in Maremma, potrebbero affermare il contrario. E potrebbero raccontare dell’aiuto di un parnas di un tempio italiano di Rechavia, Gerusalemme, che ha organizzato un minian speciale ed una lettura di tehilim per il bambino, insieme all’intero kahal del tempio. Potrebbero raccontare di una pediatra, già presidente della comunità di Firenze, che ha accolto la giovane madre dopo il viaggio in elicottero da Grosseto a Firenze con il piccolo ed è stata presente in ogni momento del delicato ricovero. Potrebbero raccontare di due nonni di altri giovani israeliani con origini fiorentine che si sono presentati in ospedale anche solo per dire: “Shabbat Shalom”, portando generi di conforto ed un chupa chups, lecca lecca, primo pasto post operatorio del bimbo. Potrebbero raccontare di amici fiorentini di ritorno dalle vacanze in montagna che, senza neanche aprire le valigie, hanno prima cucinato un bel piatto di pasta e ragù da portare al bimbo. Potrebbero raccontare di una signora sconosciuta alla famiglia del bimbo che ha cucinato anche lei per lui, sua madre e suo padre (in realtà, date le quantità “ebraiche” dei piatti, hanno mangiato anche i fratelli del bimbo) e solo perché fare questo è una mitzvà. Potrebbero raccontare delle telefonate, dei messaggi, delle preghiere di tutto il mondo ebraico che si è messo in contatto con la famiglia del bimbo al di là di ogni ruolo sociale e di ogni compito formale e comunitario, superando distanze e fusi orari, dal Trentino alle navi da crociera nel mediterraneo, fino a New York.  Potrebbero raccontare di amici che muovono amici, cugini e parenti tutti per fare in modo che ogni azione burocratica per la famiglia del bimbo sia meno pesante, meno invadente e si arrivi presto alla soluzione: che sia un biglietto aereo da cambiare o una pratica di dimissioni ospedaliere da tradurre in inglese. Dicono che l’ebraismo italiano sia in crisi. Forse sono in crisi i consigli amministrativi, le riunioni, le giunte, le assemblee, i verbali ed i protocolli. Ma l’ebraismo non sembra in crisi. Perché come ha affermato Simon Dubnow, lo storico ebreo russo morto, tragicamente,  nel 1941: “Esiste un popolo ebraico”. Ed esiste il suo cuore grande. Ovunque. Basta saperne cogliere il battito.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
direttore
Fondazione CDEC
Camminando nel Ghetto vecchio a Venezia, facendosi strada fra i molti turisti che in maniera non sempre consapevole lo attraversano, si passa accanto a un bel negozio di arte ebraica sopra il quale campeggia orgoglioso e un po’ demodé un doppio simbolo della tradizione ebraica: una Menorà (candelabro a sette bracci) e un Magèn David (la stella a sei punte). Quando solo pochi decenni fa non si era ancora definitivamente avviata l’epoca della turisticizzazione di massa della città lagunare questo negozio era l’unico segno esteriore visibile dell’identità storica ebraica di una zona che altrimenti si andava confondendo con le altre aree popolari decadenti e malconce di quella che fu la Dominante. Diego Fusetti (per tutti Dino) era il proprietario, rappresentante di una secolare tradizione artigiana e mercantile che per lunghi secoli aveva caratterizzato la presenza ebraica a Venezia.
 
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Terrorismo islamico,
serve più consapevolezza
Gli occhi e la commozione del mondo puntati sulla Spagna, scenario nella giornata di ieri di due diverse azioni terroristiche rivendicate dall’Isis a Barcellona e a Cambrils. “Terrore e morte a Barcellona” titola il Corriere della sera. “Barcellona nel sangue” scrive Repubblica. “Un paese nel mirino della rete jihadista” sottolinea il Sole 24 Ore. Al momento il bilancio parla di 13 morti e di molte decine di feriti, tra cui tre cittadini italiani. Si teme inoltre per la sorte di Bruno Gullotta, di Legnano, anche se per il momento mancano comunicazioni ufficiali al riguardo.
Allerta comunque in tutta Europa, Italia compresa. Per questa mattina il ministro dell’Interno Marco Minniti ha convocato al Viminale una riunione straordinaria del comitato di Analisi strategica antiterrorismo con le forze di polizia e dei servizi di intelligence. Ventinove estremisti arrestati, 125 foreign fighters monitorati, 190.909 persone e 65.878 veicoli controllati, 67 espulsioni per motivi di sicurezza (di cui tre imam). Questi i dati, scrive il Corriere, della prevenzione antiterrorismo nei primi sette mesi dell’anno forniti a Ferragosto dal ministero. Dalla strage di Bruxelles (marzo 2016), viene inoltre ricordato, l’Italia convive con il livello due di sicurezza (più basso solo del livello “atto terroristico in corso”).
“Sono ore strazianti, di grande apprensione e cordoglio e il pensiero va anzitutto alle molte vittime e alle loro famiglie” riflette la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. “Non sono purtroppo nuovi i deliri del terrorismo islamico e di tutti coloro che inneggiano a queste innocenti morti. Gli approfondimenti giornalistici, le molte pagine che oggi parlano di Barcellona sui quotidiani, i numerosi spazi di commento televisivo e radiofonico, ci restituiscono un quadro purtroppo già visto e vissuto nel recente ma anche nel remoto passato”.
“Al di là del dolore – sottolinea ancora la Presidente dell’Unione – colpisce e pesa la difficoltà incontrata dai governi europei a rispondere con efficacia a tali minacce. A comprendere che il linguaggio di risposta non puo essere solo quello del pacifismo. Non si tratta di fatti sporadici, di singoli episodi isolati da un contesto più ampio, ma di una realtà divenuta ormai drammaticamente sistemica. È proprio questa la sfida più grande cui sono chiamate le nostre istituzioni e l’opinione pubblica in questi tempi difficili: prendere consapevolezza della minaccia nel suo insieme e, per chi ne ha la responsabilità, agire di conseguenza”.
 
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  davar
barcellona - la solidarietà internazionale 
"Uniti contro odio e terrore"
Nella notte sul municipio di Tel Aviv è comparsa la bandiera spagnola. Un segno di solidarietà – ultimo di una lunga serie – arrivato poco dopo la notizia dell’attentato terroristico che ha colpito ieri Barcellona e in cui sono morte 13 persone (tra queste due italiani: di uno di loro la Farnesina ha confermato l’identità, si tratta di Bruno Gulotta) e 100 sono state ferite. Un attacco, rivendicato dall’Isis, a cui ne è seguito un altro nella notte a Cambrils.
“I nostri cuori e i nostri pensieri sono con il popolo spagnolo in questo momento difficile. Purtroppo in Israele conosciamo l’ansia e il dolore che accompagnano questi attacchi omicidi e comprendiamo pienamente il vostro dolore” il messaggio del Presidente d’Israele Reuven Rivlin al re Filippo IV di Spagna. “Il terrorismo è sempre terrorismo, che colpisca a Barcellona, Parigi, Istanbul o Gerusalemme. Questi atroci eventi – ha sottolineato Rivlin – dimostrano ancora una volta che dobbiamo rimanere uniti nella lotta contro chi cerca di reprimere le libertà individuali e la libertà di pensiero e di fede e che continua a distruggere la vita di così tante persone”.
“Israele condanna l’attacco terroristico a Barcellona – le parole del Primo ministro Benjamin Netanyahu diffuse attraverso i social network – A nome dei cittadini d’Israele, mandiamo le condoglianze alle famiglie delle vittime e auguriamo una pronta guarigione ai feriti”. Parlando dell’attentato, il Premier israeliano ha poi affermato che “questa sera abbiamo di nuovo visto come il terrore colpisce ovunque; il mondo civilizzato deve combattere insieme in modo da sconfiggerlo”.
A condannare la violenza dei terroristi che hanno colpito in Spagna diverse istituzioni dell’ebraismo internazionale, come il World Jewish Congress (Wjc). “I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con le vittime di questo attacco e con le loro famiglie, e con tutti i cittadini di Barcellona” le parole del presidente Ronald Lauder. “Stiamo monitorando con attenzione e preoccupazione gli eventi e il loro sviluppo – ha spiegato Lauder – e siamo in contatto con la comunità ebraica locale e il suo servizio di sicurezza. Preghiamo che non ci siano più vittime “.
Nelle scorse ore la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni ha ricordato come non siano “purtroppo nuovi i deliri del terrorismo islamico e di tutti coloro che inneggiano a queste innocenti morti; gli approfondimenti giornalistici, le molte pagine che oggi parlano di Barcellona sui quotidiani, i numerosi spazi di commento televisivo e radiofonico, ci restituiscono un quadro purtroppo già visto e vissuto nel recente ma anche nel remoto passato”.
“Al di là del dolore – sottolinea ancora la Presidente dell’Unione – colpisce e pesa la difficoltà incontra dai governi europei a rispondere con efficacia a tali minacce. A comprendere che il linguaggio di risposta non puo essere solo quello del pacifismo. Non si tratta di fatti sporadici, di singoli episodi isolati da un contesto più ampio, ma di una realtà divenuta ormai drammaticamente sistemica. È proprio questa la sfida più grande cui sono chiamate le nostre istituzioni e l’opinione pubblica in questi tempi difficili: prendere consapevolezza della minaccia nel suo insieme e, per chi ne ha la responsabilità, agire di conseguenza”.
Una riflessione che trova riscontro nelle parole del presidente dello European Jewish Congress, Moshe Kantor, che ha auspicato che le autorità riescano ad assicurare alla giustizia tutti i responsabili materiali dell’attacco così come chi li ha ispirati. “Hanno scelto di colpire ancora una volta il nostro gusto per la vita e le nostre libertà fondamentali con il loro culto di morte. È sempre più difficile evitare questo uso di veicoli come armi per uccidere” ha sottolineato Kantor, ribadendo la vicinanza del mondo ebraico al popolo spagnolo.

Daniel Reichel twitter @dreichelmoked

il messaggio a governo e partiti
Ebrei di Spagna, la richiesta:

"Adesso serve fermezza"
La Federazione delle Comunità Ebraiche Spagnole, istituzione che rappresenta gli ebrei spagnoli davanti allo Stato e che è presieduta da Isaac Querub Caro (nell’immagine), ha diffuso una nota in cui si condannano “fermamente” gli attentati delle scorse ore.
“Preghiamo per le vittime, i loro familiari e la città di Barcellona. Confidiamo inoltre – si legge nella nota – nei corpi di sicurezza dello Stato spagnolo, che lavorano quotidianamente per evitare che i fanatici e i fondamentalisti islamici seminino caos e dolore nelle nostre città. Chiediamo quindi ai partiti politici unità e fermezza, al fine di affrontare con intelligenza e determinazione la lotta contro il fanatismo e per la libertà e la democrazia”.

(Traduzione di Francesca Antonioli, studentessa della Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste e tirocinante presso la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane)


parla shani, che vende falafel alla bouqeria
"Tutti correvano alla disperata,

da israeliana ho capito subito"
“Ho visto un mare di persone correre alla disperata, un vero e proprio tsunami umano. Nella testa mi sono passati subito molti pensieri. Da cittadina israeliana, purtroppo abituata a crescere con certe consapevolezze, ci è voluto però assai poco per prendere atto della realtà. Nella confusione generale, in quel caos incredibile che mi si presentava davanti agli occhi, ho quindi cercato di agire con la massima lucidità possibile”.
Al telefono ci risponde Shani, imprenditrice originaria di Haifa che vive da alcuni anni a Barcellona. Il suo locale di falafel, uno dei più ambiti delle Ramblas e dintorni, è situato all’interno del mercato della Bouqeria teatro ieri dei momenti più concitati dell’azione terroristica rivendicata dall’Isis e della successiva caccia all’uomo.
“Il mio locale si trova nella parte esterna del mercato, in un luogo di grande passaggio. Ieri, in quei drammatici minuti, davanti al mio bancone è passato letteralmente il mondo” racconta Shani. Colta in pieno la gravità della situazione, la donna ha lasciato tutto come stava non curandosi altro che di spegnere la friggitrice, chiudere il locale e mettersi al sicuro. Afferma Shani:”Una buona intuizione, ho riflettuto a posteriori. Anche perché, come noto, i miei colleghi che hanno scelto di rifugiarsi dentro le loro postazioni hanno dovuto aspettare diverse ore prima di poter tornare a casa”. Allontanandosi dal mercato, Shani ha iniziato ad elaborare la situazione. “Mi sono immaginata diversi scenari, da un mezzo lanciato in corsa come effettivamente è stato a terroristi armati di coltello confusi tra la folla. Purtroppo – riflette – in Israele le abbiamo viste un po’ di tutte in questi anni”.
Il pensiero però è rivolto anche al futuro, a una normalità da riconquistare in tutti i modi. “Dobbiamo andare avanti, non possiamo fare altrimenti. Per questo non vedo l’ora di riaprire il locale. Se non sarà nel fine settimana – commenta – prevedo che al massimo lunedì saremo di nuovo al nostro posto”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

l'ex consigliere fbcei andrea morpurgo
Barcellona, shock collettivo

"Il paese non era preparato"
Non vive a Barcellona, Andrea Morpurgo, architetto italiano che nonostante da alcuni anni viva e insegni a Madrid continua a impegnarsi per il patrimonio cultuale ebraico del suo paese d’origine. Già consigliere della Fondazione per i Beni Culturali in Italia, con cui continua a collaborare, Morpurgo si trovava comunque in città. “Anche se non alla Rambla, perché la famiglia di mia moglie è di una città vicina” precisa l’architetto. “Eravamo in visita da amici. Nonostante non fossimo nella zona dell’attentato la notizia ci ha raggiunti subito, anche se all’inizio le informazioni erano molto confuse. E non parlo del passaparola, o di quello che si viene a sapere dai social, anche le fonti di informazione ufficiali hanno diffuso notizie poi non confermate”.
Confusione, e una città che immediatamente si è bloccata, applicando quei protocolli utilizzati in passato con altri terrorismi. “È stato impressionante – prosegue Morpurgo – vedere come Barcellona nel giro di pochissimo fosse completamente paralizzata: i controlli in uscita dalla città erano effettuali letteralmente macchina per macchina. A noi è andata relativamente bene, abbiamo impiegato un po’ più di un’ora per fare un tragitto che normalmente dura neppure venti minuti, ma ci sono persone che sono rimaste bloccate per strada per ore anche dopo essere uscite dai locali in cui si erano rifugiate, anche consigliate dalle autorità”.


Ada Treves twitter @ada3ves

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pilpul
Le sofferenze altrui
“Amerete lo straniero perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto.” “Non opprimere lo straniero; voi conoscete l’animo dello straniero, giacché siete stati stranieri nel paese d’Egitto.” A quanto pare, la prima a fare paragoni inappropriati è proprio la Torah. Come si può mettere sullo stesso piano il trattamento riservato agli stranieri nella terra di Israele con la schiavitù d’Egitto? Come si può paragonare lo stato d’animo di un ebreo che aveva visto i propri figli gettati nel Nilo e la cui vita era stata amareggiata da un potere che deliberatamente ambiva a distruggere il popolo ebraico con quello di un immigrato per motivi economici (difficile pensare che allora gli stranieri in terra d’Israele potessero essere altro) in un paese civile e tutto sommato accogliente? O dobbiamo credere che la Torah abbia una tale sfiducia nella nostra capacità di costruire una società giusta da paragonarci addirittura al Faraone?

Anna Segre, insegnante
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Prima l'uomo
Don’t call me white, cantavano i NOFX – una band punk-rock statunitense composta in gran parte da ragazzi ebrei che ascoltavo nella mia adolescenza – ovvero, non applicare su di me questo stereotipo, perché non mi appartiene. I miei gusti musicali sono un po’ cambiati da allora, ma quando sento parlare di suprematismo bianco, o anche solo più da vicino continuamente di “prima gli italiani” e i “nostri confini”, questo ritornello mi sovviene nuovamente, e mi chiedo chi siano i bianchi, e poi gli italiani, e se anche io appartenga a questo gruppo privilegiato o se qualcun altro vi appartenga realmente.

Francesco Moises Bassano
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